Oggi l’incontro ravvicinato di ISON con il sole. Un’ottima occasione per educare alla meraviglia del creato (e alla gratuità che ne consegue)di Maria Teresa Pontara Pederiva
Nessuno sa dire cosa accadrà alla cometa ISON che oggi avrà il suo incontro ravvicinato con il sole rendendosi così più visibile dalla terra. Un appuntamento al buio, lo definiscono gli astronomi e gli astrofisici: sopravviverà come oggetto celeste alla forza gravitazionale della nostra stella e alla sua temperatura, verrà disintegrata in un numero infinito di "pezzi" che resteranno luminosi per le prossime settimane o sarà ridotta ad una misera nuvola di polvere perché "cucinata" dal sole?
In linguaggio tecnico il suo nome è ancora più preciso e sta per C/2012 S1 (ISON), una serie di sigle che agli esperti dicono tutto, ma una cosa è certa: giunge a noi dalla periferia del sistema solare (un "luogo" chiamato Nube di Oort) ed è una sorta di palla di ghiaccio antichissimo (almeno 4,5 miliardi di anni) e soprattutto non è una delle "solite" comete che riappaiono ad intervalli di anni. La lettera C sta infatti per "non periodica" e quindi nessuno la vedrà più su questo pianeta. Il che lo rende un oggetto ancora più affascinante e prezioso per gli scienziati, ma anche per quanti sono soltanto un po' curiosi.
Qualcuno ricorderà il "passaggio" della cometa di Halley nel 1986, la più famosa della famiglia (e forse ispiratrice delle due famose raffigurazioni della Natività di Giotto nella Cappella degli Scrovegni a Padova e nella Basilica Inferiore di San Francesco ad Assisi) e le splendide fotografie scattate dalla sonda Giotto dell'ESA: il suo periodo orbitale è di 76 anni e dalla Terra si rivedrà solo nel 2061. La Hale-Bopp che abbiamo visto nel 1997 "ritornerà" solo dopo l'anno 4000.
In casa l'interesse verso gli oggetti celesti è sempre stato grande, come spesso accade nelle zone alpine dove il cielo invernale mostra tutto il suo splendore (che il capofamiglia si occupi di stelle di neutroni ha solo accentuato le cose), ma anche altrove lo scrutare il cielo è ancora abitudine quotidiana, come nelle zone di mare.
Ben prima dell'interesse scientifico, la consapevolezza del far parte di un universo sconfinato di cui ogni piccola cosa sembra esistere per "rivelarci" qualcosa, venire incontro alle nostre esigenze, costringerci a pensare in grande e abbracciare il mondo. Abituare i figli fin da piccoli a scrutare il cielo, magari spiegando "come" fanno le stelle a brillare (come faceva Hans Bethe, che ricordo ormai anziano alla Cornell, da giovane fisico con la sua fidanzata) forse romperà qualche incantesimo sulla magia degli astri, ma nello stesso tempo aiuta a limitare quel senso di egocentrismo che attanaglia spesso i bambini che non sanno guardare oltre il proprio naso. Far comprendere che quegli stessi oggetti luminosi – diciamo pure che i pianeti brillano di luce riflessa, ma gli antichi non lo sapevano, da cui Venere, la "stella del mattino" – vengono visti anche ad altre latitudini dove magari qualcuno pensa che esercitino un'influenza su di noi, aiuta ad allargare lo sguardo su realtà lontane (un gioco chiede: che cosa staranno facendo gli uomini blu del Sahara? E i bimbi in Kenya avranno cenato abbastanza? E dove vedono la Stella polare? E perché altrove non la vedono più?).
E sopra di tutto il senso di meraviglia che si fa strada e pone interrogativi che non ti abbandonano più. Chi non ricorda quel "cielo stellato sopra di me .."? E il richiamo alla responsabilità …
"Coloro che credono in Dio creatore e, quindi, sono convinti che nel mondo esiste un ordine ben definito e finalizzato … avvertono che i loro compiti all'interno del creato, i loro doveri nei confronti della natura e del Creatore sono parte della loro fede" (Messaggio per la Giornata della Pace 1990).
"Del Signore è la terra e ciò che essa contiene: il mondo e i suoi abitanti" (Salmo 24,1). "Dio ha destinato la terra e tutto ciò che essa contiene all'uso di tutti gli uomini e di tutti i popoli", la Gaudium et spes (69).
"Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora, se Dio veste così l'erba del campo, che oggi c'è e domani si getta nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede?"(Matteo 6, 26-30). San Benedetto citava questo passo nella Regola: forse da cristiani di oggi siamo chiamati a superare quel principio costi/opportunità che in economia sembra scolpito come le tavole della Legge e ascoltare piuttosto quel "Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date" (Matteo 10,8).
Educhiamo allora alla meraviglia, ad una nuova attenzione alle cose, ad un nuovo modo di rapportarci col creato, da trattare come "habitat" e non contenitore di risorse da saccheggiare. Uno sguardo sulla realtà al di là della logica dell'uso ci apra al senso richiamato dalle cose stesse, che è poi la dimensione contemplativa, oggi dimenticata.
Educhiamo a riconoscere la bellezza della creazione, a liberarci dalla schiavitù del consumo e della corsa ad avere "sempre di più", perché educare al creato è educare i nostri figli al senso del dono e della gratuità, mutando lo sguardo per considerare la natura come dono di Dio Creatore. "Per il nostro uso gli esseri umani hanno la proprietà naturale delle cose, perché attraverso la loro ragione e la loro volontà possano impiegarle per il proprio beneficio" scrive san Tommaso indicando il valore della responsabilità verso tutti, che diventa promozione della giustizia. "Custodire il creato e custodire i fratelli" è l'invito di papa Francesco che non teme di denunciare l'attuale ordine economico "ingiusto alla radice".
Convertirci al creato, come ci chiedeva ancora Giovanni Paolo II, significa anche ridisegnare i "luoghi" teologici perché anche il prato – come il monte o il giardino o la piazza – è un luogo teologico su cui riflettere in termini di ecosistema-armonia della creazione. Il prato è quell'"erba verde" di cui parla Marco nel passo della moltiplicazione dei pani e dei pesci (Mc 6,39): oggi si parlerebbe di una location ideale per un miracolo, ma certo non era casuale. "Non siamo stati abituati ad unire la spiritualità e la contemplazione – diceva p. Marcelo – con la natura, con gli elementi, con il cielo fisico" aggiungendo l'esempio della cappella di Cuernavaca in Messico dove gli indios l'hanno voluta senza il tetto, perché dicono che non riescono a pregare Dio senza vedere il cielo sopra di loro ….
"Sono un ospite sulla terra", scriveva Bonhöffer, interpretando il Levitico "la terra è mia e voi siete presso di me come forestieri e ospiti" (Lv 25,23). Dietrich, pastore protestante, trucidato dai nazisti nel '45. E chissà che l'osservazione del cielo, che è di tutti, non aiuti anche a pensare al dialogo ecumenico ("via imprescindibile all'evangelizzazione, EG 246) e a quello interreligioso e scoprire che altri "fratelli", cristiani e non, hanno molto da insegnarci sul rapporto con la creazione. Che in fondo conta ben di più del singolo destino della ISON.