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Seguendo Papa Francesco: il denaro deve servire, non governare

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Emanuele D'Onofrio - Aleteia Team - pubblicato il 22/11/13
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Tra pochi giorni il nuovo colloquio organizzato alla Lateranense farà il punto sul cammino della Dottrina sociale della Chiesa in tempi di governance globaleIl rimescolamento degli equilibri economici che la crisi di questi anni ha prodotto nel mondo impone un’attenta riflessione sul nuovo ruolo che giocano nelle istituzioni laiche ed ecclesiastiche di tutti i paesi il bene comune, la sussidiarietà, la dignità della persona e gli altri principi contenuti nella Caritas in Veritate del 2009. Si ispira ad un brano di un’omelia di Papa Francesco, appunto “Il denaro deve servire, non governare”, il titolo del terzo Colloquio Annuale di Dottrina Sociale della Chiesa organizzato dall’Area di Ricerca Caritas in Veritate, che si svolgerà il 26 e il 27 novembre nell’Aula Paolo VI della Pontificia Università Lateranense. Nei due giorni del convegno, al quale parteciperà un vasto numero di studiosi di economia e di dottrina sociale, verranno messi a fuoco i passi compiuti dai poteri pubblici, da quelli privati e dalla Chiesa per incontrarsi nella costruzione di una nuova etica del mercato e di un nuovo ordine politico ed economico.

Aleteia ne ha parlato con il prof. Flavio Felice, direttore dell'Area di ricerca Caritas in Veritate, che introdurrà con il suo intervento la due giorni alla Laternanense, e con il prof. Luca Diotallevi, docente di Sociologia presso l’Università di Roma Tre, che aprirà la prima giornata di lavori.

Qual è lo spunto principale che vi ha spinti a concepire questa conferenza?

Felice: Si tratta del terzo colloquio annuale di Dottrina Sociale della Chiesa organizzato dall’Area di ricerca Caritas in Veritate, un organismo istituito nel 2010 proprio per consentire agli studiosi e ai cultori di Dottrina Sociale della Chiesa e delle scienze sociali che si riconoscono nella prospettiva cristiana di avere un luogo nel quale riflettere insieme e promuovere le proprie ricerche, anche quelle comuni. Abbiamo iniziato nel 2011 con un primo colloquio dedicato al ruolo delle istituzioni alla luce dei principi di solidarietà, sussidiarietà e poliarchia. L’anno scorso si è svolto il secondo colloquio sul tema “Se vuoi la pace, costruisci istituzioni di pace”. Quest’anno il colloquio è dedicato ad un tema che può apparire a prima vista molto ampio: in realtà “il denaro deve servire, non governare” è un’espressione tratta da un’omelia di Papa Francesco, nella quale parlando dell’etica cristiana e dell’economia il pontefice ha delimitato il campo del denaro, anzi, potremmo dire il campo degli strumenti finanziari in generale, non demonizzandoli, ma mettendone in evidenza l’utilità piuttosto che l’elemento finalistico: il denaro non deve essere il fine delle azioni delle istituzioni e dell’opera nell’ambito del sociale, piuttosto deve essere lo strumento tramite il quale poter fare del bene. Ecco, con questa espressione noi intendiamo riassumere i temi dei due precedenti incontri, le istituzioni e la pace: intendiamo cioè chiederci come le istituzioni possano essere al servizio degli uomini per la governance globale di oggi, e come il denaro e gli strumenti finanziari possono essere anch’essi utili a questo scopo.

Nel cammino della Dottrina Sociale della Chiesa, quali sono le continuità e le discontinuità nel passaggio da Benedetto XVI e Papa Francesco?

Felice: Certamente c’è una grande continuità, che è indicata anche dal titolo del nostro colloquio: “il denaro deve servire e non governare” significa che la finalità ultima delle azioni dell’uomo dev’essere la persona stessa. La persona è il fine, tutto il resto può essere utilizzato come valido strumento perché lo si raggiunga: questa è la più grande continuità di Francesco rispetto al magistero sociale di Benedetto XVI. D’altra parte esistono differenti toni, esiste uno stile diverso, questo lo abbiamo notato tutti, ed è anche un elemento di ricchezza dal punto di vista della Chiesa. Esiste anche un oggi che papa Francesco esprime e che non è immediatamente identico al momento in cui Benedetto XVI ha offerto il proprio magistero: io credo che oggi la Dottrina Sociale della Chiesa stia ponendo l’accento sulle emergenze, se vogliamo anche psicologiche, che sono legate al tema della ricchezza e anche del suo reciproco, ovvero la povertà. Cioè, i fenomeni anche di cronaca ai quali noi assistiamo – bambine che si prostituiscono per un paio di stivali insieme ad altre situazioni drammatiche e tragiche – fanno emergere in modo desolante una pochezza e povertà umana terrificanti. Anche laddove c’è la ricchezza materiale possiamo scorgere un’enorme povertà morale, psicologica, esistenziale. Mi sembra che Papa Francesco stia ponendo l’accento su questo aspetto che, sia chiaro, non è assente nel magistero di Benedetto XVI, anzi quel magistero – ma anche quello di Giovanni Paolo II, di Paolo VI e di tutti i papi che li hanno preceduti – è servito a sviluppare una conoscenza, una competenza e possiamo dire una coscienza relativamente al tema delle istituzioni politiche ed economiche. Con Papa Francesco la Dottrina Sociale della Chiesa parla all’uomo, sapendo bene che le istituzioni saranno buone nel momento in cui saranno popolate da uomini buoni.

Di fronte alla crisi degli Stati sovrani, erosi dalla contingenza economica e finanziaria, la Dottrina Sociale della Chiesa sta guadagnando posizioni nella governance mondiale?

Felice: Non è compito della Dottrina Sociale della Chiesa intervenire sugli strumenti tecnici da offrire per la soluzione di problemi di tipo politico e di tipo economico. Non ha questa pretesa. Piuttosto essa offre una prospettiva sull’uomo, un’idea di uomo, quindi può rappresentare anche una filosofia civile all’interno dell’alveo più ampio della teologia morale nella quale essa si inserisce. La Dottrina Sociale della Chiesa prevede che gli uomini di buona volontà che operano nelle istituzioni si lascino ispirare da essa e possano essi stessi offrire spunti e soluzioni tecniche. In questo la Chiesa, in quanto popolo di Dio, avrebbe tante soluzioni da offrire, ovvero sarebbe opportuno che offrisse tante soluzioni tecniche per uscire dalla crisi. Quindi nel suo cammino il magistero della Chiesa è sempre più al passo con i tempi nella misura in cui le persone ispirate dal magistero che operano nelle istituzioni si mostrano capaci di offrire anche soluzioni tecniche.

Il fatto che gli equilibri economici mondiali stiano mutando sta ampliando gli orizzonti dell’economia, dando più spazio ai valori che la Dottrina Sociale della Chiesa promuove?

Diotallevi: I processi economici mondiali e la globalizzazione hanno un effetto straordinario nel far uscire centinaia di milioni di persone che vivono nel Terzo Mondo dalla povertà. La Dottrina Sociale della Chiesa, pur avendone gli strumenti, fa fatica a capire questo processo. Normalmente gli ecclesiastici parlano male della globalizzazione, ma in realtà il processo della globalizzazione redistribuisce le opportunità. Questa settimana è uscito un libro di Cassese [Chi governa il mondo, ed. Il Mulino, ndr.], che ci spiega quanto la governance del mondo sia poliarchica, che è esattamente quanto la Caritas in Veritate insegna. Quindi il magistero della Chiesa, inteso come testi – pensiamo al Vaticano II, pensiamo alla Centesimus Annus, pensiamo alla Caritas in Veritate – è assolutamente aperto agli sviluppi di questa era che nasce con gli sviluppi del mercato contro gli eccessi dello Stato. Il problema è che la maggior parte dei laici e degli ecclesiastici cattolici ancora non ha assorbito il magistero della Chiesa. La gran parte di questi, che vivono in Europa, fa parte di quel piccolo mondo che è messo in difficoltà dalla globalizzazione, ma la globalizzazione produce una società meno ingiusta. Ovviamente toglie i privilegi alla vecchia Europa, ma mica possiamo seguire il magistero della Chiesa se pensiamo a come difendere i privilegi di una vecchia Europa che non produce. A livello planetario stiamo costruendo degli equilibri meno ingiusti perché i vantaggi del primo mondo sul secondo e sul terzo diminuiscono. Il problema è che quando noi osserviamo queste cose a partire dal primo mondo ovviamente ne vediamo delle conseguenze negative, ma solo perché ci privano di privilegi che noi ingiustamente avevamo.

Le strutture ecclesiastiche che operano nei paesi emergenti come stanno reagendo a questo mutamento di equilibri?

Diotallevi: Le situazioni sono molto diverse, quindi è impossibile generalizzare. Ci sono delle realtà nelle quali la Chiesa è parte di questo processo, ci sono altre realtà nelle quali la Chiesa resiste a questo processo. Ad esempio, nei paesi dell’Asia, o soprattutto nell’America settentrionale la Chiesa guida questo processo; in altri paesi come appunto l’Europa o in alcuni paesi dell’Africa il personale ecclesiastico è piuttosto arretrato. Però direi che il caso peggiore è quello europeo: è in Europa che la Chiesa è socialmente conservatrice, cioè è attaccata allo stato sociale, a una giustizia imposta dalle istituzioni politiche o a cose di questo genere.

Oggi che Papa Francesco invita a riconsiderare la povertà come modello di vita, il mondo occidentale si sta riempendo di nuovi poveri. La povertà può essere un valore?

Diotallevi: Il tema è proprio questo. Non confondiamo la povertà volontaria del cristiano con una povertà imposta da uno Stato spendaccione. Francesco ci parla della povertà volontaria. Oggi il sovrappotere della politica produce poveri. La Chiesa invita ad un altro tipo di povertà, la quale si basa prima di tutto sulla giustizia, cioè sulla distribuzione delle chance. La povertà imposta dallo Stato, invece, può indurre a un modello di vita perverso, nel quale il ceto politico diventa il ceto dominante godendo della ricchezza che strappa con le tasse alle persone che lavorano. Questo modello di povertà, al contrario di quello di Francesco, è senz’altro negativo.

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