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Dio ama i poveri più dei ricchi?

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Aleteia Team - pubblicato il 09/01/14
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L’“opzione preferenziale per i poveri” della Chiesa sta nel contrappeso al privilegio che il nostro mondo decadente dà ai ricchi e ai potentidi Mark Gordon

Ho un’amica di nome Trish che spesso mi ferma dopo la Messa per pormi domande su cose che ritiene sconcertanti relativamente alla Scrittura o agli insegnamenti cattolici. Le sue domande spaziano dall’ordinario – “Perché, se Maria è rimasta vergine, la Scrittura si riferisce ai fratelli e alle sorelle di Gesù?” – al sublime – “Come può essere che Gesù fosse sia umano che divino?” Non sono sicuro del motivo per il quale Trish si rivolga a me, ma cerco sempre di ricompensare la sua curiosità fornendo pazientemente risposte più esaurienti possibile.

Qualche settimana fa, a seguito di una serie particolarmente forte di letture domenicali, Trish mi si è avvicinata con questa domanda: “Dio ama i poveri più di quanto ami i ricchi?”. A prima vista sembrerebbe di sì; nella Scrittura ci sono quasi 3.000 versetti che riguardano la giustizia per gli umili, gli oppressi e gli stranieri. Quasi 400 di questi versetti si riferiscono specificatamente ai “poveri”. Nel Deuteronomio (15:11), il Signore ordina al suo popolo “Apri generosamente la mano al tuo fratello povero e bisognoso nel tuo paese”. Il salmista dichiara “Questo povero grida e il Signore lo ascolta” (Salmo 34) ed esorta Dio a difendere “il debole e l’orfano” e a fare giustizia “al misero e al povero” (Salmo 82). L’autore dei Proverbi afferma che “chi opprime il povero offende il suo creatore, chi ha pietà del misero lo onora” (Proverbi 14), e che “il giusto si prende a cuore la causa dei miseri, ma l’empio non intende ragione” (Proverbi 29).

Quando Nostra Signora riceve l’annuncio dell’angelo Gabriele sulla sua imminente maternità, dichiara che Dio “ha rovesciato i potenti dai loro troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote”. Nel momento in cui Gesù ha inaugurato il suo ministero pubblico, ha annunciato “Lo Spirito del Signore, l’Eterno, è su di me, perché l’Eterno mi ha unto per recare una buona novella agli umili”. In seguito, il Signore dice a un uomo ricco di vendere tutto ciò che ha e di dare i proventi ai poveri. Quando l’uomo se ne va, Gesù dichiara che “è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli”. Ancora dopo, il Signore fa della preoccupazione personale dei poveri un test per meritare il Paradiso (Mt 25). Nella sua Lettera, Giacomo riserva le parole più aspre ai ricchi: “E ora a voi, ricchi: piangete e gridate per le sciagure che vi sovrastano! Le vostre ricchezze sono imputridite” (Giacomo 5).

Questo tema è stato raccolto dai Padri della Chiesa e ha riecheggiato nei secoli. Sant’Agostino, amplificando l’autoidentificazione di Gesù con i poveri in Matteo 25, scrive: “Ricco e povero perciò il Cristo; come Dio, ricco, come uomo, povero. E infatti lo stesso uomo già ricco ascese al cielo, siede alla destra del Padre, eppure quaggiù tuttora povero soffre la fame, la sete, è nudo”. Uno dei primi documenti cristiani, la Didaché, comanda ai neoconvertiti di condividere tutto con il fratello e di non dire “È proprietà privata”. “Se condividete tra voi i beni eterni, a più forte ragione dovete tra voi condividere i beni che periscono”. Secondo San Giovanni Crisostomo, “non condividere i propri beni con i poveri significa derubarli e privarli della vita. I beni che possediamo non sono nostri, ma loro”. San Tommaso d’Aquino credeva che “tutto ciò che l’uomo possiede di superfluo è dovuto per diritto naturale al sostentamento del povero. Lo stesso Ambrogio così afferma nel Decretum Gratiani: ‘Il pane che negate è dell’affamato; le vesti che ponete via sono dell’ignudo; e il denaro che seppellite è redenzione e libertà del povero’”.

Questa notevole enfasi sulla priorità dei poveri sui ricchi si è estesa anche all’era moderna. Papa Paolo VI indica nella sua lettera apostolica Octogesima Adveniens che “nell’insegnamento della carità, l’evangelo ci inculca il rispetto privilegiato dei poveri e della loro particolare situazione nella società: i più favoriti devono rinunziare a certi loro diritti per mettere con più libertà i propri beni a servizio degli altri”. Nella Centesimus annus, il beato Giovanni Paolo II scrive che “l’amore per l’uomo e, in primo luogo, per il povero, nel quale la Chiesa vede Cristo, si fa concreto nella promozione della giustizia”. Nella Deus caritas est, anche il papa emerito Benedetto XVI ha promosso la priorità dei poveri, collegandola con l’azione politica: “la carità deve animare l’intera esistenza dei fedeli laici e quindi anche la loro attività politica, vissuta come ‘carità sociale’… La Chiesa non può e non deve prendere nelle sue mani la battaglia politica per realizzare la società più giusta possibile. Non può e non deve mettersi al posto dello Stato. Ma non può e non deve neanche restare ai margini nella lotta per la giustizia”. E ovviamente papa Francesco ha cristallizzato di recente l’“opzione preferenziale per i poveri” dei cristiani nel suo desiderio di “una Chiesa povera e per i poveri”.

Torniamo quindi alla domanda originaria della mia amica Trish, “Dio ama i poveri più di quanto ami i ricchi?” Potreste rimanere sorpresi per il fatto che la mia risposta sia stata un sonoro “NO!” Dio ama Bill Gates o Donald Trump tanto quanto ama te o me o il più misero mendicante nelle strade di Calcutta. L’amore di Dio si estende a chiunque, indipendentemente dalla sua condizione sociale o dal volume del suo portafoglio di investimenti. L’amore di Dio, inoltre, è incondizionato e inesauribile. Nulla di ciò che facciamo – e non importa quanto spesso lo facciamo – “potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore” (Romani 8). Questa promessa riguarda sia i ricchi che i poveri.

L’“opzione preferenziale della Chiesa per i poveri” non riguarda il fatto che Dio ami questa persona individuale più di quella. No, l’opzione per i poveri riguarda il fatto di dare un contrappeso al privilegio che il nostro mondo decadente dà ai ricchi e ai potenti. È una chiamata alla giustizia, che nella tradizione biblica implica la restaurazione dell’equilibrio e dell’equità nei rapporti tra gli individui e tra le classi sociali. L’opzione per i poveri ricorda ai ricchi che i beni che possiedono non sono fini in sé, ma mezzi per promuovere il bene comune, incluso l’alleviamento della povertà. E visto che sia la ricchezza che la povertà sono termini relativi, l’opzione per i poveri è un’esigenza che ciascuno di noi, qualunque sia il nostro valore netto, sia al servizio dei bisognosi.

Strutturalmente, i poveri condividono un’intima identità con Cristo che richiede da parte nostra sollecitudine, servizio e amore. Può essere un compito arduo. I poveri non sono sempre vittime di altri; spesso sono vittime dei propri appetiti non disciplinati. I poveri, come tutti noi, non sono in genere nobili. Siamo però chiamati ad amarli e a servirli, non perché sono amabili, ma perché sono nostri fratelli e sorelle, e perc
hé nella loro sofferenza – anche autoinflitta – sono Cristo. Gesù non dice “ero legale e mi avete vestito”, o “ero sobrio e mi avete dato da mangiare”, o ancora “vi ho ringraziato profusamente quando mi avete dato qualcosa da bere”. La nostra responsabilità nei confronti dei poveri è definita non dal fatto che ci facciano sentire a nostro agio o che vediamo la logica di tutto ciò, ma dal loro bisogno. Dopo tutto, “Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi” (Romani 5). Siamo stati amati incondizionatamente prima che lo “meritassimo”, e siamo chiamati a fare lo stesso.

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Mark Gordon è partner di PathTree, un’impresa di consulenza che si concentra sull’organizzazione e la strategia. È anche presidente della Società di San Vincenzo de’ Paoli per la diocesi di Providence (Stati Uniti), di un rifugio per senzatetto locali e di una mensa per i poveri. È autore di Forty Days, Forty Graces: Essays By a Grateful Pilgrim. È sposato con Camila da 30 anni e ha due figli.

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