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Iraq: un albero di Natale a Baghdad per frenare l’esodo dei cristiani

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Solène Tadié - Aleteia Team - pubblicato il 19/12/13
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Il patriarca di Babilonia dei Caldei commenta una iniziativa del governo locale a favore dei cristianiUn albero di Natale alto 5 metri è stato piantato a Baghdad, nel quartiere di Karrada, sulla riva del Tigri, zona in qualche modo simbolo della coesistenza pacifica tra cristiani e musulmani, sia sciiti che sunniti. Salah Adbel Razzaq, responsabile del comitato culturale del consiglio provinciale di Baghdad, aveva già nnunciato l’iniziativa.

Si tratta di un gesto ancora relativamente isolato, in un Iraq in cui la maggior parte dei cristiani deve celebrare il Natale nella più grande discrezione: nessuna decorazione per le strade, e niente stop alle lezioni per gli studenti… L’iniziativa, portata avanti dal governo locale, vuole essere un segno di solidarietà verso i cristiani iracheni, che lasciano la propria patria sempre di più.

Il patriarca di Babilonia dei Caldei, mons. Louis Raphaël Sako, microfoni di Aleteia ha definito «molto precaria» la situazione attuale dei cristiani in Iraq e ribadito l'allarme per un vero e proprio esodo dei fedeli, la cui presenza si sarebbe dimezzata negli ultimi due anni. Ma questo non è tanto il risultato di un peggioramento delle persecuzioni a danno dei cristiani quanto di un clima sinistro dovuto ai conflitti tra sunniti e sciiti che colpisco il paese molto duramente.

L’altro fattore determinante, secondo il patriarca, è frutto delle crisi causate dalla primavera araba: “l’esodo si è realizzato, e dipende dalla situazione regionale e dalle sue crisi politiche, specialmente in Siria e in Egitto. I cristiani temono gravi ripercussioni sulla loro comunità. Sentono senza sosta storie di cristiani assassinati, rapiti, perseguitati, e tutto questo crea una situazione molto preoccupante per loro”. Le conseguenze di un tale esodo, se non verrà arrestato, saranno disastrose per i musulmani, perché la partenza dei cristiani implica anche quella del loro immenso patrimonio, spiega Mons. Sako. Tale patrimonio comprende 2000 anni di tradizioni liturgiche, patristica e spiritualità mistica, senza parlare dei costumi, dell’ apertura di spirito: “I cristiani in generale sono un’ élite, hanno dato molto al loro paese e anche contribuito alla civilizzazione musulmana. E' una grande perdita per i musulmani di qui. Quando i musulmani sono giunti dall’Arabia Saudita o dalla Penisola Iberica ad esempio, erano beduini e qui hanno trovato monasteri, scuole, ospedali etc.”.

Interrogato sulle possibilità di un ritorno dei cristiani iracheni alla loro terra d’origine, il patriarca ha sottolineato che “i governi locali fanno molto per incoraggiare questo ritorno, ne è un esempio, tra gli altri, l’albero di Natale. D’altra parte, ha continuato, i cristiani iracheni che sono emigrati verso i paesi occidentali sono un po’ isolati, anche delusi perché si erano fatti un’idea senza dubbio magnifica dell’Occidente, credevano fosse un paradiso terrestre, ma una volta sul posto si sono trovati di fronte a tutt'altra realtà. Non conoscono la lingua della liturgia, le usanze, soprattutto il concetto di famiglia, che per essi è fondamentale, è completamente diverso nelle culture occidentali. Fanno fatica dunque a trovare il loro posto”.

La comunità cristiana potrebbe quindi essere tentata di far ritorno alla propria terra natale se le autorità irachene accentuassero i propri sforzi, sia riguardo la libertà religiosa sia riguardo le infrastrutture. Ma se il patriarca di Babilonia ammette la presenza di numerose iniziative in certe regioni irachene al fine di promuovere il dialogo tra cristiani e musulmani, rimane comunque preoccupato per le sorti dei cristiani d’Oriente in generale, e ricorda che il rapimento delle dodici suore in Siria è una vergogna per il mondo intero.

“Siamo tutti cittadini, qualunque sia la nostra religione, siamo tutti uguali, il nostro rapporto con Dio deve rimanere un fatto personale, per ognuno di noi. È impensabile che la maggioranza si imponga sulla minoranza. Ed è fondamentale separare lo Stato dalla religione”, conclude.

[Qui trovate la conferenza in inglese tenuta a Roma da mons. Sako il 14 dicembre scorso sulle conseguenze dell’esodo dei cristiani in Medio Oriente]

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