Il prof. Napolitano commenta così l’ultima indiscrezione su una prossima apertura: “Molti di quei documenti sono già disponibili”
La notizia, pubblicata dal Sunday Times e ripresa lunedì dall’ANSA, vuole avere i toni del grande annuncio. Il rabbino Abraham Skorka, che a settembre è stato ospite di Papa Francesco nella residenza di Santa Marta, ha rivelato al giornale inglese che il pontefice avrebbe l’intenzione di aprire presto gli archivi vaticani con i documenti relativi al periodo della Shoa. La realtà, tuttavia, come ha già ricordato il portavoce vaticano padre Federico Lombardi, è diversa, dal momento che questa apertura è prevista da anni; si aspetta soltanto che gli archivisti abbiano finito il loro lavoro di ordinazione e catalogazione.
Aleteia ha chiesto al Professor Matteo Luigi Napolitano, docente di Storia delle Relazioni Internazionali presso l’Università degli Studi “Guglielmo Marconi” di Roma e massimo esperto dei rapporti tra Vaticano e la Shoah, di raccontarci come stanno realmente le cose.
Professore, cosa pensa della notizia lanciata dal Sunday Times?
Napolitano: Intanto la cosa non è nuova. Gli archivi di Pio XII sono in fase di riordino da gran tempo. Da molti anni ne è stata annunciata l’apertura. È in fase di riordino del materiale e in stadio molto avanzato.
Ma non esiste ancora una data certa per l’apertura degli archivi?
Napolitano: La data, oltre che naturalmente dal Papa, viene in qualche modo “fissata” dalla “road map” degli archivisti, per cui dipenderà da quando gli archivi tecnicamente saranno pronti e fruibili per la consultazione degli studiosi, secondo norme archivistiche invalse che anche la Santa Sede si è data. Bisogna anzi dire che la Santa Sede è molto più accurata di altri Stati nel seguire la prassi archivistica consolidata. Quindi, quando gli archivi saranno pronti per la loro concreta fruibilità da parte degli storici, essi certamente saranno aperti. Ormai questo lavoro su Pio XII, come dicevo, è in fase avanzata. Certo potrebbero esserci alcune lacune, frutto di alcuni rimaneggiamenti passati; ma la cosa certa è che la Santa Sede ha tutto l’interesse ad aprire questi archivi. Consideriamo poi che gli archivi sono già aperti per quello che riguarda il periodo dal 1922 al 1939, cioè il periodo di Pio XI. Si può studiare quindi tranquillamente il rapporto col Fascismo e col Nazismo. Il rapporto con la Shoah, che durante la Seconda Guerra Mondiale preoccupa per la sua questione umanitaria le grandi democrazie, ha infatti i suoi prodromi nelle leggi antisemite, che non sono solo della Germania e dell’Italia, ma anche di altri Paesi europei. In Europa Orientale, per esempio, non sono poche le pratiche discriminatorie legalizzate verso gli ebrei. Possiamo quindi già studiare l’atteggiamento del Vaticano verso quelle leggi e verso quelle pratiche.
Che era un atteggiamento di opposizione a quelle leggi?
Napolitano: Era un approccio severo, critico, certamente. E questo approccio si rinnova con forza durante la Seconda Guerra Mondiale quando alcuni Stati vogliono imitare la Germania di Hitler, diventandone satelliti; e ciò anche nella prassi della deportazione degli ebrei, collaborando attivamente con la Germania a questo fine. Ma se noi vogliamo studiare il rapporto della Santa Sede rispetto all’antisemitismo che in Europa si diffonde, ed è negli anni Trenta soprattutto che si diffonde in Germania e in Italia, ebbene tutto ciò lo si può studiare già adesso. E la documentazione già esistente ci dice tanto di quello che poi sarà la posizione della Santa Sede durante il secondo conflitto mondiale. Il padre Lombardi ha ragione: non ci sarà nulla di nuovo sotto il sole, soprattutto perché esistono già dei documenti della Santa Sede sul periodo 1939-45, pubblicati in undici volumi, ahimè, poco conosciuti.
Che contengono in parte già i documenti che sono negli archivi?
Napolitano: Ogni pubblicazione, ogni collana di documenti è sempre una selezione. Questo accade per la Santa Sede e accade per le raccolte ufficiali di tutti gli altri Stati. Ogni Stato ha la sua collezione ufficiale, la Santa Sede ne ha una, ufficiale, sul periodo ’39-’45. Il mio auspicio è che quella collana possa prolungarsi, almeno fino al ’58, data della morte di Pio XII, e anteriormente al ’39, quindi a coprire il periodo di Pio XI e dei suoi predecessori. Paolo VI volle la pubblicazione dei documenti vaticani sulla seconda guerra mondiale, anche se gli archivi erano tutti da riordinare. Fu incaricata una commissione di quattro gesuiti che si recò negli archivi della Segreteria di Stato, ancora chiusi a tutti; questi religiosi tirarono fuori la documentazione che poteva in qualche modo essere utile per dimostrare la posizione della Santa Sede nei maggiori eventi della Seconda Guerra Mondiale.
Secondo lei perché si vuole costruire questa grande clima di attesa?
Napolitano: Guardi, è molto semplice. Io non ho visto un gran dibattito sui volumi vaticani che sono già usciti, che sono noti da tempo perché la collana è stata perfezionata nel 1981. Ho visto più polemiche su quello che si supponeva poteva mancare: per esempio, è stato detto che mancava in questa pubblicazione il carteggio Pio XII-Hitler e questo per i critici sarebbe stato un ammanco notevole: ma questi critici non hanno pensato che se mancava questo carteggio evidentemente i due non si erano mai scritti. Non si sono viste le cose che sono più importanti: per esempio, il fatto che non si tratta solo di documenti vaticani, ma di documenti che provengono al Vaticano da altre fonti. Parlo per esempio delle fonti ebraiche: quando noi vediamo una lettera, come quella del rabbino di Croazia Shalom Freiberger, capo di una delle più importanti comunità ebraiche in Europa minacciate dalla Shoah, scrivere a Pio XII in termini filiali, riconoscendo quello che il Papa e la Santa Sede stanno facendo in favore degli ebrei, si rimane piuttosto sorpresi dalle polemiche seguenti sulla figura di Pio XII. È evidente che gli ebrei contemporanei a questo Papa la pensavano molto diversamente rispetto alla generazione successiva. E potrei dilungarmi con le attestazioni che la comunità ebraica, mondiale ed europea ma non solo, ed anche le organizzazioni ebraiche di soccorso durante e dopo la guerra, hanno tributato a Pio XII per quello che ha fatto.
Oggi com’è l’atteggiamento della comunità ebraica internazionale verso Papa Pacelli?
Napolitano: Io ritengo che la comunità ebraica internazionale abbia legittimamente bisogno di studiare meglio le fonti archivistiche della Santa Sede, ma, per quel che mi è dato sapere, ribadisco che ha ragione il padre Lombardi: non ci saranno sorprese da questi documenti. Anzi, se ci saranno sorprese, saranno in un altro senso: ulteriori prove di quello che il Vaticano ha fatto per gli ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale. Vorrei aggiungere che la documentazione porta a ipotizzare un rapporto di una certa familiarità fra Eugenio Pacelli e gli ambienti ebraici internazionali; e che tali ambienti, peraltro molto colti, erano molto attenti alla realtà circostante, politica e culturale, cercando altresì di avvertire la comunità internazionale del pericolo che Hitler comportava per l’Europa. Comunità ebraiche così avvertite, quella croata, l’ungherese, la francese, per non parlare di quella italiana e delle organizzazioni ebraiche di soccorso, riuscirono a intessere con Pio XII e con i suoi collaboratori (si pensi a due futuri papi, come Roncalli e Montini) rapporti mol
to stretti durante la guerra. Questi ebrei, giunta la pace, non avrebbero avuto alcuna ragione per continuare a tributare ringraziamenti a Pio XII, se questi davvero fosse stato un passivo spettatore di fronte alla Shoah. Dirò di più. E invece, dopo la guerra, tali manifestazioni di riconoscenza e di gratitudine si ripeterono; e questo verrà ulteriormente alla luce con i nuovi documenti. Che ragione avevano gli ebrei ormai liberi di esternare tali sentimenti, riconoscendo che Pio XII e il Vaticano erano stati decisivi, insieme ad altre organizzazioni, nell’assistenza, nell’aiuto e nel salvataggio della comunità ebraica europea? Queste note di gratitudine si manifestarono addirittura nelle parole di Raffaele Cantoni, dirigente della DELASEM, la delegazione per l’assistenza all’emigrazione ebraica, a sua volta in contatto con il Congresso Mondiale Ebraico. Quando nasce la polemica su Pio XII nel 1963, Cantoni si fa addirittura intervistare dall’Osservatore della Domenica (il settimanale dell’Osservatore Romano), affermando con nettezza che Pio XII ha salvato gli ebrei dalla Shoah. Si noti che Cantoni era un “mangiapreti”, un vivace anticlericale e un intellettuale di grande spessore; tutto fuorché ligio alle gerarchie vaticane. Sapere dell’esistenza di queste cose, e saperne sia dai documenti diplomatici, sia dalla diretta testimonianza di persone come Raffaele Cantoni è abbastanza significativo; per cui va detto con chiarezza che, nell’aprire le carte su Pio XII, il Vaticano non teme l’uscita di scheletri dai suoi armadi. Dal punto di vista dello storico è bene che tutto ciò che si deve sapere si sappia: questo è evidente; io però ho l’impressione che cominceremo presto a dibattere, semmai, su nuovi episodi che vanno fra i titoli di merito che la Santa Sede e la Chiesa Cattolica già detengono nel salvataggio degli ebrei dalla Shoah.