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I bambini siriani invidiano la stalla dove è nato Gesù

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Agenzia Fides - pubblicato il 16/12/13
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L’Arcivescovo maronita di Damasco commenta amaramente l’avvicinarsi dell’ennesimo Natale di guerra“In Siria a Gesù Bambino non mancano i compagni: migliaia di bambini che hanno perso le loro case vivono sotto tende povere come la stalla di Betlemme”. Così l'Arcivescovo maronita Samir Nassar descrive la condizione vissuta dall'infanzia siriana nel tempo che precede il Santo Natale. In un toccante messaggio di riflessioni natalizie inviato all'Agenzia Fides, l'Arcivescovo maronita di Damasco esprime con immagini forti i sentimenti condivisi da tanti cristiani siriani davanti all'avvicinarsi dell'ennesimo Natale di guerra.

“Gesù” fa notare mons. Nassar “non è solo nella sua miseria. L'infanzia siriana, abbandonata e segnata dalle scene di violenza, sogna di essere al posto di Gesù, che ha sempre con sé i suoi genitori che lo circondano e lo accarezzano. (…). Alcuni invidiano il Bimbo divino che ha trovato una stalla per nascere e ripararsi, mentre tra questi bambini disgraziati c'è chi è nato sotto le bombe o lungo il cammino della fuga”. Anche Maria – insiste l'Arcivescovo maronita “non è più sola, nelle sue difficoltà: tante mamme infelici e sfortunate vivono nella povertà estrema e si caricano tutte le responsabilità familiari da sole, senza i loro mariti… La presenza rassicurante di Giuseppe presso la Sacra Famiglia suscita gelosia tra le migliaia di famiglie private del papà. Un'assenza che alimenta la paura, l'angoscia e l'inquietudine”.

Nella condizione martoriata del popolo siriano, sembra non esserci posto per la promessa di pace e letizia propria del Natale: “Il rumore infernale della guerra” scrive Nassar “soffoca il Gloria degli Angeli. La sinfonia del Natale per la pace cede davanti all'odio e alle crudeltà più atroci”. Eppure proprio l'estenuante prolungarsi del conflitto che ha già superato i mille giorni rende ancora più forte il grido di preghiera dei cristiani davanti al presepe: “Signore, esaudiscici”, così conclude il suo messaggio l'Arcivescovo Nassar.

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