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San Salvador, 24 anni fa la strage dei gesuiti alla Uca

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Alver Metalli - Terre D'America - pubblicato il 14/11/13
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L’università centroamericana di San Salvador si prepara a ricordare il massacro del 16 novembre 1989 avvenuto durante la guerra civile

L’Università centroamericana di San Salvador si prepara a ricordare il massacro dei sacerdoti gesuiti avvenuto il 16 novembre del 1989, in piena guerra civile (1980-1992), quando i soldati del battaglione anti-guerriglia Atlacatl, addestrato negli Stati Uniti, fecero irruzione nella Uca assassinando il rettore, lo spagnolo Ignacio Ellacuría, insieme ai confratelli Ignacio Martin Baro, Segundo Montes, Amando Lopez, Juan Ramon Moreno e il salvadoregno Joaquin Lopez, oltre alla cuoca Elba Julia Ramos e a sua figlia quindicenne Celina Mariceth Ramos.

La frase che farà da filo conduttore alle varie manifestazioni commemorative è stata ripresa dall’articolo “Utopía y profetismo desde América Latina”, scritto da Ignacio Ellacuría, la più nota delle vittime: “No hay humanidad sin solidaridad compartida”, non c’è umanità senza una solidarietà condivisa. Molte le attività in programma, che prevedono una mostra fotografica, l’esposizione dei manifesti dei 24 anniversari precedenti, l’inaugurazione dell’auditorium dell’Università centroamericana dedicato a Elba e Celina Ramos, la donna uccisa con i gesuiti e la figlia adolescente, la proiezione di un film sulla vita del vescovo brasiliano Pedro Casaldaliga, e la presentazione di un murales sui gesuiti. La settimana dedicata ai “martiri della Uca” come viene presentata, terminerà con la messa, il giorno dell’assassinio, davanti alla tomba di monsignor Romero.

Per l’eccidio alla Uca, un colonnello, due tenenti, un sottotenente e cinque soldati furono processati nel 1991: sette furono assolti; ai due condannati – il colonnello Guillermo Benavides e al tenente Yusshy Mendoza – furono comminati 30 anni di carcere; i due hanno poi beneficiato di un’amnistia decretata nel 1993 dall’allora presidente Alfredo Cristiani (1989-1994), poche ore prima della pubblicazione di un rapporto della Commissione della Verità dell’Onu che attribuì agli alti vertici militari la responsabilità della strage.

L’amnistia chiuse di fatto la vicenda in Salvador, ma venne riaperta nel 2009 in Spagna sulla base di una denuncia presentata dalla “Asociación Pro Derechos Humanos” iberica e dall’organizzazione statunitense “Center For Justice & Accountability”. La Uca continua a chiedere che venga fatta piena luce sui mandanti del massacro, frutto dello “stesso odio che ha ucciso monsignor Romero” disse il suo successore, l’arcivescovo di San Salvador Arturo Rivera Damas.

Un quotidiano salvadoregno, “Il Faro”, ha appena pubblicato un documento poco conosciuto. L’atto è parte di un più ampio rapporto archiviato dal “Centro de Justicia y Responsabilidad” intitolato: “El Coronel Montano y la orden de matar”. Ricostruisce le due giornate cruciali, con le riunioni in cui venne presa la decisione di realizzare la strage. Dopo una prima riunione, nel pomeriggio, si legge nel documento, “Il colonnello Ponce chiamò il colonnello Guillermo Alfredo Benavides e, davanti ad altri quattro ufficiali, gli ordinò di eliminare il Padre Ellacuría senza lasciare testimoni”. Secondo confessioni posteriori fatte da soldati accusati degli assassini, il colonnello Benavides è uscito dalla riunione dello Stato Maggiore e ha informato gli ufficiali del Collegio Militare che aveva ricevuto l’ordine in questi termini: “Lui [Ellacuría] deve essere eliminato e non voglio testimoni”.

L’operazione è durata un’ora circa. Così la descrive il rapporto:

«Padre Martín-Baró ha aperto la porta della residenza lasciando volontariamente che i soldati entrassero. Dopo aver ordinato ai cinque sacerdoti che si mettessero bocca a terra su un dislivello del giardino due soldati gli hanno sparato uno alla volta. A pochi metri di distanza un altro soldato ha ucciso Elba Ramos, che abbracciava sua figlia Celina. Il tenente José Ricardo Espinoza Guerra, l’unico soldato che si era coperto il volto con tinta mimetica, ha confessato poi di aver lasciato il claustro universitario in lacrime: il Padre Segundo Montes, che giaceva morto a terra era stato rettore quando lui era studente. Un altro degli autori materiali ha ricordato che [i gesuiti] non sembravano pericolosi giacchè erano “abbastanza vecchi, senza armi” e “in pigiama”. Ma disse che il suo colonnello gli aveva detto che i sacerdoti erano “delinquenti terroristi” e che erano “i loro cervelli quello che contava”».

Tutti i corpi sono stati ritrovati con colpi alla testa. Un sesto sacerdote è morto pregando che non lo uccidessero mentre i soldati discutevano tra loro per far ricadere la responsabilità sul FMLN.

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