Devigili: “la comunicazione responsabile può essere la leva per ricostruire la fiducia tra impresa e cittadini indispensabile nello stato attuale di crisi”E' stato assegnato nei giorni scorsi il “Premio San Bernardino per la pubblicità socialmente responsabile” (nato nel 2004 da un'idea di mons. Giovanni Santucci, vescovo di Massa Carrara-Pontremoli) al termine di una tavola rotonda sul rapporto tra etica e pubblicità cui è stato chiamato ad intervenire anche il direttore generale di Aleteia, Andrea Salvati. Quello della pubblicità socialmente responsabile e in genere della responsabilità sociale delle imprese è un tema a cui si è posto attenzione di recente ma che ha radici lontane, come ha spiegato ad Aleteia, Danilo Devigili, manager di RGA, una società di consulenza in tema di ambiente, sicurezza e responsabilità sociale.
Perché le imprese devono preoccuparsi di veicolare un messaggio sociale positivo oltre a promuovere il proprio prodotto?
Devigili: In realtà si tratta di due categorie che coincidono sempre di più. La separazione tra la comunicazione commerciale tradizionale e quella valoriale ha sempre meno senso. Semmai questo tipo di separazione dipende dalla deriva finanziaria degli ultimi tempi, ma pur non volendo richiamare la dottrina sociale della Chiesa o la Costituzione che all'art. 41 afferma che l'iniziativa economica non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale, tuttavia le imprese hanno sempre prodotto beni e servizi non solo per il mero guadagno ma anche per il progresso e la crescita collettiva. Se promuovo un prodotto che inquina di meno, non sto facendo beneficenza ma migliorando la qualità della mia produzione rispetto al mercato. E' frutto di un certo atteggiamento culturale guardare all'impresa come puro business mentre l'interesse sociale sta da un'altra parte. La comunicazione sociale responsabile non è un costo in più, ma una opportunità ed è sempre più chiesta dal pubblico.
La necessità della responsabilità sociale dell'impresa è quindi una consapevolezza diffusa?
Devigili: Pur essendo un concetto venuto in evidenza abbastanza di recente ha però radici lontane: la dottrina sociale della Chiesa ha più di un secolo e la stessa storia di Adriano Olivetti, riproposta di recente da una fiction televisiva, è la testimonianza concreta di un'impresa attenta al sociale già a partire dall'ultimo dopoguerra. Negli ultimi anni è cresciuta una sensibilità all'interno delle stesse imprese riguardo ai temi dell'inquinamento o dello sfruttamento dei lavoratori o dei bambini nei paesi poveri, influenzata anche dalle prese di posizione dell'opinione pubblica. Le istituzioni stesse hanno contribuito con l'emanazione di leggi più severe in tema di tutela dell'ambiente. Oggi la cultura manageriale si occupa seriamente di questi temi e non c'è azienda che non abbia un responsabile del settore. Quando ho frequentato io l'Università non si parlava di responsabilità sociale d'impresa: oggi la insegno in molti corsi e scuole di management.
Quali consigli date alle imprese riguardo a questo tipo di comunicazione?
Devigili: Il primo consiglio è quello di perseguire una credibilità non solo attraverso il messaggio ma soprattutto nell'azione. Se nella comunicazione commerciale tradizionale si può ricorrere a concetti suggestivi per reclamizzare un prodotto, nella comunicazione sulla responsabilità sociale di impresa bisogna attenersi ai fatti. Poiché infatti l'impatto sull'ambiente di una determinata attività si può misurare, se un'impresa afferma che il suo prodotto ha ridotto la produzione di Co2 deve essere vero altrimenti potranno sorgere problemi e una perdita di credibilità. Sembra banale ma è uno degli errori in cui si cade più frequentemente, anche perché non è facile rispettare alcuni standard.
E poi cos'altro suggerite?
Devigili: E' molto importante il coinvolgimento. Mentre con la pubblicità di tipo classico, l'azienda emette un messaggio che il consumatore è chiamato a recepire, oggi c'è una grande richiesta da parte di consumatori e associazioni di poter interagire con l'azienda. Si parla, a questo proposito, di stakeholder management, cioè dell'attenzione ai soggetti o ai gruppi portatori d'interesse verso l'azienda. Sul tema della responsabilità sociale, inoltre, è necessario un approccio olistico, di tipo globale: non si può essere responsabili verso l'ambiente e irresponsabili verso i dipendenti o il mercato e viceversa. Altro elemento delicato, infine, è differenziare la comunicazione a seconda dell'interlocutore: se si tratta del consumatore non può avere le stesse caratteristiche della comunicazione per addetti ai lavori. E' l'errore in cui cadono le imprese che, ad esempio, si limitano a pubblicare il bilancio sociale sul sito aziendale: possono capirlo solo in pochi.
Quali prospettive vede per il futuro?
Devigili: La comunicazione responsabile può essere la leva per ricostruire la fiducia tra impresa e cittadini. Le ricerche ci dicono che quando le persone conoscono i comportamenti responsabili delle imprese, questa consapevolezza – com'è ovvio – aumenta la loro considerazione nei confronti delle imprese stesse. Però le stesse ricerche ci dicono che pochi consumatori sanno indicare imprese di questo tipo. La ragione sta nel fatto che le imprese investono ancora poco in comunicazione e non sanno veicolarla. In pratica c'è un dialogo tra sordi: molte aziende parlano di beneficenza mentre i consumatori vogliono essere informati sulla sostenibilità. Al di là di ciò che prescrivono le norme di legge: deve emergere la buona volontà delle aziende di essere trasparenti anticipando la legge stessa. La raccomandazione che rivolgo agli imprenditori è: non siate timidi! Bisogna avere coraggio in questo campo perché il pubblico è affamato di sostenibilità e comunicazione valoriale. In un momento di crisi come quello attuale, un'impresa che segue dei principi di sostenibilità è un grande segnale di speranza perché dice che è possibile produrre senza distruggere l'ambiente né sfruttare le persone e, quindi, senza compromettere la convivenza civile.