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Il Natale visto attraverso i muri di Bansky

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Lucandrea Massaro - Aleteia Team - pubblicato il 18/12/13
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L’artista inglese ha realizzato questa immagine e ci spinge a farci domande sui muri del nostro tempo
E’ un anno che gira per la rete e naturalmente fa il boom di condivisioni durante il periodo delle feste. Parliamo di questa “cartolina” attribuita all’artista inglese Bansky, un writer (ma è riduttivo) la cui vera identità è ignota e che di cui si conoscono le incursioni nei paesaggi urbani. A ricordacelo è il quotidiano online Linkiesta che spiega come: “La cartolina riprende in tutto e per tutto la tradizione dei dipinti biblici, in particolare, l’episodio del viaggio di Giuseppe e Maria verso Betlemme, verso la stalla dove deve nascere Gesù, ma aggiunge un dettaglio che cambia leggermente la situazione e che proietta Giuseppe e Maria nel grottesco panorama del conflitto israelopalestinese. È il muro, quello eretto da Israele con l’obiettivo di difendersi dagli attacchi terroristici palestinesi” (18 dicembre).

Questa “ucronia” ci spinge a porci una serie di domande, tra cui la più classica: e se Gesù nascesse oggi, che mondo troverebbe? Innanzitutto, Gesù e i propri genitori, Giuseppe e Maria si ritroverebbero davanti ad un muro, verrebbero perquisiti all’ingresso della zona che racchiude Betlemme e non è nemmeno dato per scontato che potrebbero raggiungere Betlemme, compiendo così la Scrittura, come i Vangeli ci raccontano. Oggi la situazione tra Palestina e Israele è quella di tensione costante, ma non solo, c’è anche una separazione coatta tra persone che invece di odiarsi o combattersi, vorrebbero amarsi e condurre una vita normale.

Ce lo spiega un articolo di Terrasanta.net, “Una legge controversa che da undici anni pesa sulle giovani coppie palestinesi separate dal Muro. Ratificata per la prima volta nel 2003, è stata costantemente riapprovata dal parlamento israeliano, ultima volta in ordine di tempo pochi giorni fa. La normativa nega a decine di migliaia di famiglie palestinesi il diritto di vivere sotto lo stesso tetto. Come? Impedendo ai coniugi residenti in Cisgiordania e Gaza e sposati con palestinesi residenti in Israele di entrare nel Paese, per vivere una vita normale, nella stessa casa.

In mezzo resta il Muro di separazione, impossibile da varcare anche solo per amore. A battersi contro la legge sulla riunificazione familiare è da mesi un gruppo di attivisti palestinesi, sulla base delle numerose risoluzioni e convenzioni firmate dalle Nazioni Unite che vietano simili normative. Tra questi, il Comitato delle Nazioni Unite per i diritti umani che dal 2003 ad oggi ha più volte chiesto al governo israeliano di stralciare una legge che nega il basilare diritto dei coniugi alla coabitazione. A farne le spese sono 130 mila coppie palestinesi alle quali restano ben poche opzioni: restare divise o emigrare. Tenendo a mente che l’emigrazione si trasformerà in una trappola: una volta trasferitosi, il palestinese israeliano perderà tutti i diritti di residenza e cittadinanza in Israele, nella sua terra. Per questo non sono pochi quelli che decidono di vivere separati: uno di qua e uno di là, uno con in mano la carta d’identità verde dalla Cisgiordania e l’altro quella blu israeliana. Una necessità imposta dalle normative interne israeliane: nel caso la coppia abbia un bambino, questi potrà ricevere il passaporto israeliano solo se effettivamente residente all’interno dello Stato di Israele e potrà accedere a tutti i benefici, educativi, medici e sociali che alle comunità palestinesi che vivono in Cisgiordania sono preclusi. La campagna Love in the time of apartheid prova a fare pressioni sul governo israeliano o almeno ad attirare l’attenzione su una palese forma di discriminazione: la stessa legge non si applica agli ebrei cittadini israeliani, ma solo agli arabi” (9 maggio).

Ed è proprio la realtà di Betlemme, la città che la Sacra Famiglia vorrebbe raggiungere, ad essere dura . Ma ci sono iniziative di speranza dice il cantante dei The Sun, Francesco Lorenzi sul suo blog, nel quale racconta una iniziativa di preghiera e solidarietà che si è svolta nel marzo del 2011 proprio in Terra Santa: “Siamo insieme agli Scout, alle persone di Pax Christi, alle suore, ai preti locali e alle comunità cristiane palestinesi, siamo con loro per pregare e per agire in modo intelligente per far sì che questo scempio imploda al più presto.

Sono convinto che un Rosario recitato con amore, convinzione e Fede da 50 persone possa unire gli animi e crepare anche fisicamente le lastre di cemento e di odio. La nostra preghiera è forte, sono felice e grato di essere qui. Ci sono suore di Betlemme che ogni venerdì mattina vengono al muro e, puntate a vista dai mitra israeliani, recitano il Rosario camminando per il suo perimetro. Ci vuole coraggio. Donne consacrate, spesso minute, hanno più palle di uomini potenti votati alla spregiudicatezza e all’avidità, protetti da muri di gomma. Fa uno strano effetto vedere quei mitra puntati mentre si prega. E’ una esperienza che mi fa bene, ci fa bene. Per noi la libertà è un dato di fatto, come aprire il rubinetto e vedere dell’acqua che scorre: garantito. Non è così. Il mondo è un altro posto, noi siamo in un’oasi e il peggio è che per gran parte della nostra vita non ce ne rendiamo conto” (Blog di Francesco Lorenzi, marzo 2011).

Ed è l’atteggiamento della preghiera, della conversione che può cambiare le cose, come spiegava all’inizio dell’anno monsignor Giuseppe Lanzarotto: «I muri materiali si possono abbattere solo se abbattiamo i muri dello spirito. Quella è la cosa essenziale. Fin quando non si abbattono i muri che ognuno di noi porta dentro di sé, non sarà possibile abbattere altri muri, anzi se ne costruiranno di nuovi, che è ancora peggio. Bisogna, quindi, prima di tutto, lavorare e impegnarsi per abbattere i muri che abbiamo dentro di noi e fare in modo che non crescano muri dentro di noi». Lanzarotto è nunzio apostolico in Israele e delegato apostolico in Gerusalemme e Palestina (Radio Vaticana, 10 gennaio).

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