La complessa figura di Nelson Mandela tra vita pubblica e privata e una difficile valutazione da dareIn una giornata come questa, che ha visto nella tarda serata di ieri la notizia della morte di Nelson Mandela, non potevano mancare fiumi di parole per parlare dell'anziano leader dell'ANC, padre del moderno Sudafrica. Madiba, questo il suo soprannome, era certamente – come tutti i grandi uomini politici – una personalità complessa, con luci e ombre. Facile parlare delle prime, più complesso invece per le seconde. Il Redattore Sociale ha prodotto diversi materiali per inquadrare Mandela, la sua famiglia e il suo retaggio. Facciamo il punto sul leader della lotta all'apartheid.
Mentre si trovava in prigione e il suo paese ancora sotto il regime dell'apartheid, Mandela è stato fonte di ispirazione di opere letterarie, musica, film ed eventi internazionali. Lo spunto più amato, quello della libertà e il suo coraggio nell'affrontare i lunghi anni di carcere: “Amo la libertà, ma ancor più m’importa della vostra libertà. Non posso, per essere libero, vendere il diritto alla vita del popolo. Solo uomini liberi possono negoziare, i prigionieri non possono. La vostra libertà e la mia non possono essere separate”, scriveva Mandela a sua figlia mentre era prigioniero. Ancora Mandela: “È un ideale per il quale spero di vivere e che spero di raggiungere. Ma, se sarà necessario, è un ideale per il quale sono pronto a morire”.
La figura di Mandela oscilla tra la storia e il mito, che non rende semplice un inquadramento della sua figura, avendone fatto – in pratica – una icona intoccabile. In Sudafrica si è raggiunta una parità di diritti sostanziale, ma permane una forte disuguaglianza economica tra neri e bianchi. C'è chi addirittura chi lo ha accusato di aver tradito la causa dei neri nel suo paese. Troppo pragmatismo che ha portato ad una vittoria al prezzo di una transizione incompleta. La scelta stessa della “non violenza” e del “compromesso” pacifico sembra sia stata dettata da una strategia più che da un ferreo convincimento. Di certo un risultato positivo, visto che il Sudafrica è stato l’unico stato dell’Africa australe a superare il colonialismo senza spargimento di sangue. Ma anche un venire a patti con il potere economico che secondo alcuni è la prima causa di una mancata integrazione degli autoctoni. Ma è anche vero che gran parte della responsabilità è probabilmente da attribuire più all'ANC (African National Congress), il partito di cui Mandela fu leader.
Per capire l'entità del problema è bene sapere che secondo la road map voluta da Madiba e dall'ANC, entro il 1999 il 30% delle proprietà terriere doveva passare agli autoctoni ma il processo è stato molto più lento. Nel 2007 solo il 7% era in mano a neri. Così il termine del 30% è stato spostato al 2014. Nel frattempo la speranza di vita è scesa di undici anni (nel 1994 era di 61 anni, nel 2012 di 50) segno di fortissimi dislivelli sociali.
Anche sul fronte personale ci sono molte spine e poche rose. Con la sua morte, le dispute familiari per l'eredità sono destinate a peggiorare. Mandela ha avuto tre matrimoni e molti figli e nipoti che si contendono l'eredità e che cercheranno di sfruttare al massimo il nome del loro patriarca. Ciò che non può essere negato è il fatto che oltre ad essere un affare di famiglia, la lotta riguardante il luogo di sepoltura di Mandela è una lotta pubblica su quello che diventerà un luogo storico nazionale. Data la sua statura internazionale, il luogo della tomba di Mandela diverrà certamente una delle principali attrazioni turistiche del paese, generando milioni di dollari e cambiando le vite dei villaggi dove Mandela alla fine verrá sepolto.
Ma naturalmente c'è anche una eredità pubblica molto importante. Mandela ha combattuto per una società giusta, una lotta che è culminata nella demolizione del regime dell’apartheid. Ha abbandonato il palcoscenico della politica dopo aver servito solo un mandato, preparando la strada per le generazioni più giovani che prenderanno il comando. Molti leader africani sono noti per tenere il potere fino alla morte. Dittatori come Robert Mugabe in Zimbabwe vengono subito in mente. Al potere da quando lo Zimbabwe è diventato indipendente nel 1980, Mugabe ha continuato a rimanere attaccato alla sua posizione. “Se c’è qualcosa per cui l’Africa dovrebbe ricordare Mandela, è la sua determinazione a liberare i sudafricani dall’oppressivo regime dell’apartheid e dalla credenza che non si deve essere per sempre al potere per diventare popolare. È questo il motivo per cui ha servito soltanto un mandato e poi ha lasciato. Questa è una cosa che altri leaders africani dovrebbero imitare”, afferma il Adams Oloo, presidente del Dipartimento delle politiche e delle relazioni Internazionali all’università di Nairobi.