Il Viceministro degli Interni esorta il capo dei greco-cattolici a non assistere chi dimostra contro il regime
L’Ucraina sta vivendo settimane non facili da quando, il 21 novembre scorso, è iniziata una serie di manifestazioni contro il governo del Presidente Viktor Yanukovych.
La scintilla è stato il fallimento delle intese volte a creare un’associazione tra la Repubblica Ucraina e l’Unione Europea. Yanukovych ha ritirato il proprio consenso all’ultimo momento, e ciò ha scatenato la più grande ondata di proteste che il Paese ricordi dalla rivoluzione arancione del 2004. Il vertice dell’Unione Europea di Vilnius (Lituania), che avrebbe dovuto sancire l’alleanza tra Ucraina e Unione Europea, presumeva l’apposizione della firma sull’accordo di associazione di libero scambio tra Ucraina e UE. “Una vera e propria svolta politico-economica, che ha mandato su tutte le furie Mosca, consapevole che un simile accordo avrebbe modificato in modo sostanziale e radicale non solo i rapporti tra Mosca e Kiev ma anche la sfera d’influenza russa in Europa. Dopo Kiev, infatti, altri Paesi dell’area ex sovietica potrebbero tentare di fare lo stesso, e questo Mosca non lo può proprio accettare” (Panorama, 9 dicembre).
I manifestanti non vogliono andare contro la Russia, ma “semplicemente avere un nuovo Governo di cui potersi fidare, che conceda maggiori libertà e prospetti crescita economica”. La loro azione diventa tuttavia sempre più difficile, visto che il regime spinge a che vengano lasciati soli da tutti, anche dalle autorità religiose. Il viceministro degli Interni, Tymofy Kokhan, ha infatti invitato la guida dei greco-cattolici, l’arcivescovo Svyatoslav Shevchuk, a non fornire assistenza spirituale durante le manifestazioni che hanno ormai radunato in piazza a Kiev un milione di persone.
A rivelarlo è stato lo stesso arcivescovo in una conferenza stampa convocata appositamente il 13 gennaio, riferendo di aver ricevuto nei primi giorni dell’anno da Kokhan il divieto di organizzare preghiere pubbliche durante le manifestazioni a sostegno dell’integrazione dell’Ucraina in Europa. Il Ministero degli Interni ha anche “invitato il clero greco-cattolico a non partecipare alle dimostrazioni, nemmeno da privati cittadini, a non costruire cappelle per permettere ai fedeli che prendono parte alle dimostrazioni pacifiche di potere pregare e a non organizzare Messe e processioni senza il permesso delle autorità” (blog di Matteo Cazzulani, 14 gennaio).
L’arcivescovo si è detto preoccupato per la presa di posizione delle autorità ucraine e ha sottolineato come la preghiera sia particolarmente necessaria per colmare il crescente malcontento del popolo ucraino nei confronti della autorità.
Il divieto imposto alla Chiesa greco-cattolica è anche una risposta di Yanukovych al messaggio di vicinanza mandato agli ucraini da papa Francesco, che tramite il Nunzio Apostolico di Kiev ha espresso la sua preghiera per l’unità e la pace di tutto il popolo ucraino. Il legame tra il papa e l’arcivescovo Shevchuk è del resto molto stretto fin da quando Shevchuk era alle dipendenze dell’allora cardinal Bergoglio a Buenos Aires come guida dei greco-cattolici dell’Argentina.
La Chiesa greco-cattolica è uno degli enti principali – insieme alla Comunità Ebraica di Ucraina, alle comunità musulmane, alla Chiesa Cattolica ucraina e a quella ortodossa del Patriarcato di Kiev – ad aver sempre sostenuto l’unità degli ucraini e l’integrazione dell’Ucraina in Europa.
Il “messaggio” delle autorità alla Chiesa greco-cattolica è solo l’ultimo esempio delle limitazioni messe in atto dal regime ai diritti umani, alla libertà religiosa e di stampa, al diritto di opposizione e più in generale alla democrazia.