I limiti della “Giornata della memoria” contro lo sterminio nazista e il pericolo del nuovo antisemitismoIl 27 gennaio si celebra la Giornata della Memoria – istituita per legge in Italia nel 2000 – in coincidenza della data della liberazione del campo di sterminio di Auschwitz nel 1945. L'occasione di questa ricorrenza porta ad interrogarsi (cfr la pubblicazione della scrittrice Elena Loewenthal “Contro il giorno della memoria”) sul concetto di “obbligatorietà della memoria”, stretto tra il pericolo che anche il ricordo della crudeltà più estrema esercitata dagli uomini contro altri uomini possa essere dimenticata con il passare delle generazioni, portando all'oblio delle cause che l'hanno generata, e il rischio che una celebrazione imposta dalla legge scivoli nella routine e nella retorica.
“Cerchiamo di usarla bene, questa memoria. E se la giornata del 27 gennaio non ha raggiunto l’effetto sperato vuol dire che non abbiamo lavorato bene”: così Anna Foa, studiosa di storia degli ebrei intervistata a proposito della Giornata della Memoria (La Repubblica, 24 gennaio – rassegna Finesettimana.org). Secondo la studiosa la ricorrenza ha avuto un effetto positivo ma l'ufficializzazione ha avuto anche un effetto di “sovraccarico”. Per questo occorrerebbe trovare una chiave diversa per la sua celebrazione anche “aprendosi agli altri genocidi del Novecento”, cosa di cui il mondo ebraico ha timore perché vi intravede il rischio di una “banalizzazione della Shoah”. “Purtroppo – afferma Anna Foa – il diffondersi del negazionismo accresce negli ebrei un atteggiamento di difesa. E così si difende tutto, anche la retorica. Chi parla di “shoah business”, ossia degli investimenti di danaro intorno al ricordo dell’Olocausto, richiama elementi di realtà. È fondato il rischio di diventare professionisti della memoria. Bisogna dirlo senza farci spaventare dall’antisemitismo. Anche se poi questo è un enorme problema reale” (La Repubblica, 24 gennaio – rassegna Finesettimana.org).
E c'è anche il problema del campo di Auschwitz la cui trasformazione in una sorta di museo meta di gite scolastiche obbligate, magari insieme a guide distratte o banalizzanti, causa disagio. “I luoghi hanno una loro forza sconvolgente – riflette la studiosa – perché evocano ciò che è accaduto. Se ascoltare questa storia non ti cambia niente dentro, allora è inutile ascoltarla”.
Al contrario c'è chi pensa che l'antisemitismo ancora vivo nel mondo renda Auschwitz tutt'altro che un museo obsoleto e inutile. “Auschwitz non è un museo – elenca Susanna Nirenstein (La Repubblica, 24 gennaio – rassegna Finesettimana.org) perché nel 2012 in Francia sono stati registrati 614 atti antisemiti, 1,6 al giorno, il 58 per cento in più dell’anno prima, tra cui aggressioni e uccisioni a mano armata spesso a sfondo israelofobico da parte di chi inneggia alla jihad. E perché in Ungheria e Grecia l’antisemitismo è rappresentato in parlamento. E in Italia ci sono onorevoli che parlano di complotto dei banchieri ebrei”.
Auschwitz, ancora, non è un museo perché non tutto è stato conosciuto e chiarito della macchina di sterminio nazista: l’United States Holocaust Memorial Museum di Washington, raccogliendo i risultati delle ricerche per l’enciclopedia in corso di pubblicazione, è arrivata solo quest’anno a focalizzare numeri scioccanti, di gran lunga superiori a quelli noti. Ha infatti catalogato 42.500 tra ghetti e lager realizzati dai nazisti in tutta Europa, alcuni campi dedicati allo sterminio, ma anche: 30.000 campi di lavori forzati, 1.150 ghetti, 1000 destinati ai prigionieri di guerra, 980 campi di concentramento, 1.000 di prigionia di guerra, a cui ne vanno aggiunti altre migliaia di più piccoli e meno noti, come i 500 bordelli con relative schiave del sesso, i lager (circa 90) destinati all’eutanasia dei vecchi e dei malati, e quelli per gli aborti forzosi, e ancora quelli di “donazione di sangue” (tolto ai bambini slavi – lasciati morire – per i soldati tedeschi feriti), e altri di “germanizzazione”, posti dove veniva raccolta un’infanzia soprattutto polacca e russa (dall’aspetto insomma razzialmente puro) presi dagli orfanotrofi o rapita alle famiglie: gli “elementi validi” erano dati in adozione a tedeschi, quelli scartati uccisi. In questo sistema concentrazionario entrarono dai 15 ai 20 milioni di persone, e ne morirono tra i 7 e gli 8 (tra i 3,5 e i 4 gli ebrei), a cui vanno aggiunte le fucilazioni e le fosse comuni ad Est, che portano a 6 i milioni di ebrei uccisi”. Numeri così enormi che rischiano di “ubriacare” ma che “riguardano tutti singoli individui, con un nome e un cognome, una vita prima dell’annientamento, una realtà che può sfuggire se invece smettiamo di ragionare su come si arrivò alla rottura di civiltà europea, se musealizziamo il Giorno della Memoria” (La Repubblica, 24 gennaio – rassegna Finesettimana.org).
La giornalista de Il Fatto Quotidiano Silvia Truzzi racconta dalle pagine della sua testata (24 gennaio) le sue perplessità sulla “sacralizzazione della storia e ancor più sull'idea di una memoria obbligatoria”. “Ricordare non è di per sé un rimedio contro i mali futuri – sottolinea Truzzi -: i genocidi avvenuti nel mondo dopo l'Olocausto (in Bosnia, per esempio) ne sono una prova. Ma soprattutto ogni imposizione, così come ogni censura, trova il proprio antidoto: l’obbligatorietà della memoria può essere controproducente”. Anche ad Auschwitz “il toponimo dell’inverno della Storia”, in grado da solo “di evocare l'intera operazione di sterminio nazista” se oggetto di una visita frettolosa magari nel frastuono di celebrazioni ufficiali.
A confronto nello stesso articolo l'opinione di Furio Colombo che della legge sulla Giornata della Memoria è stato estensore e firmatario: “L’educazione alla vita di persone giovani non ha ancora scoperto modi migliori che mostrare ciò che è accaduto prima di loro”. E nonostante i limiti di una “gita” ad Auschwitz, comunque l'impatto sarebbe maggiore di libri o film sull'argomento. “Quelle visite – afferma Colombo – sono un'approssimazione immensamente modesta del toccare con mano, ma se riuscissero anche solo un poco ad arginare il riflusso del negazionismo di fatto, sarebbe già un buon risultato” (Il Fatto Quotidiano, 24 gennaio). “Non credo – afferma ancora Colombo – che queste gite dovrebbero essere obbligatorie, ma non c'è nulla di obbligatorio nemmeno nel Giorno della Memoria, che è un'indicazione” (Il Fatto Quotidiano, 24 gennaio).