Analisi alla luce del diritto europeo e del contesto politico
Il disegno di legge per riformare la legge sull’aborto spagnola non viola alcuna norma europea o internazionale, afferma il Centro Europeo per la Legge e la Giustizia (ECLG) in un’analisi dettagliata delle principali disposizioni del testo. Secondo il suo direttore, Grégor Puppinck, sia le critiche dei “pro-aborto” che l’ottimismo dei “pro-vita” sono eccessivi.
Al di là del diritto, per l’ECLG il disegno di legge mostra una nuova tendenza politica in Occidente, secondo la quale l’aborto non è più ritenuto una “libertà e un progresso”, ma una violenza da limitare.
In questo contesto, “la futura applicazione di questo disegno di legge continua ad essere imprevedibile e dipenderà in grande misura dalle circostanze politiche e culturali”.
Il disegno di legge tende a proteggere allo stesso tempo la vita del concepito e i diritti alla salute e alla vita della donna incinta.
La nuova legge sostituirà quella del 2010 sulla salute sessuale e riproduttiva e sull’interruzione volontaria di gravidanza, fortemente criticata fin dalla sua adozione: un milione di persone ha manifestato contro questo testo nell’ottobre 2009.
La legge vigente, che ha modificato un provvedimento del 1985, presenta l’aborto come un diritto e una libertà, e non più come un’eccezione al diritto alla vita del concepito.
In base a questa legge adottata sotto il Governo di José Luis Rodríguez Zapatero, l’aborto può essere realizzato con una semplice domanda nelle prime 14 settimane di gravidanza.
L’aborto è possibile anche fino alla 22ma in caso di “grave rischio per la vita o la salute della madre o del feto”. Ad ogni modo, a causa dell’assenza di un meccanismo reale di controllo, l’aborto è stato reso di fatto disponibile su richiesta fino a 22 settimane di gestazione.
In caso di malattia grave e incurabile al momento della diagnosi, inoltre, l’aborto si può effettuare fino al termine della gravidanza a condizione che questa malattia sia certificata da una commissione di medici, che possono appartenere alla struttura in cui si effettuerà l’aborto.
La legge del 2010 permette poi alle minorenni di abortire in forma anonima, e limita fortemente il diritto all’obiezione di coscienza del personale medico.
In poche parole, con la legge del 2010, volta a estendere e facilitare l’aborto, trasformato in “diritto” in sé, si corre il rischio di limitare i diritti degli altri.
Dall’altro lato, questa legge ha permesso la comparsa di pratiche intollerabili, come lo sviluppo di una quasi-industria dell’aborto in strutture private specializzate, alcune delle quali effettuano aborti tardivi molto redditizi a una “clientela” internazionale.
Il nuovo disegno di legge del 20 dicembre 2013 ha l’obiettivo di uscire da questa logica di “aborto-libertà individuale” e di riequilibrare i diritti delle persone coinvolte, ovvero quelli del concepito e quelli di sua madre, così come quelli dei genitori (in caso di aborto di una minorenne), del personale sanitario e di tutta la società.
Il disegno di legge non si basa sull’idea secondo cui esisterebbe o meno un diritto all’aborto, ma parte dalla constatazione della realtà prima dell’esistenza reale del concepito: un essere umano esiste fin da prima della nascita e merita protezione. Questa realtà è spesso ignorata o sminuita da chi concepisce l’aborto innanzitutto come una libertà individuale.
L’esistenza di questo essere umano vivo – pur se ancora in gestazione – esclude che una persona possa avere un potere assoluto sulla sua vita, e quindi possa disporre di un diritto fondamentale ad abortire.
Il punto di partenza di questa legge rende pertanto impossibile l’affermazione di un diritto all’aborto. Vuole invece tener conto dei diritti di tutte le persone coinvolte nell’aborto laddove la legge del 2010 faceva prevalere ampiamente quelli della madre. Si tratta, dunque, di trovare l’equilibrio migliore tra i vari diritti e interessi presenti.
Da questa ricerca di equilibrio risulta che la vita del concepito non può essere sacrificata se non per un motivo proporzionato. Quando invece nessun motivo giustifica la richiesta di un aborto la vita umana non può essere sacrificata, ma deve essere difesa e accolta, con il sostegno della società. Il disegno di legge ha quindi l’effetto di abolire l’aborto “a richiesta”.
Il provvedimento precisa le circostanze e condizioni in cui si può effettuare un aborto. In concreto, la legge prevede che l’aborto sia depenalizzato quando viene praticato:
– in caso di violenza, durante le prime 12 settimane di gravidanza
– durante le prime 22 settimane di gravidanza in caso di necessità provata da parte di un comitato medico indipendente e se non si può trovare alcuna soluzione nel contesto medico o in nessun altro modo, per evitare un grave pericolo per la vita o la salute fisica o psichica della donna incinta. Questo grave pericolo per la salute psichica della madre può risultare da una malformazione del bambino di natura tale da provocarne la morte durante la gravidanza o poco dopo la nascita. Il termine di 22 settimane di gravidanza corrisponde alla soglia di viabilità del bambino stabilita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
– fino alla fine della gravidanza quando il bambino ha un’anomalia “incompatibile con la vita” non diagnosticata durante le prime 22 settimane o quando portare avanti la gravidanza farebbe correre un rischio vitale alla madre, con certificato medico.
Dall’altro lato, il disegno di legge ristabilisce vari diritti e doveri soppressi dalla legge del 2010, in particolare il diritto fondamentale del personale sanitario all’obiezione di coscienza, il diritto dei genitori di essere informati sulla gravidanza della figlia minorenne e il dovere di informazione della donna incinta e il tempo di riflessione. Proibisce, infine, la pubblicità a favore dell’aborto.
Questo provvedimento va incontro al pensiero dominante ereditato alla fine degli anni Sessanta e rappresenta un cambiamento politico. In modo spettacolare, questo cambiamento alimenta una nuova tendenza, che si dimostra realista e progressista e tende a sostituire la politica dell’“aborto sistematico”.
Questa politica si sta abbozzando in Europa e negli Stati Uniti, dove vari Stati hanno dibattuto recentemente e spesso hanno adottato nuove leggi che migliorano la protezione della vita umana.
È il caso del Regno Unito, dove si mette regolarmente in discussione il termine legale dell’aborto; della Svizzera, che si prepara a votare in un referendum sulla soppressione del finanziamento pubblico all’aborto; della Russia, che ha adottato leggi che rafforzano i diritti della madre e del bambino; della Polonia, il cui Parlamento ha adottato in prima lettura nuove restrizioni; della Lettonia; della Lituania, il cui Parlamento prepara attualmente l’abolizione dell’aborto a richiesta; dell’Ungheria, che nel 2011 ha adottato leggi in difesa della famiglia e dell’embrione umano; della Turchia; della Macedonia, che il 10 giugno 2013 ha adottato una legge in questo senso; della Norvegia, che ha appena abbassato il limite legale dell’aborto garantendo totalmente il diritto alla vita del figlio dopo 22 settimane di gestazione.
Questa tendenza è tuttavia ancor più marcata negli Stati Uniti, dove è in atto una vera transizione culturale. Così, tra il 2010 e il 2013 gli Stati nordamericani hanno adottato 205 nuove restrizioni all’aborto, un numero più alto di tutti i dieci anni precedenti insieme. Si è proibito l’aborto dopo le 20 settimane in una dozzina di Stati, è stata rafforzata la protezione dei concepiti portatori di han
dicap, sono state imposte condizioni più restrittive alle cliniche e si è inquadrato meglio l’aborto chimico.
Il Nord Dakota ha abbassato il limite legale a sei settimane. Nello stesso senso, il numero di Stati ostili all’aborto è raddoppiato tra il 2000 al 2013, passando da 13 a 27.
Solo il 12% della popolazione americana considera ancora l’aborto moralmente accettabile, contro il 49% che lo ritiene immorale. Il cambiamento è tanto profondo quanto sconvolgente.
Dopo aver liberalizzato abbastanza ampiamente la pratica dell’aborto, i Paesi occidentali sembrano oggi considerare l’aborto più come un problema che come una libertà e la soluzione alle difficoltà sociali della madre.
Questa nuova politica è volta non solo a migliorare la protezione della vita dei concepiti, ma anche a sostenere le donne in stato di gravidanza e a spezzare la loro solitudine di fronte a una gravidanza inaspettata, a responsabilizzare gli adulti e ad appoggiare le famiglie nonché la demografia e l’economia.
Questa politica non pretende di eliminare tutti gli aborti, ma desidera ridurre il loro numero ai soli casi eccezionali legati alla salute materna. La tendenza è in parte motivata da una volontà di sostenere la demografia, ma anche, probabilmente, da un “progresso delle coscienze” rispetto alla natura della vita prenatale e dell’aborto.
I progressi della biologia contribuiscono a far prendere coscienza dell’esistenza di ogni persona fin da prima della sua nascita. Quanto alla violenza e alla sofferenza provocate dall’atto stesso dell’aborto, il discorso militante sull’aborto non apporta risposte. Le nuove generazioni di medici accettano sempre meno di effettuarlo.
Si mette in discussione l’idea, ereditata dalla rivoluzione sessuale degli anni Sessanta, che l’aborto sia un “progresso e una libertà”. Così, dopo vari decenni di pratica intensiva, l’esperienza porterebbe i Governi a sperimentare un’altra politica.
La Spagna è in questo momento oggetto di forti critiche, come lo sono stati anche gli altri Governi europei desiderosi di limitare l’aborto. Alcuni di questi Governi hanno resistito alle critiche e sono riusciti ad approvare il loro disegno di legge, altri, come la Turchia, hanno ceduto alle pressioni.
È probabile che per rispondere a queste critiche il Ministro della Giustizia spagnolo Alberto Ruiz-Gallardón si rechi prossimamente a Bruxelles, ma la sua intenzione è in primo luogo quella di spiegare e promuovere questa nuova politica in Europa. Il Ministro è “convinto che questa iniziativa avrà un seguito in altri Parlamenti di altre Nazioni europee”.
A seguito delle reazioni suscitate da questo disegno di legge, lo European Centre for Law and Justice ha realizzato un’analisi dettagliata delle sue disposizioni principali in cui il provvedimento viene paragonato al diritto vigente in altri Paesi europei, così come alla giurisprudenza del Tribunale Europeo per i Diritti Umani.
Il risultato di questa analisi è che sia l’inquietudine dei “pro-aborto” che l’ottimismo dei “pro-vita” sono eccessivi. A livello giuridico, questo disegno di legge non viola alcuna norma europea né internazionale.
Al contrario, il testo si allinea agli standard europei laddove la legge del 2010 se ne allontanava. La decisione di ristabilire il divieto dell’aborto a richiesta è la più forte; un divieto di questo tipo è diventato minoritario in Europa, ma non è un caso unico, né viola il diritto europeo e internazionale.
L’applicazione futura di questo disegno di legge continua ad ogni modo ad essere imprevedibile e dipenderà in larga misura dalle circostanze politiche e culturali.
Come il Governo di José Luis Rodríguez Zapatero ha voluto inscrivere un “diritto all’aborto” nella cultura spagnola, quello attuale desidera promuovere una cultura che difenda la vita dei concepiti, rafforzi la responsabilità degli adulti e risponda positivamente, in un altro modo che non sia l’aborto, alle difficoltà delle donne in gravidanza.
Il disegno di legge spagnolo si inscrive in una tendenza politica nuova volta a migliorare la protezione legale dei concepiti di fronte all’aborto. Questa tendenza politica è diventata di recente maggioritaria negli Stati Uniti. In Europa inizia ad affermarsi. È in fondo sul terreno politico e culturale che si gioca il dibattito sull’aborto e sulla protezione della vita.
In Spagna, come nel resto dell’Europa, i tassi di aborto sono assai elevati e rappresentano un problema di salute pubblica. La questione è sapere se questo disegno di legge sarà accompagnata da un cambiamento culturale, se una presa di coscienza da parte della società della sua responsabilità di difendere e di accogliere la vita si aggiungerà all’attuale presa di coscienza dell’umanità della vita prenatale e della violenza dell’aborto.
La maggior parte degli aborti è provocata da difficoltà di tipo socio-economico, legate soprattutto alle risorse finanziarie, all’alloggio e all’impiego, o è il risultato di pressioni del padre.
Anziché incoraggiare l’aborto come soluzione principale a queste difficoltà, soprattutto in tempi di crisi, la società e i Governi dovrebbero assumere le proprie responsabilità sociali.
Una legge di questo tipo potrà ridurre i tassi di aborto solo se la società e i Governi si impegneranno in politiche di prevenzione dell’aborto, dando alle donne e alle coppie i mezzi per assumere le proprie responsabilità. La responsabilità dell’accoglienza della vita non dovrebbe pesare solo sulla madre, ma anche sul padre, e più in generale sull’insieme della società, la cui vitalità è assicurata dal rinnovamento generazionale.