Sulla locandina di un cineforum organizzato dal collettivo GaystataleIl rispetto che la comunità lesbica, gay, bisessuale e transgender (lgbt) vuole è a senso unico? Lo fa sospettare il fatto che il cineforum organizzato all'Università Statale di Milano dal collettivo Gaystatale veda nella locandina il papa emerito Benedetto XVI truccato come una drag queen. Dov'è il rispetto per la persona di Joseph Ratzinger e per chi crede nel ruolo che ha ricoperto e in Chi rappresentava?
L'iniziativa prevede un ciclo di tre film sul tema dell'omosessualità e della religione che raccontano varie vicende in cui i cristiani “omofobi” perseguitano gli omosessuali, impedendo loro di vivere liberamente i loro amori (Tempi, 15 novembre). La rassegna cinematografica ha ottenuto dall'Università un contributo di 4.000 euro deliberato dal Consiglio d'amministrazione il 26 settembre 2012.
Il manifesto è un esempio di “gran cattivo gusto”, “perché una delle più citate e scontate definizioni della libertà è il suo doversi arrestare laddove si calpestano i diritti altrui. E qui i diritti violati da un manifesto che traveste un (ex) papa con rossetto rosso, ombretto sugli occhi e sopracciglia disegnate con l'eyeliner sono i più diversi. Perché non c'è nemmeno bisogno di scomodare la blasfemia, il vilipendio all'autorità religiosa (che pure è reato) e soprattutto la sacralità dell'immagine di un pontefice, perché in un civile consesso dovrebbe essere sufficiente chiedere il rispetto della sua semplice umanità. La cura dovuta a qualsiasi persona, magari aggiungendo anche un sovrappiù dovuto all'età” (Il Giornale, 18 novembre).
A poco, inoltre, “serve parlar di provocazione necessaria per attirare l'attenzione su tematiche trascurate”. “Non è così ormai da decenni”, come dimostra il contributo ricevuto dall'Università, “soldi pubblici della Statale, hanno protestato gruppi di studenti”. “Sono presi dalle tasse universitarie, è stata la giustificazione. Appunto, anche di quelli che hanno il diritto (a proposito di diritti) di non vedere il papa conciato così”.
La parola “omofobia”, d'altronde, è ormai usata “da tempo e da molti”, mentre il termine “cristianofobia” è “un neologismo che non ha diritto di essere proferita dalle labbra di nessuno” (La Nuova Bussola Quotidiana, 18 novembre).
In molte iniziative, l’omosessualità “non viene presentata come se fosse una bella giornata di maggio”: “non si esaltano gli aspetti positivi dell’omosessualità, invece si mettono sotto la lente di ingrandimento i conflitti sociali che essa provoca per mano di retrivi baciapile, le presunte istigazioni al suicidio e atti di bullismo, i nemici che vogliono attentare alla libertà individuale della persona omosessuale, le condotte discriminatorie, i diritti negati, etc. Si esalta la parte destruens, non quella costruens. L’approccio è sostanzialmente marziale, altro che gaio. In questo il movimento gay paga lo scotto delle sue ascendenze hegeliane e marxiste”.
“Questa strategia assai fosca che poggia sulla dinamica conflittuale tra due opposti inconciliabili è roba vecchia già vista con l’asserita, ma non provata, relazione violenta tra padroni e proletari, ricchi e poveri, nord e sud del mondo, maschi e femmine, donne e famiglia, scienza e religione. Ora tocca al conflitto tra 'omosessuali ed eterosessuali'”, “e l’unico modo per risolvere il conflitto non è trovare un punto di convergenza, ma obbligare il nemico – l’uomo della strada che non sapeva nemmeno che qualcuno gli aveva dichiarato guerra – alla resa totale ed incondizionata”.