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John Fritzgerald Kennedy: la grande speranza vive ancora

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Emanuele D'Onofrio - Aleteia Team - pubblicato il 13/11/13
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Un convegno promosso dall’UCSI risfoglia le pagine del mito del primo presidente cattolico americano, rileggendolo con gli occhi della Chiesa, della storia e dell’informazione.

Il prossimo 22 novembre saranno trascorsi cinquant’anni dall’attentato di Dallas, che privò gli Stati Uniti del primo presidente cattolico a meno di tre anni dall’inizio del suo primo mandato. Molto della figura di Kennedy, del suo carisma e del suo messaggio politico, continua ad essere oggetto di ricerche e racconti che testimoniano il nostro bisogno, in questo tempo di incertezze, di punti di riferimento e di prospettive. Questa urgenza spiega il titolo del convegno promosso dall’UCSI Lazio “La grande speranza Kennedyana 50 anni dopo: lo sguardo della Chiesa, della storia, dell’informazione”. Tra i nomi dei partecipanti spiccano quelli di Matteo Luigi Napolitano, Sergio Zavoli, Germano Dottori e di altri storici e giornalisti di grande spessore ed esperienza. 
 
L’organizzatore e moderatore Alessandro Gisotti ci presenta così il convegno: 
L’idea nasce dalla voglia di interrogarsi su che cosa resti del mito Kennedy 50 anni dopo, una figura che con l’assassinio a Dallas del ’63 è rimasta come “cristallizzata”. Il giudizio degli storici è stato sempre un po’ critico della politica di Kennedy nei 1000 giorni che è stato alla Casa Bianca, ma nonostante questo l’opinione pubblica di ben tre generazioni è sempre molto benevolente nei confronti del personaggio. Per questo resta ancora oggi questo mito, lo vediamo dai film e dai libri che continuano ad uscire, sia di carattere storico che di fiction (come quello di Stephen King di qualche anno fa), a dispetto di coloro che si chiedono “ma ancora c’è da dire qualcosa su Kennedy?”.  Cercheremo anche di capire perché l’argomento “tiri” ancora: in molti, ad esempio, sostiengono che la ragione sia nel mix di carisma, di bellezza, di giovinezza, di anni Sessanta che confluiscono in una figura che insieme ad altre – come Krusciov e Giovanni XXIII – in quegli anni portarono una speranza nuova. Non ci interessa parlare del tragico attentato e di complotti; piuttosto ci focalizzeremo sulle tre prospettive che nominiamo nel sottotitolo. La Chiesa, perché ovviamente stiamo parlando del primo ed unico presidente cattolico degli Stati Uniti; la Storia, perché al di là del mito, che rimane e cresce con il passare degli anni, sarà interessante vedere i risultati e le aspettative, mantenute e deluse, di quei 1000 giorni. Da ultimo, l’informazione: l’evento è promosso dall’UCSI, e quindi ci interessa molto esplorare l’innovazione mediatica che in quel momento Kennedy ha portato nella politica (ricordiamo che il primo dibattito politico tra due candidati fu tra Kennedy e Nixon, e che le conferenze stampa in diretta furono inventate da lui). Cercheremo anche di capire quanto “la parola”, detta e scritta, sia stata importante in John Fritzgerald Kennedy, e quanto di questa sua legacy sia ancora viva oggi. 
 
Noi di Aleteia abbiamo ascoltato il professor Matteo Luigi Napolitano, Delegato del Pontificio Comitato Scienze e Storiche presso l’International Committee for the Second World War, che ci ha regalato qualche anticipazione sul tema:
 
Qual era la grande speranza kennedyana?
 
Napolitano: Da un punto di vista interno, la speranza era quella di una maggiore coesione del popolo americano, estremamente eterogeneo da un punto di vista culturale ma anche sociale, nelle prospettive di sviluppo delle giovani generazioni. Questo è il primo aspetto: un’unione del popolo americano attorno ad un’idea che è sostanzialmente l’idea di tutti i presidenti, della libertà e dell’affermazione dei principi americani di libertà nel mondo, certo, pur con una serie di problematiche, quale ad esempio il Vietnam. Da qui anche il dialogo con l’Est, la possibilità di capirsi con l’Unione Sovietica, su quali termini e a quali condizioni i due massimi sistemi potessero confrontarsi. Poi il rapporto con l’Europa, che vedeva alcune grosse problematiche come la questione di Berlino e quella tedesca in generale, e la solidità dell’alleanza occidentale con Washington. Per non dimenticare la tensione per la posizione della Francia all’interno dell’alleanza atlantica.
 
Ci descrive il cattolicesimo di Kennedy, in politica e nell’uomo? 
 
Napolitano: La discendenza cattolica della sua famiglia è evidente, era molto radicata Ma, attenzione, questo non significa che Kennedy non si identifichi nella speranza americana che è trasversale dal punto di vista religioso e culturale. Voglio soltanto ricordare lo stesso presidente Barak Obama, molto prima della sua candidatura alla Casa Bianca, parliamo di 4 anni prima, riprese questi valori, ottenendo l’appoggio di Jesse Jackson per le presidenziali che poi vinse. Quindi è un ideale un po’ più ampio, in cui ci si identifica come cattolici, ma ancor meglio come credenti americani, e credenti nella nazione americana, che, ricordiamolo, ha la scritta “In God we trust” sul dollaro. 
 
Nell’idea di Kennedy, dunque, la Chiesa non doveva ricoprire un ruolo di attore politico?
 
Napolitano: Di fatto l’ha avuto questo ruolo: pensiamo alla crisi di Cuba e al ruolo di Giovanni XXIII, con il suo appello per la pace rivolto alle due superpotenze. Ma questa marcatura cattolica va inserita in un contesto che è stato definito “la speranza americana”, o da altri “la retorica della speranza”, cioè l’uso di simboli molto cari agli Stati Uniti: si pensi alla forza simbolica di unione dell’11 settembre, oppure all’uso degli ideali come la libertà, la democrazia, il libero mercato, il libero scambio e così via, tutti elementi che fanno parte di una “fede”, che in un certo senso potremmo definire laica, ma che ha degli aspetti religiosi che potremmo definire cattolici. Oppure la convinzione che il popolo americano, per quanto sia vario, un “melting pot”, un crogiolo di civiltà, poi alla fine esprima più similitudini che non differenze, poiché emerge all’esterno l’immagine unita di un popolo americano che raduna tutti quanti, indipendentemente dalla religione, dalla razza, sotto la bandiera americana. Questa è una speranza che attraversa tutte le amministrazioni e che, se posso usare un cattivo gergo politico, è cavalcata durante tutte le campagne elettorali. Per alcuni questa è retorica, ma fa parte del DNA del popolo americano, e nessun presidente può prescinderne, compreso un cattolico come Kennedy.
 
Cosa rimane nell’America di oggi, e nella leadership americana di oggi, del mito kennedyiano?
 
Napolitano: Rimane molto. Direi che rimane la speranza americana che si declina in valori che sono valori di vita spirituale, se possiamo applicare questa allocuzione spirituale alla politica. E i valori di questa speranza quali sono? Le uguali opportunità, la non discriminazione, con le difficoltà della sua applicazione, la bandiera della costituzione americana, molto breve e con tanti emendamenti rivolti a precisare meglio le libertà personali, la solidarietà sociale. Faccio presente una cosa su non si riflette spesso: l’assassinio di Kennedy assunse un carattere veramente unico, non solo perché fu un fatto imprevisto che un presidente giovane, così popolare, fosse assassinato. – nessun presidente era stato oggetto di assalti alla sua vita nei sessant’anni precedenti – per la reazione della gente. Non solo c’è l’aspetto tragico in sé, ma anche l’aspetto esplosivo di questa morte, che è assurta a simbolo. Gli americani quando seppero che il presidente era morto reagirono come se avessero perso un parente, un genitore, un amico. La prima reazione fu questa, un aspetto veramente inedito della storia americana del Novecento. Per tornare alla domanda, che cosa resta? Resta Obama. Obama stesso ha ripreso quegli ideali. Basta ricordare quello che lui disse il 27 luglio del 2004, durante la campagna delle presidenziali, alla Convention democratica di Boston: “io sono qui, sapendo che la mia storia è parte della più grande storia americana,  che io ho contratto un debito verso tutti coloro che mi hanno preceduto, e che in nessun altro posto della terra questa mia storia sarebbe stata possibile”. Il nesso con Kennedy è immediato. 
 
Come guarda la Chiesa a Kennedy, oggi? 
 
Napolitano: Sono passati parecchi anni, nei quali è stato possibile maturare una riflessione storica. Penso al ruolo di Kennedy in Vietnam, alla crisi di Cuba, al suo rapporto con Krusciov, alla crisi di Berlino. Ritengo che c’è la possibilità per la Chiesa di valutare in maniera più obiettiva e più ampia questa presidenza,  proprio dal punto di vista storico, proprio perché la Chiesa è molto rispettosa  delle risultanze delle ricerche storiche. Evidentemente la presidenza cattolica di Kennedy nella nazione più potente del mondo è qualcosa di importante, anche per la Chiesa, e lo fu, anche in quel momento: se vogliamo, fu qualcosa di paragonabile all’elezione al soglio pontificio di Wojtyla , il 16 ottobre 1978, cioè di un papa venuto da oltre cortina, ovviamente fatte le dovute differenze. Sulla base della documentazione storica, oggi è possibile valutare serenamente anche gli errori, alcuni passi diciamo falsi dell’amministrazione Kennedy in alcuni tornanti fondamentali della storia americana. Non credo che la Chiesa si voglia sottrarre, oggi, ad una valutazione più serena di quell’amministrazione. 
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