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Card. Bagnasco: “Il giornalista non è un demiurgo, ma un mediatore”

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All’Assemblea nazionale della Fisc, denuncia: professione giornalistica in affanno, “uso strumentale e destabilizzante di notizie non verificate”''E' possibile individuare anche oggi le tracce molteplici di un giornalismo che sa resistere alla tentazione del servilismo e del carrierismo, rendendo cosi' un ''servizio pubblico', che accresce la qualita' democratica''. Lo ha detto il presidente della Cei, il card. Angelo Bagnasco, aprendo i lavori della XVII Assemblea nazionale elettiva della Fisc (Federazione Italiana fisc 1-250x166Settimanali Cattolici) che si svolge a Roma. ''Ci sono addirittura giornalisti – ha ricordato il card. Bagnasco – che sacrificano la loro vita, come e' accaduto in tutto il mondo per centinaia di essi: uccisi, minacciati, torturati o soggetti ad intimidazioni. Cio' dimostra che si puo' agire diversamente rispetto ad un quadro che sembra rendere impossibile l'esercizio di un compiuto ruolo sociale''.

In particolare il ''giornalismo cattolico'', ha sottolineato il card. Bagnasco, ''non puo' esimersi da una seria valutazione del proprio operato mettendo in conto i rischi evocati, ma anche le possibilita' di testimonianza sottese. Non vi e' dubbio che la caratteristica vicinanza al territorio, che disegna il profilo dei settimanali cattolici, sia una garanzia di concretezza e di attenzione alla gente, e tuttavia occorre rinverdire e rimotivare l'impegno per un giornalismo costruttivo e mai polemico, popolare e mai populista, sempre espressione dell'identita' culturale e religiosa del nostro popolo e mai di lobby o di ideologica precomprensione''. ''Se saprete dire una parola di senso, di comprensione, di ascolto e di consolazione davanti alla vita e alle sue vicende liete e tristi, – ha aggiunto – saprete ritrovare la piu' nobile missione del giornalismo che e' quella di dar voce a chi non l'ha''.

Il Card. Bagnasco ha poi affermato che: «Un affanno della professione giornalistica è evidente in molte sue derive, che ormai purtroppo sono più routine che eccezioni». «Il giornalista non è un demiurgo, un deus ex machina, ma un mediatore, un traduttore, un facilitatore». In particolare, ha affermato Bagnasco, «il giornalista cattolico» ha una «freccia in più all'arco della sua capacità di mediazione: la libertà. La fede, infatti, non è la “luce illusoria, che impedisce all'uomo di coltivare l'audacia del sapere”. Il credere non si oppone al cercare, come ci ha ricordato papa Francesco nella “Lumen Fidei”. Al contrario: “Chi crede, vede; vede con una luce che illumina tutto il percorso della strada, perchè viene a noi da Cristo risorto, stella mattutina che non tramonta”». 

In altre parole, ha proseguito Bagnasco, «l'essere “nel mondo, ma non del mondo” consente al giornalista cattolico una originale prospettiva capace di coniugare la responsabilità e l'impegno appassionato insieme alla libertà dagli interessi di parte, dai luoghi comuni, dal monopensiero che tende continuamente (e sempre più violentemente) a definire i confini del nuovo “politically correct”».

Bagnasco ha parlato di «uso strumentale e destabilizzante di notizie non verificate allo scopo di sostenere o danneggiare una parte in causa nell'agone pubblico»; del «silenzio calato, allo stesso scopo, sulle notizie che romperebbero pregiudizi e che si ha vantaggio a mantenere». E ha criticato l'«uso voyeuristico e acritico del “diritto di cronaca”, senza nessuna preoccupazione per le parti in causa (come i parenti delle vittime per esempio) o gli effetti sull'opinione pubblica. O ancora, nella corsa allo scoop che non esita a violare non solo la privacy, ma i tempi e i ritmi di istituzioni che devono anteporre operare discernimento e confronto piuttosto che sfamare la curiosità spesso indotta del pubblico». Il Presule ha esortato i giornalisti a essere «più consapevoli del fatto che le parole non sono mai termini neutri ma sono finestre sul mondo che ci fanno vedere tanto di più quanto meno sono ristrette e ipersemplificate. Senza contare, poi, che è molto più facile incollare un'etichetta che staccarla, e quella che ci va di mezzo è la vita delle persone».


TRE SFIDE PER IL FUTURO
Nel corso del suo intervento all’assemblea dei settimanali diocesani in corso a Roma, il card. Bagnasco ha ampiamente trattato il tema dell’impatto del digitale nella vita quotidiana anche rispetto al ruolo degli stessi media cattolici. Infine, il presidente Cei ha evidenziato tre “scelte che l’Assemblea della Fisc può far emergere con maggiore precisione e determinazione”. Il primo impegno “è fare spazio ai giovani e alla loro preparazione professionale”; “l’apertura verso le nuove generazioni è un investimento ineludibile che prepara con lungimiranza il futuro che sta arrivando”. Il secondo “è curare la formazione di tutti, sia a livello culturale e professionale che a livello spirituale. Il rapido cambiamento cui è soggetta la comunicazione richiede di non restare imprigionati da logiche e competenze superate e conservare la necessaria duttilità per apprendere i nuovi linguaggi e integrarli dentro le tradizionali forme di comunicazione. La formazione spirituale significa la capacità di tenere insieme le proprie convinzioni dentro l’esercizio della professione”. La terza sottolineatura riguarda il “rapporto più organico tra la Fisc e l’Ucsi. La possibilità di un dialogo tra giornalisti cattolici che operano sul territorio e l’associazione di giornalisti di ispirazione cristiana” “merita di essere ripresa e approfondita”.

LA CRISI DI CREDIBILITÀ DEL GIORNALISMO

“Non si può negare – ha detto il cardinale Bagnasco, parlando alla Fisc della crisi di credibilità del giornalismo – che nel nostro Paese si avverta la presenza di proprietà editoriali invadenti e comunque molto più versate alla tutela dei propri interessi che alla qualità dell’informazione. D’altra parte un sistema non può garantire l’indipendenza di giudizio quando è economicamente dipendente da quei poteri che dovrebbe controllare. Ciò pone, peraltro, una questione centrale perché la qualità della comunicazione contribuisce non poco alla salute di un Paese democratico”. Per il cardinale, “accanto a questi condizionamenti forti che provengono dall’esterno, occorre evidenziare anche possibili condizionamenti interni che inducono il giornalista ad autocensurarsi per non disturbare chi può danneggiarlo o, al contrario, gratificarlo”. Proprio “a partire dalla concretezza della responsabilità personale”, secondo il cardinale, “è possibile individuare anche oggi le tracce molteplici di un giornalismo che sa resistere alla tentazione del servilismo e del carrierismo, rendendo così un ‘servizio pubblico’. Ci sono addirittura giornalisti che sacrificano la loro vita, come è accaduto in tutto il mondo per centinaia di essi. Ciò dimostra che si può agire diversamente rispetto a un quadro che sembra rendere impossibile l’esercizio di un compiuto ruolo sociale”.

“Il giornalismo cattolico

– ha proseguito il cardinale Bagnasco, rivolgendosi ai direttori dei settimanali Fisc – non può esimersi da una seria valutazione del proprio operato mettendo in conto i rischi evocati, ma anche le possibilità di testimonianza sottese. Non vi è dubbio che la caratteristica vicinanza al territorio, che disegna il profilo dei settimanali cattolici, sia una garanzia di concretezza e di attenzione alla gente, e tuttavia occorre rinverdire e rimotivare l’impegno per un giornalismo costruttivo e mai polemico, popolare e mai populista, sempre espressione dell’identità culturale e religiosa del nostro popolo e mai di lobby o di ideologica precomprensione”. “Se saprete dire una parola di senso, di comprensione, di ascolto e di consolazione davanti alla vita e alle sue vicende liete e tristi, saprete ritrovare la più nobile missione del giornalismo che è quella di dar voce a chi non l’ha, perché la credibilità si fonda sull’integrità, l’affidabilità e la coerenza del giornalista.

 

SERVIZIO ALLA VERITÀ E AL PUBBLICO
Quali sono “i tratti della professione che la crisi, prima di tutto deontologica, ci sollecita a riscoprire?”, si è domandato il card. Bagnasco nel suo intervento all’assemblea Fisc. “Nel caso del giornalista, due restano i tratti irrinunciabili: il servizio alla verità e il servizio al pubblico, nella gestione attenta di quel bene comune fondamentale che è oggi, nella società complessa, l’informazione”. Bagnasco ha affermato che il giornalista “non è un demiurgo, un deus ex machina, ma un mediatore, un traduttore, un facilitatore. Il giornalista cattolico, poi, ha una freccia in più all’arco della sua capacità di mediazione: la fede. In altre parole, l’essere ‘nel mondo, ma non del mondo’ consente al giornalista cattolico una originale prospettiva capace di coniugare la responsabilità e l’impegno appassionato insieme alla libertà dagli interessi di parte, dai luoghi comuni, dal monopensiero che tende continuamente (e sempre più violentemente) a definire i confini del nuovo ‘politically correct’. Il cardinale ha quindi aggiunto: “Nell’era del web, che offre la possibilità di farsi emittenti oltre che riceventi, ma che proprio per questo moltiplica a dismisura le notizie disponibili rendendo difficile orientamento e discernimento, il compito del giornalista è quanto mai essenziale. Non per arrivare primo nel dare la notizia”, ma “per arrivare meglio: identificare le fonti credibili, contestualizzare, interpretare. E il ruolo del giornalista cattolico, che ha a cuore l’umano nella sua integrità e pienezza anziché la difesa strumentale di interessi di parte, è ancora più essenziale”. “In sintesi – ha aggiunto il presidente Cei -: difendere la verità della notizia, essere capaci di discernere, giustificare le proprie interpretazioni privilegiando sempre i dati oggettivi rispetto alle proprie idee, e ancora sottrarsi alle pressioni dei poteri forti e insieme coniugare competenza, aggiornamento e creatività, sono tutti compiti che aiutano a descrivere oggi la professione del giornalista, di cui la nostra società ha particolarmente bisogno”.

UNA PROFESSIONE DA RIPENSARE

 “Cogliere l’opportunità di cambiamento, orientandolo verso una crescita di senso, per un settore la cui crisi non è certo in primis economica”. Questa la sfida per i giornali secondo il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei: ne ha parlato questa sera intervenendo alla XVII assemblea elettiva della Fisc, la Federazione cui fanno capo 187 settimanali cattolici (Roma, 28-30 novembre). “Che la professione del giornalista, prima ancora che la vendita dei giornali cartacei, abbia bisogno di essere ripensata – ha spiegato il cardinale – è un dato innegabile. Se infatti perde l’aggancio alla verità, e se smarrisce la responsabilità nei confronti dei suoi lettori, allora anche il giornalista più dotato può produrre danni culturali gravissimi, contribuendo ad aumentare la cacofonia, la frammentazione, il disorientamento e la confusione, nonché la violenza che così spesso si sprigiona nelle situazioni di incertezza e fragilità”. Per il presidente Cei, “un certo affanno della professione giornalistica è evidente in molte sue derive, che ormai purtroppo sono più routines che eccezioni”: “Uso strumentale e destabilizzante di notizie non verificate”; “uso voyeuristico e acritico del ‘diritto di cronaca’”; violazione della privacy; “generalizzazioni indebite”.

Soffermandosi sull’uso del linguaggio, il cardinale Angelo Bagnasco ha denunciato l’uso degli slogan, “espressioni costruite a tavolino per ottenere il massimo dell’effetto comunicativo con il minimo della riflessione: non a caso, la loro matrice è la pubblicità, che mira alla seduzione e non certo a un risveglio di consapevolezza. Quello degli slogan è il linguaggio dei falsi profeti, che Papa Francesco non cessa di invitarci a smascherare”. Per l’arcivescovo, “i giornalisti dovrebbero essere più consapevoli del fatto che le parole non sono mai termini neutri, ma sono finestre sul mondo che ci fanno vedere tanto di più quanto meno sono ristrette e ipersemplificate. Senza contare, poi, che è molto più facile incollare un’etichetta che staccarla, e quella che ci va di mezzo è la vita delle persone”. “Operazione ancora più scorretta è prendere a prestito le parole dell’etica e usarle in modo strumentale per coprire ben altre intenzioni, prima tra tutte il mantenere, a beneficio personale e non certo della collettività, una posizione di potere o di privilegio”. Secondo il presidente Cei “una delle parole ultimamente più abusate è ‘responsabilità’: senza tener conto che usare a sproposito, o per mascherare il loro contrario, parole che dovrebbero invece vincolarci l’un l’altro produce un progressivo svuotamento della capacità del linguaggio di significare e ospitare una comunicazione autentica. Le parole rischiano di restare gusci vuoti, da riempire con ciò che serve al momento”.   (ANSA, AGI, ASCA,VATICANINSIDER, SIR)

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