Liberamente ispirato a “La regina delle nevi” di Hans Christian Andersen, il nuovo prodotto della Disney è uno dei migliori film d’animazione dell’anno – ma questo non significa molto.di David Ives
“Sai, c’è una cosa che ho sempre voluto ti chiedere”. Dice Inga a Frederick nella classica commedia Frankestein junior di Mel Brooks, parlando dell’operazione che aveva con successo tolto una parte del considerevole intelletto del dottore per riparare la mente danneggiata della sua creatura. “Quando tu ha fatto scambio, mostro ha avuto parte di tuo stupendo cervello ma tu che cosa hai avuto di lui?”
Per anni mi è ronzata in testa una domanda simile, da quando la Disney Company ha iniziato a comprare una buona parte delle mie ossessioni da nerd. Marvel Comics, Lucasfilm, i Muppets, Pixar, l'elenco è impressionante. Grazie al cielo non possono comprare la Chiesa cattolica (sai che lo farebbero, se potessero), o non avrei altra scelta che arrendermi e inchinarmi davanti al signor Topolino onnipotente. Eppure, anche senza una religione al loro attivo, l'enorme quantità di proprietà intellettuali ora di proprietà Disney è impressionante, e spesso mi sono chiesto quando avremmo iniziato a vedere alcuni aspetti delle loro acquisizioni cominciare a espandersi oltre il loro marchio principale. Beh, ho finalmente ottenuto la mia risposta, perché ho appena visto Frozen.
Liberamente tratto da La regina delle nevi di Hans Christian Andersen (e intendo molto liberamente, nel senso in entrambe le storie c’è la neve e basta), Frozen racconta la storia della principessa Elsa, fin dalla nascita oppressa dalla capacità di creare il ghiaccio dal nulla, e di sua sorella minore, la principessa Anna, che ebbe un incidente quasi fatale quando la sorella le congelò il cervello mentre, da piccole, le due bimbe stavano giocando intorno al castello di famiglia. Sperando di trovare una cura per entrambe le figlie, il re e la regina viaggiano con loro per consultare i troll delle rocce magiche che vivono nelle montagne vicine. Queste creature danno alla famiglia il dubbio consiglio di rinchiudere Elsa lontano da ogni contatto umano, insegnarle a sopprimere ogni forte emozione e permettere ai troll di rimuovere magicamente da Anna tutti i ricordi delle abilità della sorella. Temendo per la vita della figlia se venisse considerata una strega da parte dei cittadini del loro regno perennemente soleggiato, il padre accetta a malincuore tutte le condizioni dei troll.
Completamente isolate dal pubblico e l’una dall’altra, le ragazze crescono fino all’adolescenza dietro le mura del castello. Quando però i genitori muoiono durante un viaggio in mare, Elsa capisce di non avere altra scelta che accettare l’incoronazione che la farà diventare la nuova regina.
Mentre Elsa prepara dei piani per far passare la cerimonia senza rivelare i propri poteri, Anna girovaga estatica, per la prima volta, in città e subito perde la testa per Hans, il più giovane dei tredici principi di un reame vicino. Quando Elsa, a ragione, nega ad Anna il permesso di sposare qualcuno che ha appena conosciuto, Anna crea un tale putiferio che Elsa perde il controllo e inavvertitamente espone le proprie capacità ad un pubblico inorridito. Temendo di poter essere arrestata per stregoneria, Elsa fugge sulle montagne, ignara del fatto che il suo sconvolgimento emotivo abbia creato una tempesta di ghiaccio così forte da congelare il regno intero.
Inizia così una serie di avventure allorché Anna insegue sua sorella sulle montagne per riportarla a casa e far tornare il tempo normale, ottenendo lungo la strada l’aiuto di Kristoff, timido giovane venditore di ghiaccio cresciuto sin dall’infanzia alla roccia dei troll, della sua renna da compagnia Sven, e di un pupazzo di neve senziente chiamato Olaf. Per molti versi il film è il classico Disney, solo con i soliti temi moltiplicati per due per aumentare un po’ l’interesse. Ci sono due (non una, due, contiamone due) principesse, due genitori morti, due potenziali spasimanti per la più giovane, e due goffi compagni non umani. È quasi come se gli autori avessero visto il successo della loro opera precedente, Rapunzel, e si fossero detti “Hei, facciamo di nuovo la stessa cosa, ma questa volta… raddoppiamo tutto. Sarà due volte più bello no?”
Beh no, non proprio. In un anno notoriamente debole per gli spettacoli di animazione, Frozen si posizione quasi in cima alla classifica praticamente a tavolino, ma non rappresenta un ritorno ai giorni felici della Sirenetta o La Bella e la Bestia come la pubblicità vorrebbe farvi credere. Mentre il film segue fondamentalmente la formula Disney, fa un po’ di pasticci con alcuni ingredienti, in particolare i pezzi musicali. La musica è funzionale e accompagna la storia come dovrebbe, ma le melodie si dimenticano facilmente e i testi non sono proprio così intelligenti come si crede. Finito il film, probabilmente ti troverai in difficoltà a ricordare più di qualche battuta da canticchiare.
Come se non bastasse, il film inciampa un po’ anche in quelle parti che riprende da alcune delle società controllate dalla Disney. La situazione di Elsa viene direttamente dagli X-Men della Marvel. Una giovane ragazza nata con poteri straordinari deve nascondersi da una popolazione che teme l'ignoto. Solo che non è proprio quello che il film presenta. In realtà, il re e la regina semplicemente accettano l'ammonimento dei troll delle rocce che le persone reagiranno in questo modo se verranno a conoscenza delle abilità di Elsa, e subito costringono le loro figlie a vivere in modo psicologicamente spaventoso. Ma quando i poteri di Elsa vengono svelati, solo una (contiamone una) persona la accusa effettivamente di essere una strega (si potrebbe pensare che, in un film che ha raddoppiato tutto il resto, ci sarebbero dovuti essere almeno due accusatori). Il resto della città pare semplicemente volere indietro il bel tempo. Non proprio il tipo di isteria mutante che ci si aspetterebbe.
Ma questa è una sottigliezza. Più fastidioso ancora è come Frozen mette sottosopra quello che cerca di prendere in prestito dalla Pixar. Nei classici film Disney del passato, i personaggi agivano più o meno seguendo le linee di ruoli di genere tradizionali. Anche se le principesse erano i personaggi principali, alla fine finivano sempre nei guai ed i principi doveva venire a salvarle. In un mondo post femminista, naturalmente, questo tipo di assetto era intollerabile. Dopo tutto, quale donna reale (o animata) potrebbe avere bisogno di un uomo che la salvi? Così, negli ultimi anni, la Disney si è adattata all’opinione diffusa e ha fatto sì che le sue principesse avessero la loro giusta parte di battaglie e facessero tutto ciò che ci si aspetta possa fare un ragazzo.
La Pixar tuttavia ha scosso questo nuovo status quo con il suo contributo alla principessa Disney di turno, Merida di Ribelle. Incitata dall’ approvazione del padre, Merida diventa un’esperta tiratrice di arco, migliore di qualsiasi uomo nel regno. Ma nel corso del film, con grande orrore delle critiche iper-femministe in tutto il mondo, Merida apprende dalla madre che, piuttosto che un approccio di confronto diretto, spesso per affrontare determinate situazioni servono dei tratti più tradizionalmente femminili. Merida arriva a capire e ad apprezzare ciò che Papa Francesco ha recentemente sottolineato nella sua esortazione apostolica Evangelii Gaudium (La gioia del Vangelo), che è "l’indispensabile apporto della donna nella società, con una sensibilità, un’intuizione e certe capacità peculiari che sono solitamente più proprie delle donne che degli uomini.”
Seguendo la strada della Pixar, entrambe le principesse di Frozen sono forti, personaggi capaci, ma piuttosto che essere semplicemente ragazzi con curve sospette, Elsa e Anna sorprendentemente incarnano quei tradizionali tratti femminili di cui parla il Santo Padre. Mentre gli uomini in città si preparano alla guerra, la soluzione di Anna a questa crisi così vicina è semplicemente trovare la sorella e parlare per risolvere le cose. Non brandisce mai armi per tutto il film. E Elsa, che potrebbe tranquillamente uccidere ogni singolo essere vivente del regno, non utilizza mai i propri poteri per fare volontariamente del male a qualcuno. Il suo primo pensiero infatti è di isolarsi dagli altri in modo da non ferire nessuno. Usa i poteri solo per creare (il suo castello di ghiaccio è il culmine visivo del film) o per difendersi. Persino il gigante di ghiaccio (non minacciosamente chiamato Marshmallow) che mette a guardia del palazzo fa poco più che mandare via le persone. Non c’è nessuna principessa guerriera da trovare in Frozen ed è per questo che è un film migliore.
Sfortunatamente, il film non tratta i personaggi maschili altrettanto gentilmente. Dei due protagonisti maschili, quello che più si avvicina ad incarnare i tipici tratti maschili come cavalleria e coraggio fisico viene stupidamente fatto diventare cattivo all’ultimo minuto perché lo sceneggiatore ha supposto erroneamente che il film ne avesse bisogno. Allo stesso tempo, l’altro protagonista maschile finisce a incarnare… niente. È probabilmente la guida maschile più inutile mai vista in un film Disney. Sto cercando di pensare ad una sola cosa che abbia realizzato durante l’intero film e ho il vuoto. Quindi anziché prendere per bene in prestito qualcosa dalla Pixar e darci un altro Mr. e Mrs. Incredibile, Frozen ci dà due Mrs. Incredibili e nessun modello maschile funzionante.
Forse questa è una delle ragioni per cui mi figlio di undici anni non era entusiasta di Frozen. Oh, gli è sicuramente piaciuto. Ha trovato la renna e il pupazzo di neve divertenti, e si faceva una bella risata ogni volta che erano sullo schermo. Ma mentre tornavamo a casa dal cinema, non ha chiesto di comprare subito il dvd, che è un po’ il suo modo di dire che il film si deve assolutamente vedere. E io devo concordare con lui. Frozen non è un brutto film per mancanza di immaginazione. Solo che non è nemmeno un gran film. Se potessi riprendere qualcosa dall’ultimo grande Siskel&Ebert, in un film che cerca di darci il doppio di tutto, sfortunatamente Frozen ottiene solo un pollice in su.