Mario Falcone, sceneggiatore del nuovo film su Francesco della Cavani, confessa: “Solo nel racconto dei lati oscuri del Santo, può emergerne la luce”Il cinema cristiano è sotto accusa. L’intervista della sceneggiatrice americana Barbara Nicolosi non può non lasciare il segno rispetto all’opera di tanti autori che hanno trattato temi cristiani e hanno raccontato la vita di Gesù e dei Santi. “I pagani fanno film cristiani più belli”, questo il succo delle dichiarazioni rilasciate ad Avvenire nella giornata di ieri. Il motivo, secondo la Nicolosi, è da cercare nella mancanza di coraggio dei film dichiaratamente cristiani nel raccontare gli uomini e la realtà così come sono. Per questo, spesso, film che di religione non trattano, finiscono per avere un valore spirituale molto più alto. Su questo tema affascinante Aleteia ha sentito Mario Falcone, sceneggiatore di molte opere per la televisione (tra cui la fiction di Padre Pio) e del terzo film di Liliana Cavani tra poco in uscita.
Qual è il suo punto di vista su questa idea?
Falcone: Il discorso di questa collega è molto alto e complesso. Io credo, nella mia piccolissima esperienza, che abbia ragione. Spesso, soprattutto in Italia, quando si fanno film a carattere religioso non c’è mai la ricerca della storia e del personaggio che, al di là del fatto che possa essere religioso, è sempre una persona con pregi e difetti. Si tende sempre a fare il “santino”, ma questo non è un buon servizio né per la storia né per il personaggio di turno. A me è capitato spesso di dover combattere questa mentalità. Io non sono un religioso; sì, come tutti quelli della mia generazione provengo dall’esperienza della parrocchia, dell’oratorio, ma poi ho scelto altre strade. Sono un laico. Certo, ho una mia religiosità, sono un devoto di Maria, come tutta la mia famiglia, mi rapporto in modo personale con la religione, come ognuno di noi. E mi sono sempre battuto proprio per far sì che anche il personaggio religioso che si raccontava in quel momento diventasse umano, scendesse dal piedistallo, perché solo così tu puoi costruire una cosa che funziona drammaturgicamente e che sia credibile. Per questo forse ha ragione Barbara Nicolosi, perché forse “i pagani” si avvicinano con più rispetto, mentre i “credenti” quasi integralisti che per forza ti devono far passare un loro messaggio, non credo che facciano un buon lavoro né un grande favore alla Chiesa. Io, poiché sono una persona che legge e che si informa, ho visto in questi anni lo scollamento che c’è stato fra la Chiesa e la società civile. C’è stato un punto in cui la Chiesa non è stata più capace di parlare alle persone. Per fortuna a volte ci sono i miracoli, che si sono concretizzati ultimamente con la venuta di Papa Francesco.
E come si è comportato su questo nel suo lavoro?
Falcone: Come professionista mi sono sempre posto il problema. A volte mi dicono “tu devi scrivere una storia sul santo x”, allora leggo tutto quello che posso, mi informo, cerco di tirar fuori quello che c’è, insieme ai colleghi con cui lavoro creo una storia che abbia un senso drammaturgico compiuto, una struttura, ecc. però io poi mi batto sempre perché il personaggio abbia un’anima, cammini con le sue gambe. Non mi interessa far vedere che è un “santo”. Questo si stabilirà in seguito, ma se io racconto la sua storia voglio soprattutto indagare e snidare i suoi lati oscuri. Perché solo dai lati oscuri può uscire la luce.
Forse è più facile trattare temi religiosi tirandoli fuori da storie non religiose?
Falcone: Assolutamente sì. Io mi rifaccio alle cose di cui mi sono appena occupato. San Francesco il Vangelo non lo andava predicando, lo praticava giornalmente negli atti. Se mi dici “quello è un santo”, questa è didascalia pura. Fammi vedere come si comporta, poi spetterà a me stabilire se è un santo o meno. Per carità, io sono solo un raccontatore di storie. Mi è capitato di imbattermi in personaggi come Padre Pio, e lì mi è servito più di un anno di ricerca storica. Quello che m’interessa sempre è l’umanità, la verità che c’è dietro la persona. Che sia un santo o meno a me non interessa. Ci sono storie di santi che sono bellissime, perché prima di diventare santi, sono stati dei grandissimi peccatori. E' quello che mi attrae come sceneggiatore.
Quindi i film religiosi che preferisce sono quelli di Pasolini, della stessa Cavani?
Falcone: Certo, pensi alla religiosità che c’è in Mamma Roma, all’ultima scena che è una crocefissione, con Maria e il figlio messo in croce. Fatta da un regista comunista, ateo, ma che aveva una religiosità pazzesca. Lo stesso vale per Liliana Cavani, una regista che decide alla fine della sua carriera di fare il terzo Francesco, e che si interroga sul senso della vita in questo modo trattando un tema spirituale. Questo significa che non si possono fare distinzioni manichee di credenti e non credenti, significa che oggi, per come sta andando il mondo, non puoi fare a meno di porti certe tematiche, certe riflessioni sulla fede, sul senso della vita. Io mi sento privilegiato per aver avuto come professionista e come uomo la possibilità di fare un film su San Francesco.
Come è stata questa esperienza?
Falcone: Beh, per un professionista è un’esperienza unica nella vita. Tenga conto che noi non abbiamo fatto il San Francesco dei Fioretti o quello che tutti conoscono, ma abbiamo fatto il San Francesco che mette in atto tutti i giorni il Vangelo, che sta sulla strada, che sta con la gente, che si spoglia di tutto ma non solo fisicamente, in tutti i sensi, e che soprattutto non fa proselitismo perché non gli interessa. Dice che prima di fare la rivoluzione fuori, tu devi cambiare dentro te stesso. Solo quando tu sarai cambiato potrai andare in giro a cercare di convincere gli altri che quello che stavi facendo era sbagliato. Ed è una lezione incredibile in un momento della vita in cui, come vede, oramai i giochi sono scoperti. Da un lato c’è chi può, dall’altro c’è chi fruga nei secchi della mondezza. E San Francesco ci dice che non è giusto che questo accada, in un mondo in cui c’è uno spreco di soldi, di cibo. Lavorare su questo film, ha coinvolto come persone, non come professionisti, sia me che Giammario Pagano, che è il mio partner sceneggiatore. Noi abbiamo cominciato a lavorare su questo film un anno e mezzo prima che Bergoglio diventasse Papa e scegliesse il nome Francesco. Si immagini la nostra gioia quando è comparso questo personaggio che arrivava dal Sud America, con questa faccia bellissima, e che ci sta rivelando la verità.
Pensa che le fiction televisive in Italia che affrontano personaggi religiosi riescano a raccontarli a fondo?
Falcone: Guardi, Padre Pio sicuramente. Su Wojtyla sono state fatte due fiction, una Rai e una Mediaset, e soprattutto quest’ultima era un bel prodotto. Io tra queste fiction per la televisione, e quindi per il grande pubblico, fatto di famiglie, di persone di una certa età, metterei tranquillamente quella su De Gasperi, che pur non essendo un religioso è stato un gigante della politica, della vita civile, come servitore dello Stato, di un uomo che ha preso l’Italia dalle macerie del dopoguerra e le ha dato comunque un volto, una rispettabilità all’estero. Questo è il caso di un film che non c’entra nulla con la religione, ma che racconta di personaggi che hanno forse un forte senso religioso.