Il cantautore milanese parla della spiritualità da lui riscoperta con la maturitàÈ un Roberto Vecchioni nuovo in un disco di inediti quello che si mostra in Io non appartengo più, uscito per la Universal, a distanza di sei anni dall’ultimo Di rabbia e di stelle. E la copertina del cd lo ritrae su un ring deserto, seduto su una poltrona, gli occhi puntati al cielo.
Ed è un cantautore intimo quello che si mette a nudo nell'intervista a “Credere” e svela la sua spiritualità, tiepida negli anni giovanili ma riscoperta nella maturità: «C’è chi ha la fortuna, o anche la sventura, di credere, perché la fede non è sempre una fortuna, ma certo è una consolazione. Chi non ce l’ha questa fortuna o sventura, non per questo, nella sua miscredenza, nel suo modo di essere indifferente di fronte all’eterno, ha meno debiti rispetto alla vita: ne ha altrettanti, anzi, forse ne ha ancora di più. D’altra parte, se io sono un credente, non per questo devo considerare di meno quelli che non lo sono e, anzi, vivono magari una vita da perfetti gentiluomini. E Dio questo lo sa».
«I miei genitori volevano fortemente che ricevessi un’educazione cattolica – racconta –. Ho frequentato l’Università Cattolica, ma sono stato anche un pasionario in università, ho fatto il ’68 combattendo dalla parte degli studenti, con gli insegnanti per gli studenti. Non ero un gran credente. La fede è venuta col tempo e con la vita, rimuginando e pensando, soprattutto davanti alle difficoltà dell’esistenza. I dolori sono stati tanti, tantissimi: mi hanno fatto nascere l’idea che ci dovesse essere una ragione per la sofferenza, non potevano essere casuali. Erano qualcosa di simile a una prova. In questo sono un po’ manzoniano (ride). Pensare di essere indipendenti per trenta, quarant’anni della propria vita e accorgersi poi che basta un niente per portarti alla fine, e allora dire: “No, no, no. Allora io da solo non basto”. Sì, io a Dio ci credo».
Frenato per lungo tempo da un tumore al rene e un infarto, come racconta nel brano Ho conosciuto il dolore, Vecchioni si racconta sereno, con un ottimismo che nasce da una riflessione personale, dall’incontro con Dio: «Tutte le ultime canzoni sono ottimiste e molto aperte. Alcune, come Così si va e Il miracolo segreto, sono veri e propri dialoghi con Dio, un Dio che non aspetta altro che di venire da noi».
Nell'intervista rivela di essersi sempre sentito toccato dal racconto del buon ladrone, quando Cristo, nell’immagine del peccatore pentito, perdona l’umanità, quando dice “oggi sarai con me nel paradiso”: «Per me questa è l’immagine che riassume perfettamente tutto quello che c’è nel Vangelo. Che non è folclore e miracoli. Bellissima è anche la parabola dei talenti. Non a tutti è chiesto lo stesso rimborso, dipende da cosa ti ha dato il cielo. Quindi non è vero, a volte, che la legge è uguale per tutti, perché chi ha sofferto di più o chi ha più ragioni o più scuse per poter dare di meno è perdonato. Bisognerebbe leggerlo il Vangelo, però, un po’ di più».