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La chiaroveggenza di Magritte per ritrovare la bellezza della vita

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Il pittore, non credente, ci spiega che dal miracoloso incontro di cellule siamo già una promessa di eternità
Non guardiamo la televisione, per scelta. Siamo monache di clausura e guardiamo ogni giorno la sorgente di vita di grazia che sta nel cuore della Chiesa: l’Eucaristia. Tuttavia restiamo aggiornate attraverso altri mezzi di informazione. Amiamo la lettura, più discreta, però non disdegniamo di lasciarci affascinare o interrogare dalle infinite immagini che più frequentemente sono il mezzo di comunicazione privilegiato, oggi.

Così mi ha sorpreso la modernità di un’opera di Magritte. Mi ha sorpreso e insieme mi ha dato la chiave di lettura per comprendere il nostro tempo. Il dipinto si intitola: Chiaroveggenza e presenta lui, proprio lui, il pittore, Magritte, intento a dipingere una tela. Un quadro nel quadro, secondo una tipologia iconografica che ha avuto discreta fortuna nella storia dell’arte. Il quadro nel quadro ha sempre un intento educativo, didascalico. Ebbene, mi sono detta, che cosa mai vorrà insegnare Magritte con un dipinto così apparentemente assurdo?

Il pittore osserva, sopra un tavolo, un uovo, ma la mano che regge il pennello sta dando alla tela gli ultimi tocchi per realizzare un uccello, adulto, nero, con le ali spiegate. Ecco la chiaroveggenza: Magritte guarda un uovo, ma già vede in divenire il frutto e il destino ultimo di quell’uovo.

Magritte non era credente, anzi. Dopo la perdita tragica della madre, probabilmente suicida, affermerà più volte di essere ateo. Tuttavia proprio René Magritte, scriverà che solo l’arte riesce a dire qualcosa del Mistero, a dire Dio. Contraddizioni che raccontano un’anima non ideologica, bensì tormentata dal travaglio di un Oltre a cui non riesce a dare Nome.

Sento il dibattito feroce, sull’inizio della vita e sulla sua origine. Sento parlare dell’embrione come di un grumo di sangue e nulla più. Sento parlare di suicidio volontario o assistito come un gesto di grande dignità, sento parlare della fine dell’uomo come un ammasso di carne e ossa, dato in pasto ai vermi. Sento parlare di tutto ciò e di altro ancora e mi domando: dov’è finita la chiaroveggenza dell’ateo Magritte? Quello sguardo profondo sulla realtà che la comprende a partire dal suo senso ultimo e dal suo divenire? Perché Magritte, non credente, ha guardato un uovo e ha visto la vita vibrarsi in volo? Perché non ha dipinto un tegame con l’uovo pronto da cucinare? Perché ha visto l’uovo e ha pensato al suo fine, non alla sua fine.

Forse perché René Magritte aveva un forte senso della vita, era compreso della sua dignità di uomo e di artista. Che l’uomo non voglia morire, che l’uomo nato dal miracoloso incontro di cellule, di sangue e di carne fuse in un abbraccio vitale, sia già una promessa di eternità è scritto nel DNA. Questa è chiaroveggenza.

Che l’uomo immobile, sostenuto da un filo di fiato, sia al traguardo di una vita altra, sia lo specchio della disparità enorme esistente fra l’uovo e l’uccello in volo, sia il preludio a un volo che lo libererà per sempre: questa è chiaroveggenza.

Dedicherò la mia preghiera a tutti i Magritte del nostro tempo. Perché possano ritrovare la bellezza della profondità simbolica della vita, dalla sua origine al suo concepimento. Possano ritrovare quella chiaroveggenza che guardando a un uovo già si prefigura il profilo di un uccello in volo. Solo a partire da un destino ultimo si può comprendere la realtà e scegliere.

Articolo ripubblicato dal Centro Culturale "Gli Scritti" ma apparso originariamente su Avvenire del 16/9/2012

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