Un malato e un oncologo scandagliano gli aspetti medici e sociali della malattia
Parlare insieme del tumore,“in modo che il malato sappia cosa pensa l’oncologo, l’oncologo sappia cosa pensa il malato, famigliari e amici sappiano cosa pensano il malato e l’oncologo”, “per evitare quella 'danza degli inganni reciproci' che condanna alla solitudine il malato, mette a disagio il medico e disorienta famigliari e amici”, “per restituire valore terapeutico alla 'parola'”.
È questo l'obiettivo che si pone il libro “Parliamone insieme. Medico e malato di fronte all'innominabile” (Ancora 2013), scritto da Aldo Sardoni, “un malato di lungo corso” affetto da leucemia mieloide cronica, un raro tumore liquido, presidente dell'Associazione Bianco Airone Pazienti Onlus (ABAPO) che si batte per i malati, e dall'oncologo Alberto Scanni.
La caratteristica che rende unico il testo è il fatto di far sentire in contemporanea e sullo stesso argomento due voci: quella di un malato che da anni combatte con un tumore e quella di un oncologo di grande esperienza. “Due punti di osservazione sulla stessa realtà – la cura della malattia – vissuta e raccontata da posizioni diverse ma in continua relazione. Relazione che è ascolto, accoglienza, terapia, capacità di intuire le emozioni e il non detto dell’altro”.
“La malattia oncologica”, ha affermato il dottor Scanni, “ti segna nel profondo, sia che tu guarisca, sia che tu viva il quotidiano con essa in corpo. Che dire dei problemi della famiglia, o di stampa e giornali che, anche a fronte dei successi, continuano a chiamarla 'malattia incurabile'? Che dire del fatto che i media non si pongono il problema di come i malati prenderanno questa o quella notizia e parlano con spregiudicatezza del tumore senza alcuna sensibilità verso chi andrà a leggere o ad ascoltare notizie? Che dire di linguaggi incomprensibili di specialisti e scienziati, della loro incapacità a essere semplici nel parlare coi malati, che dire dei problemi lavorativi di chi malato si vede discriminato sul lavoro o che non può avere sussistenza alcuna? Che dire delle sue angosce di fronte ai gravi problemi economici che la malattia comporta o sulla sua solitudine quando, vivendo solo, non ha chi lo aiuta nel quotidiano?”.
Con il loro testo, i due autori mirano a far comprendere questa realtà e a far capire che “una parola sbagliata, uno sguardo incongruo, una notizia sulla stampa mal posta, una mezza frase nell’ambiente di lavoro possono distruggere speranze e buttare nello sgomento chi, a fatica, ha raggiunto un’accettabile normalità”.
Nel testo si affronta in primis il rapporto del malato con i suoi familiari. “La presenza di un malato di cancro in famiglia sconvolge i ritmi e aumenta le difficoltà della vita, sottrae risorse economiche spesso insufficienti, e tutto ciò 'logora' il rapporto malato-famiglia”, ha scritto Sardoni. Quando una persona si ammala di cancro, aggiunge Scanni, “si ammala tutta la famiglia! È una deflagrazione che investe tutti, non solo ne soffre il malato, ma tutti i famigliari sono investiti dal male, mentre tutte le dinamiche interrelazioni vengono alterate”.
Un altro rapporto difficile è quello amicale. “Tra i lutti che il cancro comporta c’è la perdita delle relazioni sociali, così come erano prima della notifica della malattia”, perché il cancro “è un filtro strettissimo da cui passano pochissime amicizie”, con il conseguente pericolo di isolamento e depressione, ricorda Sardoni. “Essere amici veri”, gli fa eco Scanni, “significa talora non parlare, accompagnare in silenzio, usare al meglio la comunicazione non verbale e aspettare che sia l’amico malato a fare la prima mossa”.
Nel libro si affrontano poi il rapporto tra il malato e i colleghi di lavoro, quello con il luogo di cura – “un ospedale 'amico' come minimo dovrebbe essere 'libero dal dolore', per lo meno quello fisico dovuto alle terapie” -, i processi di cura, la malattia cronica e le cure palliative.
Un'ultima sezione viene dedicata ai media, “odiati perché spesso sparano stupidaggini, vere e proprie balle, oppure mezze verità, oppure verità, ma come informazioni mai o raramente complete” e “amati perché utili come cassa di risonanza per le tue attività e le tue necessità come associazione di pazienti”. “La mezza notizia e la mezza verità”, ha commentato Sardoni, “fanno, talvolta, più danno psicologico della malattia stessa perché incidono negativamente su due aspetti: speranza (di farcela) e fiducia (nella cura e nell’oncologo)”.
I pazienti oncologici, ha scritto Gianni Bonadonna nella lettera al Collegio Italiano dei Primari Oncologi Medici Ospedalieri in occasione del III Congresso Nazionale del Collegio Italiano dei Primari Oncologi Medici Ospedalieri (CIPOMO) nel 1999, “sono anzitutto esseri umani apprensivi, smarriti, confusi dalla paura, desiderosi di conforto e rassicurazione”. “Oltre all’abilità diagnostica ci vogliono tatto e simpatia, equilibrio e comprensione, immedesimazione nei problemi del malato”; “mai come in oncologia il rapporto medico-paziente rappresenta la relazione dinamica tra due persone in cui l’esperto soccorre chi sta male, e chi sta male dà il suo consenso alle scelte curative cui si sottopone con spirito”.