Padre Albanese: trasmissione paternalistica, un errore far parlare i vip di solidarietà. La raccolta fondi? E’ solidarietà pelosa«Il pietismo c’è, la spettacolarizzazione pure ma tutto sommato Mission, il programma più contestato della tv, andato in onda ieri sera su RaiUno, risulta brutto solo a metà, salvato in corner dalla presenza di Candida Morvillo e Francesco Pannofino che compensano le iniziali immagini compassionevoli della famiglia Carrisi. Il debutto del primo “esperimento di social tv” non è stato particolarmente premiato dal pubblico raccogliendo solo l’8,17 per cento di share, circa due milioni di spettatori, appena sotto le aspettative del direttore di RaiUno Giancarlo Leone che puntava al 10 per cento» (Redattore Sociale, 5 dicembre).
Padre Giulio Albanese, una delle voci storiche tra i missionari italiani, ha diretto il New People Media Centre di Nairobi e fondato nel 1997 la Missionary Service News Agency, ora divenuta Misna. Conosce molto bene l'Africa e le problematiche dei rifugiati. E quando gli si parla di Mission, lo boccia, sollevando una ad una tutte le criticità di un programma televisivo divenuto in poche ore un caso nazionale.
Padre Giulio, ha seguito la puntata di Mission?
«Si l'ho seguita».
E che impressione le ha fatto?
«Credo che abbiamo perso un'occasione. Uno spazio del genere, in prima serata, sugli schermi della televisione pubblica, non capita tutti i giorni. Si può parlare del sud del mondo e delle cosiddette periferie del pianeta con un genere diverso e sopratutto utilizzando interlocutori all'altezza della situazione».
Ma deve fare i conti con le leggi dell'audience, anche se alla fine ha fatto l'8% di share.
«Per carità, capisco quali possano essere le esigenze dei dirigenti della Rai che avevano come preoccupazione i dati sull'ascolto, e i vip secondo loro avrebbero sortito l'effetto di uno specchietto per le allodole. Ma certi temi hanno una loro sacralità e dovremmo sforzarci di immediatizzarli dando voce a chi non ha voce».
Si spieghi.
«Penso ad una vicenda come quella del Mali di cui si è parlato durante il programma. I nostri telegiornali hanno dato pochissimo spazio. Il primo sforzo che dovrebbero fare i grandi network è raccontare la cronaca di questi paesi, ma questo non avviene. E mi dica lei se è possibile che si debba ricorre a questi escamotage per raccontare avvenimenti drammatici, che hanno a che fare con il nostro vissuto nel "villaggio globale"».
L'informazione generalista che tace su questi argomenti non è certo una notizia nuova.
«Ma infatti ritengo che la sfida sia culturale. Al contempo bisogna interrogarsi sui generi, sul formato televisivo, che si offre».
Insomma il modello Grande Fratello non la convince per niente.
«Rispetto al Grande Fratello, Mission è più particolare. Vorrei tornare sugli ospiti».
Prego.
«A mio avviso si potevano utilizzare personaggi espressione della società civile. Si poteva invitare il presidente di Confindustria, un sindacalista, un parlamentare leghista, la casalinga di Voghera. Persone che sono espressione in qualche modo dell'Italia e insieme farli interrogare su cosa avviene nelle periferie del mondo e interloquire con personaggi che seguono da vicino queste problematiche. L'approccio di Mission è stato paternalistico perché l'Africa e il sud del mondo non sanno cosa farsene della solidarietà pelosa».
Pelosa perché?
«Con queste campagne narcotizziamo le coscienze: la gente manda sms e pensa di aver aiutato chi abita nei bassofondi del mondo. Queste nazioni invece invocano giustizia, non "ricchi epuloni" che li guardano dall'alto verso il basso e gli donano un euro pensando di risolvere i problemi di questi derelitti. Tra l'altro queste nazioni, ad iniziare dallo sfruttamento delle loro materie prime, danno ai paesi industrializzati molto più di quanto viene donato tramite questi sms. E poi aggiungo che quella trasmissione ha creato confusione tra Ong e Organismi Internazionali».
Cioè?
«La cooperazione internazionale è un tema complesso e va spiegato bene. Bisogna far capire bene chi e come si occupa dei rifugiati. E poi c'è la questione dei tanti missionari che operano nel sud del mondo, e andrebbe fatto conoscere anche il loro operato. Tutto questo mi fa dire che da Mission sono rimasto francamente deluso».