Una riflessione sul dialogo e la volontà di collaborazione dimostrata da Papa Francesco a partire dal saggio di Amos Oz, “Contro il fanatismo”di Zouhir Louassini
Sarà anche una questione di gusti personali, ma se c’è un libro che ha scosso qualche mia convinzione è Contro il fanatismo di Amos Oz. Certo, probabilmente ci sono libri più profondi, ma la logica usata dallo scrittore israeliano in questo pamphlet entusiasma per la sua chiarezza e semplicità. Soprattutto per chi si avvicina alla realtà mediorientale.
In un’ottantina di pagine l’autore è riuscito a spiegare un male molto diffuso: quello dell’arte del tifare piuttosto che ragionare. Si svela così un mondo in cui è tutto bianco o tutto nero, una specie di film western continuo dove il bene lotta contro il male, dimenticando che molte volte la realtà è più complessa. E anche se nel caso specifico lo scrittore israeliano ragiona sul conflitto israelo-palestinese, le conclusioni che trae sono applicabili anche ad altre situazioni. La soluzione secondo Oz si può sintetizzare in una sola parola: compromesso. Perché «dove c’è vita ci sono compromessi», così come dove non ci sono compromessi ci può essere solo fanatismo. Ecco l’origine di questo male.
Credo che sia proprio in questa direzione che bisogna analizzare i messaggi che Papa Francesco sta mandando al mondo islamico, una linea di chiara apertura verso la maggioranza dei musulmani. Il fanatismo è solo la malattia della religione. Non è la normalità e non è la religione. Il Pontefice, dal suo arrivo e in pochi gesti di grande importanza simbolica, è riuscito a spiegare meglio di chiunque altro questo concetto che può sembrare ovvio ma che molte volte è difficile, per non dire impossibile, capire.
Il gesto più importante è sicuramente quello fatto durante l’Angelus del primo settembre scorso, in cui ha richiamato all’attenzione del mondo la guerra che da due anni e mezzo sta lacerando la Siria. Lo ha fatto con parole semplici ma chiare, senza prendere posizione se non quella di difendere il diritto alla vita di milioni di siriani.
La mossa del Papa era quella giusta e per capirlo bastava andare a vedere, su internet, la risposta di gruppi fanatici: discredito all’invito del Pontefice, confondendo quelli che erano l’intenzione e lo scopo unitario con una sfiducia totale, usando oltretutto un linguaggio che deriva direttamente da epoche lontane, come se il mondo fosse rimasto fermo al tempo delle crociate. Un discredito rivolto anche alla maggioranza dei musulmani che, come era prevedibile, si sono trovati subito d’accordo con l’appello di Papa Francesco.
Bastava leggere la risposta del Gran Mufti di Siria, Ahmad Badreddin Hassou, leader spirituale dell’islam sunnita nel Paese, per capire l’impatto all’interno della comunità musulmana. Hassou si è detto profondamente colpito dall’appello del Pontefice per la pace in Siria, esprimendo il desiderio di essere presente a San Pietro per la veglia di preghiera.
Una risposta talmente positiva della grande maggioranza dei musulmani è da attribuire probabilmente al fatto che essi avvertono la leadership spirituale mondiale di Papa Francesco. Siamo davanti a un predicatore il quale globalizza valori fondamentali che dovrebbero essere intrinseci alla natura umana: pace, fratellanza, amore.
Un Pontefice che annuncia valori positivi, insomma, con cui è difficile non essere d’accordo, perché non si tratta di valori che hanno bandiera politica o dogma religioso, bensì una visione che può avviare, e questa volta sul serio, un vero dialogo tra il cristianesimo e l’islam. Dialogo in cui la parola chiave è proprio quella indicata da Oz: il compromesso. E non c’è miglior compromesso di quello volto a difendere la dignità umana cercando di vedere nell’altro tutto ciò che unisce, invece di insistere su quello che separa.