Una riflessione di padre Francesco Occhetta a partire dalla relazione del Censis
Vivere una società o essere una società? E’ un dilemma antico che condiziona tutte le scelte politiche…
Un un recente studio la società italiana si caratterizza per essere «sciapa e infelice», afferma il 47° Rapporto Censis. Gli italiani sono impauriti sia per le conseguenze della crisi — disoccupazione, povertà, riduzione del potere d’acquisto dei salari, mancanza di servizi, legami sociali deboli — sia per l’inerzia della classe politica, caricata di troppe attese dalla società civile. A sopravvivere sono le famiglie e le piccole imprese, mentre l’iniziativa delle donne imprenditrici, le aziende gestite dagli immigrati e i giovani che emigrano sono i segnali di un Paese che sta cercando di uscire dalla crisi. Il motore di sviluppo in grado di far ripartire il «sistema Italia» è riassumibile in un concetto: «la connettività», che è la rete fra i soggetti coinvolti nei processi culturali e di produzione e si basa sull’interesse generoso e gratuito per tutti e di tutti.
Nel 2013 «il crollo atteso da molti non c’è stato». Ma questo è solo un tenue raggio di sole che, in mezzo a tante nuvole oscure, che spunta dall’analisi del 47° Rapporto del Censis sulla società italiana che la rivista La Civiltà Cattolica ha commentato.
Le famiglie italiane e le imprese, soprattutto quelle piccole, stanno attraversando gli anni della crisi economica e sociale grazie alla «capacità di sopravvivenza». Una virtù antica e fuorimoda che permette di guardare indietro per attingere, come in un pozzo di acqua limpida, quei valori su cui si è fondato lo sviluppo del dopo guerra — le radici contadine e l’appartenenza alla terra, l’imprenditorialità artigiana e lo spirito mercantile, la vocazione al lavoro individuale «fai da te» e le ragioni del volontariato sociale —, ma anche di guardare avanti adeguando e autoriformando i propri comportamenti in termini di sobrietà e senso della misura.
Non è però tutto oro quello che luccica. L’altra faccia della moneta che impedisce alla sopravvivenza di trasformarsi in crescita e sviluppo sono quei vizi sociali che rendono la società italiana «sciapa e infelice»; «sciapa», secondo il Censis, perché è senza fermento, vincono i furbi sugli onesti e il lavoro è svolto senza passione; ma anche una società in cui l’evasione fiscale e il disinteresse per il Governo del Paese sono crescenti. Una «società infelice», invece, a causa dell’ampliamento delle diseguaglianze sociali e della definitiva rottura del «grande lago della cetomedizzazione» le cui protezioni sociali hanno garantito agiatezza e coesione sociale. Molte persone sono costrette a cambiare il loro tenore di vita scendendo dal livello sociale che avevano conquistato. È questa la principale causa che alimenta il rancore «che non viene da motivi identitari, ma dalla crisi delle precedenti collocazioni sociali di individui e ceti».
Al di là dei numeri emerge che il volto dell’italiano che sta sopravvivendo va oltre quella dell’immaginario collettivo: egli può vestire in giacca e cravatta ed essere il vicino di casa conosciuto da sempre, può utilizzare un bel cellulare ed essere sempre connesso, percepire uno stipendio medio basso o la pensione e far pensare di appartenere al ceto medio, con il rischio però che nessuno, data la sua apparenza imposta dalla società dei consumi, si accorga che non ce la fa ad arrivare alla fine del mese.
Ma una possibile soluzione c’è ed è spiegata nell’articolo di Civiltà Cattolica: LA SOCIETÀ ITALIANA: TRA SOPRAVVIVENZA E INNOVAZIONE