Come uscire davvero dalla vicenda Stamina?di Francesca Lozito
Da qualche giorno si fa strada in me una convinzione. Che dalla vicenda Stamina se ne debba uscire in un certo senso come da un conflitto. Voglio dire che sarebbe necessario cominciare a pensare a un organismo di pacificazione. Non un tribunale – dalla giustizia ci attendiamo l'arresto di chi ha trasgredito le regole, di chi ha fatto carta straccia delle leggi, di chi ha usufruito di soldi pubblici per somministrare "cioccolata" (ipse dixit), di chi ha piegato comitati etici a proprio uso e consumo. Piuttosto avremmo bisogno di una sorta di grande seduta collettiva di analisi.
Come è potuto accadere tutto questo?
Come l'uso della rabbia privata sia stata assunta a metro di pretesa di qualcosa che non stava né in cielo né in terra?
Come dei genitori invece di proteggere i propri figli in nome di un presunto principio di bene, sollecitati da un grande imbonitore, abbiano potuto spingersi fino a concedere i propri bambini alle telecamere di chi poi ha finito per ricattarli? A vomitare rabbia e nei casi più gravi violenza, anche se solo verbale, su chiunque si discostasse un minimo dalla loro inscalfibile convinzione?
Quanti bambini leucemici che potevano essere curati e guariti sono stati sacrificati e messi in secondo piano in nome di un diritto di precedenza a chi chiedeva su sentenza di un tribunale di fare qualcosa di cui l'ospedale stesso non sapeva nulla?
Lo capite bene da questi interrogativi che la questione è complessa. E potrei andare avanti. Perché l'anestesia collettiva ha portato a tutto questo. Si è andati davvero tanto, troppo avanti. E sulle pagine di Vino Nuovo in questi mesi ne ho parlato già tre volte. Quando eravamo ancora in pochi ad avere capito che cosa stesse realmente succedendo.
Paolo Bianco, uno dei medici che più si è battuto per l'emersione della verità sul caso Stamina, sulle colonne di Avvenire qualche giorno fa ha scritto che questi genitori, questi bambini, questi malati ora dobbiamo "liberarli". Perché non venga in mente a nessuno di giocare alla contrapposizione tra la fredda scienza e la presunta compassione amorevole del pifferaio magico di turno.
Liberarli dall'illusione. E accompagnarli nella realtà.
Nel dolore, nella sofferenza, in quel crinale della disperazione in cui si trovano tutti coloro che vivono il precipizio di una diagosi mortale, sopratuttto se in gioco c'é una vita innocente, nessuno ha il diritto di emettere un giudizio.
Ma la vera compassione, quella che chi crede trae dal Vangelo è l'"educazione alla veglia comune".
Gesù va nel Getsemani. Solo.
Ma chiede di vegliare con lui.
Questo dobbiamo fare ora. Mettendoci accanto, ognuno nel suo ruolo, ognuno per quello che è chiamato a fare, a chi ha creduto al pifferaio magico.
Lo dobbiamo fare ristabilendo la verità. Facendo emergere ruoli e responsabilità senza lasciarci incantare dalla tentazione di creare il facile capro espiatorio. Chi ha dato inizio a tutta questa vicenda in un ospedale pubblico, il dirigente Luca Merlino, primo paziente in cura con Stamina nella stessa struttura, nonostante sia stato sottoposto alla prima infusione nel settembre 2011 è fermo a tre (lo ha ammesso lui stesso sempre ad Avvenire. E nonostante fosse il primo è uno di quelli che non ha completato il trattamento fatto di cinque). Aiuterebbe alla pacificazione sapere perché. Non trincerarsi dietro il diritto alla privacy. Farlo per gli altri. Il resto lo chiarirà alle autorità competenti. Ripeto, non saremo noi a fargli il processo. Sarebbe terribile.
La verità a tutti i livelli. Anche se c'é stato qualcuno che si è nascosto dietro questa vicenda per interessi più alti. Se qualcuno ha giocato sull'ambiguità della compassione. Se qualcuno ha taciuto per interesse.
E mentre gli scienziati si riappropriano dei dibattiti tecnici nelle loro sedi opportune, la sanità torna ad avere quel ruolo di garanzia dei diritti dei malati, i giornalisti il loro compito di informare, non lasciando il proprio spazio all'infotainment, tutti assieme dobbiamo invece riprenderci l'umanità.
E riprenderci lo slogan con cui dei bambini in questi mesi troppe volte si è fatto uso.
Già, i bambini non si toccano.
I bambini si amano. Tutti. Anche nel dolore. Fino alla fine, nella vertigine che ci vorrebbe capaci di determinare per loro un destino che, da creature mortali, non è nelle nostre mani.