Una nuova inchiesta sulla gestione dei rifiuti di Roma segnala l’urgenza di ripensare il problema rimettendo al centro il valore della “cura per il Creato”
L’invito di Giovanni Paolo II, che nella dottrina sociale della Chiesa parlava di vera e propria “conversione ecologica” nel modo di pensare al nostro rapporto con Dio e con la sua creazione, risuona oggi come atto di accusa nei confronti di tutti coloro – politici, amministratori e cittadini disattenti – che in Italia vivono la questione dei rifiuti con superficialità, nel caso degli ultimi, o con brama di disonesto guadagno, nel caso degli altri. Il nuovo scandalo emerso in queste ore, che racconta di un nuovo scenario di malagestione dei rifiuti romani e che vede indagato l’ex presidente della Regione Lazio Piero Marrazzo per aver favorito illecitamente l’avvocato Manlio Cerroni, gestore di Malagrotta ora ai domiciliari, è solo l’ultima tessera di un mosaico di cattiva amministrazione steso sulla pelle dei cittadini.
Per capire come occorra riconsiderare le basi etiche di questo problema, Aleteia si è rivolta al prof. Paolo Togni, che oltre a esser stato docente di Diritto pubblico, ha ricoperto numerosi incarichi tra i quali quello di Capo dell’Ufficio legislativo e Capo di Gabinetto del Ministero dell’Ambiente. Inoltre, insieme a mons. Giampaolo Crepaldi ha pubblicato qualche anno fa Ecologia ambientale ed ecologia umana. Politiche dell’ambiente e Dottrina Sociale della Chiesa (Cantagalli, 2007).
Come mettere d’accordo ambiente ed economia sostenibile, secondo i dettami della dottrina sociale della Chiesa, relativamente al tema dei rifiuti?
Togni: La dottrina sociale ha come obiettivo il bene dell’umanità secondo i disegni della Provvidenza. In questo fine entrano diversi obiettivi che hanno a che fare con i rifiuti. Il primo che viene in mente è la salute dell’uomo, però c’è anche il discorso economico, a cui accenna lei, cioè il tutto deve avvenire in modo economicamente sostenibile. E poi c’è anche un discorso di decoro. Tutti questi discorsi confluiscono su quella che si può ipotizzare come soluzione al problema dei rifiuti, che devono essere smaltiti – nel senso che non devono stare in mezzo alle strade – ma in maniera tale che non ci siano rischi per la salute e da garantire le migliori condizioni economiche possibili. Questi sono i tre punti di partenza anche della dottrina sociale della Chiesa che, come ci ha insegnato Benedetto XVI, è il punto d’incontro tra fede e ragione. Ma anche se non partiamo dalla dottrina sociale, è la stessa ragione a farci partire dagli stessi punti e arrivare alle stesse conclusioni.
Cosa possiamo dire riguardo al rapporto tra rifiuti e salute?
Togni: Quello legato alla salute è il primo problema. I rifiuti devono essere smaltiti e l’ambiente in cui si vive deve essere decoroso, da un punto di vista estetico e sociale, ma soprattutto sano. Questo significa che i rifiuti devono essere prodotti nella minima misura necessaria – non si può immaginare di vivere senza produrre rifiuti – e poi una volta prodotti devono essere smaltiti in modo da non comportare un pericolo per nessuno. Ci sono due vie e mezzo per arrivare allo smaltimento. La mezza via, lo dico subito, è la differenziazione: è mezza via perché può coprire solo una parte del totale dei rifiuti prodotti, perché non tutto è riciclabile. È dunque una soluzione parziale, che lascia comunque una buona quantità di rifiuti, secondo me almeno il 50%, non trattata. Lei ha visto i recenti fatti di cronaca a Roma. Che succedeva lì? Il comune di Roma lo ha sempre fatto, di far fare la raccolta differenziata, che costa dei soldi, e poi di smaltire il frutto della raccolta differenziata in discarica come se fosse indifferenziata. Naturalmente questo comporta dei costi maggiori e nessun vantaggio per la società. E questo, se non è fatta in modo adeguato, vale anche per il porta a porta. Su questi temi girano un sacco di fesserie. Ci hanno rotto le scatole l’anno scorso, soprattutto i Verdi, sostenendo che Roma dovesse seguire il modello San Francisco, che secondo loro è una città che produce zero rifiuti. La verità è che San Francisco spende oltre 30 milioni di dollari l’anno per portare in Canada tonnellate di immondizia. Questa non è una soluzione, come non lo fu quella delle cosiddette ecoballe prodotte a Napoli che sono finite in immensi depositi solo un po’ meno inquinanti di quanto non fossero le discariche. Così il problema non è risolto. La differenziata risolve solo una parte del problema, sempre che non si facciano imbrogli come risulterebbe, se è vero, nel caso di Roma. Con quello che rimane, comunque bisogna arrivare allo smaltimento.
Quali sono le altre due forme di smaltimento?
Togni: Una è la discarica, l’altra è l’incenerimento, che può avvenire in varie forme e con varie tecnologie, che vuol dire bruciare dei rifiuti ed ottenere attraverso la combustione anche dell’energia. Non so se lei sa che una direttiva europea, alla quale noi siamo sempre molto ossequenti, stabilisce il divieto di conferimento dei rifiuti in discarica a partire dal 2000. E naturalmente in Italia, ma credo anche altrove, i rifiuti continuano ad andare in un sacco di discariche. Noi qui a Roma abbiamo avuto quella di Malagrotta che è abnorme per due motivi: per la quantità di rifiuti che ospita, per quanto tecnicamente potrebbe ospitarne ancora quasi altrettanti, e soprattutto per il mistero delle gestioni amministrative. Questo perché Malagrotta è stata una discarica alla quale il Comune ha conferito tutti i suoi rifiuti per decenni senza che fosse autorizzata da nessuno. Io spero che l’avvocato Cerroni, che avendo 87 anni ed essendo a mio giudizio una persona per bene, si metta una mano sulla coscienza e negli interrogatori riveli i rapporti con gli amministratori del Comune e della regione, perché è lì lo sporco, molto più che nella discarica vera e propria.
E gli inceneritori?
Togni: Come lei sa, contro gli inceneritori sono state condotte grandi battaglie da parte di tutti: addirittura ad Acerra ci fu il vescovo locale che intervenne contro la messa in funzione dell’inceneritore paragonandolo al diavolo. Il vescovo sarà attendibile quando parla di cose di religione, ma su questo tema può dire inesattezze come questa, ed io glielo scrissi a suo tempo, perché da un inceneritore ben fatto e ben gestito non deriva nessun danno e nessun pericolo per la salute dell’uomo. Specialmente dopo l’entrata in vigore di una direttiva sugli inceneritori della Comunità Europea, mi sembra del 2003, recepita puntualmente dalla legislazione italiana, con la quale si stabilisce che ogni inceneritore deve essere dotato di una valvola termica che lo spegne se la temperatura di combustione scende sotto i 1.200 gradi. Perché questo? Perché il rischio degli inceneritori è quello di produrre diossina, e le diossine hanno una natura chimica per cui sopra gli 850 gradi si scindono nei componenti che la formano, che sono innocui. Dunque grazie a quella valvola, che spegne l’inceneritore al di sotto dei 1.200 gradi, la produzione di diossina è esclusa per definizione. Dall’inceneritore escono alcuni composti di azoto, poche polveri sottili – dipende come è fatto il filtraggio allo scarico – mentre non arrivano composti di zolfo. Dunque l’inceneritore non produce alcun danno e alcun pericolo. Lo abbiamo detto tante volte: ce ne sono a Zurigo, in pieno centro, sotto un giardino. Sono anni che funziona e nessuno si è mai lamentato.
Perché in Italia, per malcostume o per illegalità, siamo così lontani dal realizzare una gestione dei rifiuti che sia in linea con “la cu
ra per il Creato”?
Togni: Vengo qui al terzo argomento, che è quello economico, in cui c’è la ragione di tutto questo. Il circuito dei rifiuti è molto ricco. Tanto per farle capire, la famiglia Lucchese di Cosa Nostra a New York ha costituito una società apposita con la quale ha gestito l’immondizia dei cinque quartieri di New York per tanti anni. Questo vuol dire che il loro utile ce lo avevano. E se questo è vero quando la gestione è fatta bene, cioè i rifiuti sono raccolti correttamente, la città è tenuta pulita, i rifiuti sono smaltiti secondo la normativa ecc., si immagini quello che può avvenire quando io invece di portare i rifiuti in discarica o all’inceneritore trovo un campo non coltivato e lo seppellisco là sotto. Poi naturalmente, il costo dello smaltimento è diverso a seconda della tipologia dei rifiuti: se io ho dei rifiuti speciali o pericolosi, che devono essere gestiti con alcune cautele, smaltirli mi costa di più, e quindi raccoglierli e farli sparire mi dà un maggior guadagno. Quindi la malavita da molti anni ci va a nozze con queste attività: è un problema di politica corrotta, politici ignoranti, funzionari che non fanno il loro dovere, e mancanza di controlli, perché se uno controllasse come le amministrazioni dovrebbero fare non dovrebbe essere possibile che io raccolgo i rifiuti a Roma, li carico su un camion e li smaltisco a Caserta sotto il terreno di un amico mio. Il ciclo dei rifiuti, per definizione in tutto il mondo produce denaro. Solo in Italia costa denaro. La tassa sui rifiuti che paghiamo, ad esempio, se funzionasse porterebbe un utile a chi li gestisce, è un’attività industriale. Le faccio un esempio: lei sa che a Brescia c’è un grande inceneritore che raccoglie molti rifiuti della provincia di Brescia? L’azienda bresciana che li gestisce s’è accordata con quella di Milano e hanno costruito nel capoluogo lombardo un secondo inceneritore a copia del primo, che smaltisce un milione di tonnellate l’anno. Milano non ha il problema dei rifiuti perché raccoglie, tratta bene ed incenerisce; ed il costo del trattamento dei rifiuti a Milano è una frazione di quello che è a Roma.
Ma perché Roma si trova in questa situazione?
Togni: Perché a Roma c’è un’evasione sull’imposta dei rifiuti di almeno il 35-40%, che non si vuole comprimere perché altrimenti si potrebbe farlo. Ci sono gli enti pubblici che non pagano: la FAO, ad esempio, aveva nei confronti dell’AMA un debito di 12 milioni di euro, perché da anni non pagava la tassa per la raccolta dei rifiuti. Se la gestione è fatta male, per incapacità o per ruberie o per entrambe le cose insieme, allora in questo caso è chiaro che non c’è più un reddito per la gestione dei rifiuti, ma c’è un costo netto. C’è da dire che se Roma non avesse avuto Malagrotta, Roma sarebbe coperta di rifiuti da tempo. Ma l’idea di sostituire Malagrotta con un’altra discarica è da dementi. Tutti gli amministratori di Roma degli ultimi 15-20 anni, in questo, si sono comportati da sprovveduti. Del resto, nelle discariche sì che c’è una forte produzione di diossina: l’EPA, l’agenzia ambientale americana, ha condotto uno studio comparativo tra discarica ed inceneritore ed è giunta al risultato che le discariche sono tra le prime a produrre costituzionalmente diossina.