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Il punto di vista del “ripetente” sulla scuola e sull’Italia

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Chiara Santomiero - Aleteia Team - pubblicato il 20/12/13
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Affinati: “aule scolastiche di ‘frontiera’ come la mia sono un luogo conoscitivo importante per capire i vicoli ciechi in cui ci siamo infilati e come occorra ritrovare ragioni di vita meno effimere”

Pinuccio non fa i compiti. Mirko gioca col cellulare. Davide rompe le penne. Romoletto scrive "vado ha casa". Siamo di fronte a vecchi Pinocchi o nuovi somari? Cosa succede nella testa di molti adolescenti di oggi? Perché è così difficile coinvolgerli nelle attività didattiche? Parte da queste domande “L’elogio del ripetente” (Mondadori), l’ultima opera di Eraldo Affinati, scrittore e insegnante nell’Istituto professionale “Carlo Cattaneo” presso la succursale della Città dei ragazzi di Roma. Insieme alla moglie, Anna Luce Lenzi, Affinati ha fondato la "Penny Wirton", una scuola di italiano per stranieri dove arrivano molti ragazzi accolti dai Centri di pronto intervento della capitale. “L’elogio del ripetente” dà voce alla sua esperienza di insegnante e di una scuola vista dalla parte dei più fragili, capaci, però, di inaspettate sorprese.

 

 

Chi sono gli adolescenti di oggi?

 

Affinati: Quelli di cui parlo nel libro sono i ragazzi che frequentano l’Istituto Cattaneo all’interno della Città dei ragazzi, l’istituzione fondata nel dopoguerra da mons. John Patrick Carroll-Abbing per accogliere i ragazzi rimasti senza famiglia e a rischio devianza e governata dagli stessi ragazzi che eleggono il proprio sindaco. Oggi accoglie molti minori stranieri non accompagnati che frequentano la scuola insieme ai ragazzi italiani provenienti dalle borgate vicine, come Corviale o Ponte Galeria. Gli stranieri sono ragazzi afghani o egiziani fuggiti da situazioni di conflitto e arrivati in Italia dopo viaggi ed esperienze traumatiche che restano come cicatrici; gli italiani sono spesso “reduci” da molti fallimenti scolastici e approdano al Cattaneo come a un’ultima spiaggia. Ragazzi “difficili” ma capaci di darti le più grandi soddisfazioni se riesci a guadagnarti la loro fiducia. Quando uno dei miei “ripetenti” più difficili è venuto per un anno intero a fare lezione di italiano a un ragazzo straniero alla Penny Wirton per me è stata una gratificazione enorme.

 

Cosa rappresenta per loro l’insegnante?

 

Affinati: L’insegnante deve essere per loro il maestro che insegna il rigore e pone i limiti da non superare – cosa che spesso non hanno dal loro contesto familiare – e, al tempo stesso, l’amico in grado di mettere in gioco se stesso come persona nella scommessa dell’insegnamento. Il professore che s’impone dalla cattedra a forza di registro non avrebbe nessuna possibilità di successo in contesti come quello della mia scuola. L’avventura dell’insegnante di oggi è proprio quella di essere costretto da solo, in maniera quasi anacronistica, non supportato dalla famiglia né dal contesto, a tentare di ricondurre a impegno e serietà adolescenti lusingati dai miti del successo. I ragazzi italiani vorrebbero essere come i calciatori che ammirano ma non si rendono conto che prima occorre diventare degli uomini, delle persone. C’è un lavoro di costruzione etica da fare. I ragazzi stranieri che magari hanno vissuto fino a ieri in un contesto rurale nella zona del Nilo, vengono catapultati in un mondo del tutto nuovo nel quale devono trovare il modo di mettere insieme culture e lingue diverse. L’italiano diventa una lingua “ortopedica” in grado di “saldare” la frattura: per questi ragazzi imparare l’italiano non è solo un compito scolastico ma il modo di imparare a pensare e a pensarsi, cercando di capire l’esperienza dalla quale provengono. Si tratta di un percorso affascinante anche per l’insegnante che li accompagna.

 

Un compito impegnativo…

 

Affinati: Quello dell’insegnante è il mestiere più bello del mondo ma bisogna esserci portati e lavorare anche molto con se stessi. L’insegnante deve avere stabilità emotiva per essere un punto di riferimento per la classe: i ragazzi hanno bisogno di adulti credibili davanti a sé perché spesso sono i primi che incontrano. L’adulto è qualcuno che ha compiuto delle scelte, non ondeggia tra mille possibilità, e questo atteggiamento gli dà credibilità davanti a degli adolescenti.

 

Perché suggerisci di scegliere il punto di vista del ripetente?

 

Affinati: Attraverso gli occhi dei ripetenti si capiscono non solo la scuola ma anche l’Italia di oggi. Il nostro Paese vive una crisi profonda che non è solo economica ma spirituale e loro, che sono cresciuti in un vuoto dialettico, senza nemmeno un “nemico” con il quale confrontarsi, te lo fanno capire. C’è la necessità di ritrovare dei valori per rassicurare questi giovani sul piano esistenziale. Le aule scolastiche di “frontiera” come la mia, sono un luogo conoscitivo importante per capire i vicoli ciechi in cui ci siamo infilati durante questi anni e come occorra ritrovare ragioni di vita più salde, meno effimere. Inoltre dobbiamo capire che abbiamo di fronte ragazzi che hanno una formazione totalmente diversa dalla nostra: ragionano, pensano e scrivono da nativi digitali mentre la scuola è rimasta sostanzialmente ad un impianto ottocentesco. Ci sono cose, come scrivere con la penna, che i ragazzi di oggi fanno solo a scuola. C’è uno scarto sostanziale tra sistema di istruzione pubblica e il mondo di questi ragazzi che richiede di essere colmato. Tuttavia il mio vuole essere un messaggio di fiducia: alla fine del libro c’è una lunga lista di insegnanti, bibliotecari, operatori nel mondo della cultura che ho incontrato andando in giro per l’Italia presentando il mio libro. E’ gente che si mette in gioco e rinnova la scuola dal basso, prima delle istituzioni. Per questo motivo siamo sicuri che la scuola è viva.

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