La legge che in Belgio sta per aprire all’eutanasia per i bambini. E il bisogno di una difesa della vita che dia ragioni per vivere
Come credo tutti sappiamo il Parlamento del Belgio ha dato un primo via libera in commissione (peraltro ampiamente annunciato) alla legge che ammette l’eutanasia anche per i bambini. Si tratta evidentemente di una di quelle notizie che fanno venire un brividi dietro la schiena. Ascoltata la quale è naturale per ciascuno di noi cominciare con la litania del "Ma dove siamo arrivati?" in tutte le sue declinazioni.
Se ci fermiamo qui – però – domani volteremo comunque pagina e questa ideologia di morte sarà comunque andata avanti. Del resto in Olanda quest’orrore era già in vigore, ma chi di noi se lo ricordava?
Che fare allora? Possiamo puntare il dito contro qualcuno, costruendoci il nemico che più ci piace (stavolta – tra l’altro – a favore del provvedimento stanno votando tanto i socialisti quanto i liberali: c’è solo l’imbarazzo della scelta). Ho seri dubbi, però, che serva a molto di più che a sgravarci la coscienza.
Io credo che la sfida stia diventando ogni giorno di più un’altra: quella di non sventolare più semplicemente una bandiera, ma provare a fare i conti realmente con «il dolore innocente». Ripartire dal fatto che non c’è niente di più dilaniante per un genitore dell’esperienza di vedere un figlio soffrire. Capire che è proprio l’incapacità a sostenere il suo sguardo (e la propria incapacità nel dare le risposte che lui in quel momento ti chiede) a portare qualcuno a ritenere ammissibile un gesto che istintivamente avvertiamo subito come inumano.
Per questo le domande vere oggi possono essere solo quelle più radicali: non possiamo mascherarci davanti alle caricature altrui o alle buone parole. Che ci piaccia o no non bastano più. Non si può più difendere la vita solo in astratto; dobbiamo ritornare a dare ragioni per vivere, anche nelle situazioni più estreme. E questa è la strada più faticosa, perché mette in gioco non un principio, ma le nostre vite concrete: non c’è difesa della vita senza un di più di prossimità verso il fratello. Senza una disponibilità a farci carico della sua fatica nel vivere. Dell’assenza di speranze, dell’orizzonte chiuso a qualunque cosa vada oltre noi stessi.
C’è tutto questo – allora – dentro quell’opposizione radicale alla «cultura dello scarto» di cui Papa Francesco non si stanca di parlare. Ed è una lotta a tutto campo. Perché l’eutanasia ai bambini malati terminali è solo il logico punto di arrivo di un modo di guardare alla propria umanità. Di un’idea di benessere che rigetta tutto ciò che non gli è funzionale. E l’unico modo per combatterlo sul serio non è dipingere un mondo pieno di Mengele (che alla fine sono sempre mostri lontani da noi), ma far arrivare la carezza della tenerezza anche in quella corsia d’ospedale.
«Se non diventerete come bambini non entrerete nel Regno dei cieli», dice il Vangelo. I bambini hanno la capacità di svelare ogni nostra ipocrisia. Ci mostrano le strade che non vediamo più. Quante volte è proprio il loro impuntarsi testardo sulle piccole cose a rimetterci sanamente in discussione?
Ecco: forse anche questa sconcertante vicenda belga ci sta dicendo proprio questo. Speriamo ancora che questa legge ingiusta non passi. Alziamo le barricate contro chi dovesse avere l’idea di proporla anche altrove. Ma preoccupiamoci anche di chi – qui accanto a noi, non in Belgio – tanti bambini li sta uccidendo già proponendo un’idea di felicità in cui l’unica regola è non rimanere indietro. E torniamo a interrogarci sul serio sul dolore e sul suo significato nella vita delle persone. Prima che sia troppo tardi.