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Napolitano ha ragione, ma non è ancora il punto di non ritorno

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Gelsomino Del Guercio - Aleteia Team - pubblicato il 16/12/13
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Bonini: in Italia la società ha ancora molte risorse, ma la politica continua a non capire le ragioni della protesta. Le elezioni europee saranno una valvola di sfogo«La crisi che ha investito l’eurozona ha messo a dura prova la coesione sociale. Le più elaborate previsioni 2014 segnalano un rischio diffuso di tensioni e scosse sociali: un rischio che deve essere tenuto ben presente e fronteggiato in Italia». Lo ha detto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nel corso del tradizionale scambio di auguri al Quirinale. «Occorre accompagnare il più severo richiamo al rispetto della legge con la massima attenzione a tutte le cause e i casi di più acuto malessere sociale», ha sottolineato Napolitano (Corriere della Sera, 16 dicembre)

Una preoccupazione «fondata» secondo Francesco Bonini, professore ordinario di storia delle istituzioni politiche all'Università Lumsa di Roma, «ma non siamo ancora ad un punto di "non ritorno».

Professore perché il timore di Napolitano è fondato?

«Abbastanza fondato perché diversi indicatori dimostrano che ci sono categorie e settori della nostra società che attualmente non vedono di fronte a sé un futuro percorribile e questo può generare spinte irrazionali e violente, che nelle recenti manifestazioni hanno dato esiti verbali. Purtroppo è sempre possibile che su queste manifestazioni si innestino speculazioni che portino allo scontro fisico».

C'è il rischio che la rabbia possa estendersi oltre le "teste calde"?

«Con estremo realismo, il punto di "non ritorno" si sviluppa nel momento in cui nessuno ha nulla da perdere. La nostra società ha ancora molte risorse materiali e spirituali. Per cui penso che il punto di "non ritorno" non è vicinissimo. Siamo a una fase di ristrutturazione sociale profonda con dei costi evidenti, e fin quando non ci si rende conto di questo dato non si comprende la gravità del problema. Utilizzo un'immagine per analogia».

Prego.

«Dopo il 1989 (caduta del muro di Berlino ndr) le società dei paesi dell'Europa centrale e orientale subirono processi radicali di cambiamento, con degli importanti costi sociali. In termini meno evidenti, la crisi economica del 2008 sta determinando un processo simile nei paesi dell'Europa occidentale».

Come evitare che questo processo diventi incontrollabile?

«Anzitutto la politica deve garantire una radicale diminuzione della conflittualità inutile e un intervento altrettanto radicale sulle più evidenti ingiustizie, sui privilegi e le sperequazioni. E ben sappiamo che tutto questo non è impossibile da realizzare. Certo, ci vuole una forte volontà e progettualità a medio termine e per questo servono stabilità e riforme istituzionali».

Insomma va fermato chi vuol rompere le "larghe intese".

«Guardi, larghe o no, le intese ora sono necessarie, ma devono portare a risultati tangibili. Qualsiasi governo, che sia fatto da un partito o da una coalizione, si giudica in base ai risultati, per ora molto modesti. Ma all'orizzonte non ci sono alternative credibili e praticabili sino all'approvazione della legge elettorale per elezioni politiche. Intanto ci sono le europee e attraverso di esse la protesta nei confronti della politica, che una parte consistente di italiani oggi esprime, potrà avere una sua manifestazione pacifica e civile».

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