L’ultima tecnologia Google segna un punto di non ritorno nel nostro mostro di osservare la realtà, ma anche nel nostro… essere osservatiSono ancora in pochissimi ad indossarli, poiché il progetto è ancora in fase sperimentale, ma l’impatto dei Google Glass sul mondo di tutti i giorni si annuncia devastante. Ce lo suggerisce un episodio capitato a Seattle, negli Stati Uniti, dove un giovane è stato invitato ad uscire da un ristorante nel momento in cui ha rifiutato di togliersi i Google Glass che indossava. Il motivo? Problemi di privacy, dato che questa tecnologia pioneristica – e che sarà in commercio solo dal prossimo anno – consente facilmente, tra le tantissime altre opzioni, di riprendere immagini e scattare foto all’insaputa di chiunque si trovi davanti al microscopico obiettivo. Si tratta di uno strumento che, nel bene o nel male, produrrà una nuova mutazione nel nostro senso di percezione della realtà, già sollecitato negli ultimi anni da innovazioni tecnologiche costanti e sempre più sconvolgenti. Abbiamo cercato di analizzare le potenzialità di questo impatto da un punto di vista comunicativo e antropologico, con Daniele Chieffi, – docente di temi legati alla comunicazione digitale presso l’Università Cattolica di Milano e alla Business School del Sole 24 Ore, e autore nel 2012 di Social Media Relations (Gruppo 24 Ore) – e da un punto di vista legale, con Domenico Colella – avvocato esperto in materia di Information Technology e docente presso la LUISS e l’Università di Bocconi di Milano -.
Google glass, uno strumento che sarà commercializzato nel 2014, è davvero più invasivo di altri strumenti tecnologici?
Chieffi: È decisamente più invasivo, e per un motivo molto semplice: è il primo esempio di interfaccia di una macchina in tempo reale, nel senso che tu hai la possibilità di digitalizzare la realtà che hai davanti agli occhi. Questo non è esattamente un passaggio banale: prima tutta la digitalizzazione della realtà passava attraverso degli strumenti che contenevano in loro la realtà, che generavano una realtà altra rispetto a quella che viviamo tutti i giorni. Cioè, tu potevi andare in un ristorante e poi lasciare una recensione su Tripadvisor o da qualche altra parte, scattare una foto e poi postarla, ma c’era sempre un momento di traslazione dal contesto reale al contesto digitale. I Google Glass in realtà annullano questa barriera: cioè tu sei in grado di digitalizzare la realtà in tempo reale. E questo indubbiamente è un passo ulteriore, dove si abbatte ogni interfaccia tra uomo e macchina. I Google Glass non fanno altro che inserire elementi digitali nella realtà che vivi e nella tua esperienza. Questo significa che tu hai una percezione aumentata della realtà, ad esempio una localizzazione maggiore o la possibilità di fissare un’immagine e postarla in tempo reale. Sicuramente è uno strumento rivoluzionario.
Questi strumenti, ormai protesi del nostro abbigliamento e del nostro corpo, stanno cambiando la nostra percezione della realtà? Sono punti di non ritorno?
Chieffi: Sono inevitabilmente punti di non ritorno. Questo dipende dall’evoluzione tecnologica. Tieni presente che nel progetto iniziale i Google Glass dovevano essere lenti a contatto. E magari si arriverà a questo, con la nanotecnologia, soprattutto se pensi che i Google Glass in realtà sono una microcamera che proietta immagini direttamente sulla retina. Stiamo parlando di tecnologia che fino a cinque anni fa era pura fantascienza. Se pensi che adesso, che ancora è un gadget, il Watch Phone di Samsung integra un oggetto assolutamente quotidiano che esiste da secoli in forma da orologio da polso con un device elettronico. È ovvio che la tendenza tecnologica è quella di integrare il più possibile la tecnologia nella quotidianità, fino ad arrivare ad una integrazione fisica. È operativo già il concetto del microchip sotto pelle che sostituisce le carte di pagamento, ecc. Non è fantascienza, esiste. Quindi la tendenza sarà sempre più l’abbattimento della barriera tra uomo e macchina. E questo provocherà inevitabilmente, come già sta provocando, un mutamento della percezione della realtà quotidiana nella sua usabilità, e quindi anche la comunicazione, che diventerà sempre più integrata in maniera digitale. Oggi è la norma avere dei telefoni con i quali comunichi in varie forme, con la chat di Facebook, con gli SMS, con Whats App, ecc., fino a dieci anni fa non esistevano neanche gli SMS.
Quando Nick Starr, il ragazzo cacciato dal ristorante di Seattle, ha cercato solidarietà su Facebook, la reazione è stata di scherno nei suoi confronti. Questo può sorprendere: come ragionano i social media?
Chieffi: Ci sono due aspetti in questo. Uno è la reazione istintiva a una tecnologia completamente nuova che ancora non è diffusa, per cui è vista anche con mancanza di comprensione da parte delle persone. È un po’ quello che accadeva quindici anni fa quando c’erano i primi cellulari, e uscivano le rubriche satiriche in cui c’era qualcuno che intercettava le conversazioni prendendo in giro che le persone spendessero centinaia di migliaia di lire, allora, per dirsi “butta la pasta” oppure “torna a casa”. Quello era un atteggiamento di scherno rispetto ad una tecnologia completamente nuova. L’altro aspetto è che dobbiamo smetterla di pensare ai social network come abitati da un popolo alieno: i social network sono esattamente la riflessione in digitale di dinamiche sociali normali. Sono popolati da noi: da me, da te, dal figlio del portinaio, dall’impiegato, dal farmacista. Allora, un tema che non appassiona, che non tocca le emozioni delle persone, trova sui social network la reazione che troverebbe se tu facessi lo stesso discorso in mezzo ad un gruppo di persone non riuscendo ad appassionarli. Non esiste un popolo della rete: i fanatici sono quattro gatti sparuti che passano la vita dietro ad un PC, il resto del mondo usa i social network per esprimere quello che pensa in modo naturale, con meno filtri rispetto alla vita reale, e se una cosa non lo appassiona lo dice. Se a questo aggiungi il fatto che stiamo parlando di una tecnologia che non si conosce – perché i Google Glass li hanno in pochissimi – allora la reazione è stata necessariamente fredda.
I Google Glass si potrebbero usare oggi in Italia?
Colella: Pensi, proprio ieri ho avuto la fortuna di provare uno dei pochi esemplari di Google Glass già in Italia. Come ogni device analogo, un cellulare o una microcamera, i Googl Glass sono uno strumento neutro. Da un punto di vista normativo nessuno in Italia può impedire di usarli in un ristorante, perché non ha certezza che l’utilizzo sia illecito. Esattamente come nessuno potrebbe impedirmi di portare in un ristorante il mio cellulare. La differenza dei Google Glass rispetto ad un cellulare è che verificare il loro utilizzo è un po’ più problematico. Tu non sai che cosa l’utente stia facendo, mentre con un cellulare risulta più evidente se lo utilizzo per fare riprese, e quindi in maniera illecita. Se inizio a fotografare persone, con un cellulare o con i Google Glass, ci sono due profili. Uno è di tutela del diritto all’immagine, cioè nessuno può essere ripreso contro la propria volontà, senza un consenso esplicito. L’altro riguarda la privacy, e quindi il trattamento illecito di dati che possono essere anche sensibili. Le faccio un esempio, se con i Google Glass io entrassi in un bar gay, cominciassi a riprendere le persone e le fotografie le mettessi su Facebook, è chiaro che la violazione sarebbe di dati sensibili, perché riguarderebbero le tendenze sessuali delle persone che sono lì dentro. Il problema di Google Glass è proprio che quando una persona li indossa è difficile capire che cosa ci sta facendo, se sta guardando un sito o se sta registrando.
Un ristorante qui da noi potrebbe cacciare degli avventori che li usano?
Colella: Dal punto di vista legale un ristorante in Italia non mi potrebbe mai allontanare perché indosso i Google Glass, esattamente come non potrebbe farlo se porto con me un cellulare. Certo, se avessero la certezza che li stessi utilizzando per riprendere, la cosa sarebbe diversa. Anche perché, e questo è uno dei problemi, è vero che Google ha detto che non implementerà sui Google Glass applicazioni di riconoscimento facciale, però gli stessi sviluppatori degli occhiali hanno anche detto che non possono impedire che lo faccia un terzo. Riconoscimento facciale vuol dire che io dalle caratteristiche fisiologiche del viso sono in grado di capire chi è quella persona, e qui non solo la violazione del diritto all’immagine ma anche il trattamento illecito è ancora più grave, perché dal sapere chi è una persona io posso risalire anche ad altre informazioni. Quindi un ristorante potrebbe intervenire, o le persone riprese potrebbero farlo, nel momento in cui avessero la prova provata, da come una persona si muove, che sono usati per riprendere. Non escludo, però, che qualche ristorante chieda di disattivarli, potrebbe anche succedere in Italia. Ma non potrei certamente essere allontanato in Italia se mi rifiuto di toglierli. Potrei fare tantissime cose oltre a riprendere, si può consultare internet, si può ascoltare musica. Devo ammettere, sono strumenti eccezionali.
La privacy è un diritto inalienabile, eppure il suo confine sembra in movimento. Qual è stata la tendenza in questi ultimi anni? Abbiamo abbassato le difese?
Colella: No, le abbiamo aumentate di molto. In Europa c’è un quadro normativo che è molto più avanzato rispetto a quello degli Stati Uniti in materia di privacy. Per esempio, in Italia il garante dei dati personali sta diventando sempre più aggressivo e attento alle violazioni. Ad esempio, da ultimo anche sul redditometro, laddove le presunte violazioni della privacy derivano da scelte dello Stato: sul redditometro infatti una delle risoluzioni più recenti del garante ha stabilito che devono essere indicate solo le spese certe, non quelle presunte, perché altrimenti si andrebbe oltre un livello accettabile di compressione di diritto alla privacy di chi viene controllato. Quindi abbiamo sempre una maggiore attenzione, anche dovuta al fatto che l’evoluzione dei media rende le intrusioni alla privacy sempre più complesse e sempre più frequenti. Da questo punto di vista il diritto insegue giornalmente i progressi della tecnica nell’ottica della difesa dei nostri dati personali. E quella del diritto alla privacy è probabilmente una delle poche aree, in Italia e in Europa in generale, se pensiamo anche alla normativa sui cookies, che sta al passo rispetto ai progressi della tecnica. I garanti della privacy, per i poteri che gli concede la legge, sono molto attenti e molto avanti rispetto agli altri. E anche dal punto di vista dell’opinione pubblica, credo, che negli ultimi tempi sia emersa una consapevolezza maggiore su quello che vuol dire consentire il trattamento dei propri dati personali: pensi al telemarketing, pensi all’attenzione che le persone hanno ora rispetto alle modalità in cui un soggetto che ti contatta ha ottenuto i loro dati personali. Sono in aumento su questo le denunce al garante della privacy da parte dei privati cittadini per le telefonate non richieste che ricevono dai venditori.