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Oltre la “cultura terapeutica” dell’homo infirmus

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Àncora Editrice - pubblicato il 23/01/14
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Padre Giovanni Cucci traccia una sfida per il futuro nel nuovo libro “Abitare lo spazio della fragilità”In una scena del film “Hannah e le sue sorelle”, il protagonista Woody Allen si rivolge preoccupato al proprio medico perché teme di essere gravemente malato. Dopo tutte le analisi del caso, il medico gli comunica che gli esami non rivelano nulla di grave. Il sollievo per la buona notizia ha tuttavia breve durata, perché il paziente è subito assalito dall’ansia: “stare bene” ora, equivale a dire che la malattia è solo rimandata. Le analisi hanno risposto alla sua condizione fisica, ma non al malessere causato dalla sua immaginazione che gli suggerisce sempre il peggio. Un’angoscia che lo rende incapace di vivere, anche se in buona salute.

Una citazione cinematografica che illustra in modo efficace il paradosso della cosiddetta “cultura terapeutica”, ovvero la ricerca della salute (fisica ma soprattutto psicologica) a tutti i costi: più ci si cura, più ci si scopre fragili, ansiosi, impauriti e bisognosi di continue rassicurazioni. Da qui la tendenza a esasperare l’aspetto “malato” della persone, non solo nell’ambito della salute mentale ma nei contesti più diversi della vita, come le relazioni affettive, l’educazione, la politica. Con effetti preoccupanti sulla popolazione.

Il libro “Abitare lo spazio della fragilità” (Àncora Editrice) di Giovanni Cucci, membro del collegio scrittori de La Civiltà Cattolica affronta proprio il tema attuale dell’uomo concepito in una dimensione “farmacologica”, in cui ogni sofferenza trova il principale rimedio nei farmaci. La salute a tutti i costi ha comportato un grave impoverimento culturale e spirituale che sta lentamente spegnendo il gusto di vivere dell’uomo occidentale: l’autore recupera, invece, la dimensione antropologica, spirituale e biblica per la guarigione, accogliendo così anche la bellezza della fragilità.

L’intento del libro, lungi dall’essere una critica alla medicina, alla psicologia o alla psichiatria, è quello di esplorare una concezione dell’uomo e della vita, sviluppata negli Stati Uniti a partire dagli anni ’60 (interessante sarebbe anche capire il perché di questa data…), che lancia un messaggio di profonda sfiducia nella capacità umana ad affrontare le difficoltà, spingendo invece verso la ricerca di un continuo supporto, terapeutico o farmacologico. Una cultura che non ha migliorato le nostre condizioni di vita, ma che al contrario ci ha indeboliti, convincendoci della nostra inadeguatezza.

Un segnale dell’allarme che si sta diffondendo sul tema è il “fuoco di sbarramento” scatenatosi nel 2013 sulla quinta edizione del Manuale Statistico e diagnostico dei disturbi mentali (DSM V, redatto a cura dell’Associazione Psichiatrica Americana), accusato da più parti di etichettare come patologiche situazioni che non lo sono, con l’unico risultato che milioni di persone siano diagnosticate con disturbi mentali e ricevano trattamenti di cui non hanno alcuna necessità, con conseguente sovraprescrizione di farmaci inutili.

Il libro presenta le molteplici sfaccettature di questa preoccupante novità del nostro tempo, cercando di risalire alle sue radici culturali. Il testo analizza la «cultura terapeutica» da una prospettiva soprattutto filosofica, sottolineandone lo stretto legame con l’educazione Per questo, secondo Giovanni Cucci, «rimane irrinunciabile il riferimento ai valori etici e a figure educative fondamentali (anzitutto i genitori), e soprattutto a una dimensione affettiva globale, capace di ricomprendere anche possibili ferite e fallimenti della nostra vita». In quest’ottica, conclude individuando nella Bibbia una grande risorsa: un «dono culturale per l’uomo di ogni tempo, ambiente e condizione, sia esso credente o non credente».

«Il cielo non è un inferno, e non lo è neppure questa terra. In essa risuona, generazione dopo generazione, una promessa di vita che va anzitutto accolta, perché non è in nostro potere. La stima ci può giungere solo da Chi ci conosce fino in fondo, perché ci ha creato»

http://lh3.ggpht.com/rTpehiliU7U0Pfp7tCX2ctvEDElele9Fo-0KnRv_mfMcpkv6P18kQfRVUpA6YSaMuk98TfMnDGqA9UsenBIqRaoo1L5o=s720

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Giovanni Cucci, gesuita, è laureato in filosofia presso l’Università Cattolica di Milano. Dopo gli studi di teologia ha ottenuto la licenza in psicologia e il dottorato in filosofia alla Pontificia Università Gregoriana, materie che attualmente insegna nella medesima Università. È membro del collegio scrittori de La Civiltà Cattolica. Con Àncora ha pubblicato, insieme a H. Zollner, Chiesa e pedofilia. Una ferita aperta (tradotto in diverse lingue).

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