Se accadesse che, per improvvisa foratura, papa Francesco si fermasse, dobbiamo credere che la sua opera resterebbe incompiuta?Un uomo solo al comando. Mi viene spontanea questa espressione ciclistica nel considerare il ruolo, la responsabilità e la fatica di papa Francesco in questo scorcio d'anno che ha visto la sua ascesa al soglio di Pietro.
Altroché se si è meritato la copertina di Time… Checché se ne pensi, in bene o in male e senza togliere nulla ai predecessori (ognuno ha il suo carattere, le proprie debolezze come pure una specifica grandezza), papa Bergoglio ha infatti marcato di sé questo 2013 in modo innegabile. Lo riconoscono implicitamente i suoi stessi critici – se ne trovano molti tra i cattolici – denunciando la (per loro) incomprensibile discontinuità col passato: e se Francesco viene attaccato per questo motivo, vuol dire che sta dicendo e facendo davvero qualcosa che prima non c'era.
Tale stato di fatto propone tuttavia varie questioni anche a coloro che del pontefice sono tifosi. Una per esempio è legata all'espressione sportiva citata all'inizio: ce la farà, papa Francesco, a portare a termine vittoriosamente la "fuga" solitaria intrapresa nella ciclopica tappa della riforma della Chiesa? E perché abbiamo dovuto aspettare un fuoriclasse come lui per tentare l'impresa: la comunità cristiana, italiana e mondiale, era davvero tanto incapace di darsi stimolo da sé? O ancor più profondamente: come mai un ente assembleare, come è per essenza la Chiesa, si riduce immancabilmente a languire in noiosi tapponi di trasferimento finché lo spunto a cambiar passo non giunge dall'alto supremo?
Lo scatto di Francesco denuncia dunque per converso la fragilità del resto della squadra; così com'era stato per papa Giovanni al momento dell'inattesa indizione del Concilio, il corpaccione cattolico si muove solo quando la testa comanda. Ma è possibile? È corretto? Dove sta allora la forza collegiale – qualcuno scomoderebbe lo Spirito Santo – di cui una fraternità dovrebbe essere ricca? È umiliante che la grande massa dei credenti sia ancora ridotta ad essere soltanto "tifosa" dell'unico campione; e se accadesse che, per improvvisa foratura, papa Francesco si fermasse, dobbiamo credere che la sua opera resterebbe incompiuta?
Ma una seconda e collegata serie di domande scaturisce dalla vitalità impressa da questo pontefice alla Chiesa: quelli che oggi – cardinali, vescovi ed alti papaveri laici – osannano compatti alla grandezza di Bergoglio, dov'erano prima? Perché non hanno cominciato a fare, a chiedere, a discutere ciò che adesso trovano bellissimo e giustissimo e finanche doveroso in tutto quanto compie il nuovo papa? Eppure sono sempre gli stessi (tranne poche eccezioni) i notabili clericali che prima rivalutavano la vecchia liturgia e ora tornano come niente fosse alla nuova, prima difendevano Ratzinger persino quando sceglieva di rimettersi in capo il camauro di pelliccia e ai piedi le scarpette rosse e adesso esaltano Bergoglio perché calza scarponi e veste quel che càpita…
La Chiesa è zeppa di sugheri che riescono a stare a galla con qualunque mare, anzi lo è più di tanti ambienti laici perché protesta di obbedire al motto che "Il papa ha sempre ragione" (e dunque basta andargli dietro per stare automaticamente nel giusto): un criterio che vorrebbe essere cattolico e invece troppe volte è usato in modo qualunquista e interessato. Ecco: oltre ad essere "solo al comando", papa Francesco deve anche guardarsi da troppi gregari più interessati ai personali premi di traguardo che a vincere la tappa. E "Forza papa!" incitiamo noi, costretti ad essere ancora e soltanto dei tifosi.