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Guardare oltre la superficie: il patrimonio culturale delle catacombe

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Chiara Santomiero - Aleteia Team - pubblicato il 20/11/13
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Sono 120 le catacombe cristiane presenti in Italia e affidate alla Pontificia Commissione di archeologia sacra

Le 120 catacombe presenti a Roma e sul territorio italiano sono affidate alla cura della Pontificia Commissione di archeologia sacra (Pcas) in virtù di un articolo (12, 2) del Concordato tra Santa Sede e Stato italiano. Un grande patrimonio per le testimonianze di fede e i reperti storici e artistici da tutelare dall'incuria del tempo e aprire sempre più alla fruizione dei visitatori e dei fedeli. Aleteia ne ha parlato con il cardinale Gianfranco Ravasi e il professore Fabrizio Bisconti, rispettivamente presidente e sovrintendente Pcas, a margine della presentazione al pubblico dei lavori di restauro del complesso delle catacombe di Santa Priscilla e della basilica di S. Silvestro.

 

Quale competenza affida il Concordato alla Pontificia commissione di archeologia sacra in merito alle catacombe?

 

Bisconti: Una competenza per “affidamento”. Per le Convenzioni tra la Santa Sede e lo Stato italiano del 1929, a lato dei Patti lateranensi e ribadite con il nuovo Concordato del 1984, la Pcas si occupa della tutela, custodia, manutenzione e della valorizzazione delle catacombe cristiane d'Italia mentre quelle ebraiche sono ritornate allo Stato italiano dopo essere state curate in precedenza dalla Santa Sede.

 

Quali progetti di valorizzazione sono in corso oltre a quello che ha riguardato Santa Priscilla?

 

Bisconti: Cerchiamo di aprire al pubblico il maggior numero di nuove catacombe possibile come abbiamo fatto con S. Giovanni di Napoli, con S. Giovanni a Siracusa, con le catacombe di Santa Cristina a Bolsena, con quelle di San Senatore ad Albano. Si tratta, come è facilmente intuibile essendo questi luoghi dei monumenti “fragili”, non facilmente fruibili, di “un'impresa”: basti pensare che c'è un microclima con un 90% di umidità. Prima però di aprirle dobbiamo restaurarle e non è semplice, non solo per questioni economiche: il nostro grande progetto è riconsegnarle all'attenzione delle comunità e dei visitatori.

 

Qual è il valore delle catacombe nell'ambito della grande offerta artistica di una città come Roma?

 

Bisconti: Si tratta di una visita privilegiata all'interno di percorsi di significato. Non solo monumenti – anche se qualsiasi monumento romano rappresenta un segmento di storia – ma le catacombe ci raccontano la tarda antichità. Noi sappiamo poco dei secoli maturi dell'impero; sappiamo molto dell'età repubblicana, del primo impero quindi di Augusto ma sappiamo meno del III e IV secolo. Sappiamo che c'è una grande crisi economica e spirituale e sappiamo che si innesta il cristianesimo in maniera molto diffusa. Le catacombe raccontano proprio questa stagione della tarda antichità. Riempiendo prima di tutto un vuoto: poiché sono obliterate già dal V secolo e vengono scoperte solo nel 1500, hanno conservato sigillate – come una specie di Pompei – molte testimonianze che invece nel sopratterra sono andate perdute. Si tratta quindi di luoghi già storicamente attraenti perché rievocano un tempo che difficilmente possiamo ricostruire attraverso i monumenti. Inoltre c'è una valenza in più perché sono le sedi dei martiri e riflettono il momento delle grandi persecuzioni: i martiri vengono sepolti nelle catacombe e qui vengono venerati. Sono monumenti che uniscono la curiositas del turista “rapido”, che con disinvoltura attraversa la città, alla ricerca del devoto che vuole riflettere e magari cercare i motivi di una conversione, di una nuova evangelizzazione attraverso le testimonianze vive e toccanti del cristianesimo della prima ora.

 

C'è un messaggio particolare dell'arte in questi luoghi rispetto a quello, per esempio, di una basilica?

 

Ravasi: E' diverso e parallelo. E' completamente diverso perché qui risaliamo alle origini stesse, ai primi secoli cristiani, quindi non abbiamo ancora tutto ciò che all'aperto si poteva fare in maniera sontuosa, in maniera gloriosa. Nelle catacombe c'è quasi la conquista di qualcosa che è simile alla miniatura, al segreto dello spazio nascosto. Però un parallelo c'è, anche se in forme antiche. I simboli, le narrazioni, i temi sono costantemente quelli che poi entreranno nell'arte successiva pittorica, scultorea, della superficie. La Bibbia è rappresentata qui in tante pagine così come sarà rappresentata in altrettante pagine colorate o di pietra in superficie.

 

E' auspicabile una maggiore valorizzazione delle catacombe nei pellegrinaggi?

 

Ravasi: La visita delle catacombe era uno dei momenti più tradizionali del pellegrinaggio a Roma perchè voleva dire risalire o discendere alle radici stesse della cristianità, al suo elemento sorgivo, generatore. Si pensi soltanto cosa rappresentano le catacombe che sono sotto la basilica di S. Pietro e la tomba di Pietro. Progressivamente però la spettacolarizzazione del viaggio a Roma, la semplificazione estrema sotto l'impulso turistico, ha fatto sì che alla fine rimanesse in gioco solo il “quadrilatero” delle basiliche e, naturalmente, la classicità romana. In occasione dell'Anno delle fede e con l'invito che si può rivolgere a gruppi più attenti ai temi, alla ricchezza simbolica, al valore spirituale e culturale del patrimonio romano cristiano, si può pensare a un ritorno alle catacombe e a un ritorno non legato esclusivamente ai luoghi tradizionali di san Sebastiano e san Callisto ma che includa anche l'area di santa Priscilla che è uno degli spazi più belli dal punto di vista architettonico, iconografico e spirituale.

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