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La Chiesa nelle lettere pastorali

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Dimensione Speranza - pubblicato il 12/11/13
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Le lettere pastorali ci presentano una struttura nuova della Chiesa, in quanto sono la testimonianza dei cambiamenti intervenuti dai tempi apostolici alla prima età post-apostolica

di Marino Qualizza

Un aspetto che merita particolare attenzione e fa anche riflettere è il fatto che la comunità ecclesiale è pienamente subordinata all’ufficio apostolico e, fatto ancora più rilevante, è la sparizione pressoché totale dei carismi.

Le lettere pastorali ci presentano una struttura nuova della Chiesa, in quanto sono la testimonianza dei cambiamenti intervenuti dai tempi apostolici alla prima età post-apostolica, vissuta nella consapevolezza che la nuova realtà corrisponda alle indicazioni dell’apostolo Paolo, essendo accertato che sono post-paoline. Si tratta della 1 e 2 a Timoteo e di quella a Tito.  Della Chiesa si parla poco, perché l’attenzione è concentrata sul ministero ecclesiastico. Tuttavia si trovano tre elementi ecclesiologici significativi. La chiesa è nata dalla autodonazione di Gesù ed è sua proprietà: “Egli si è donato per noi per riscattarci da ogni iniquità e purificarsi un popolo che gli appartenga e sia zelante del bene”, Tito 2,14. Viene poi configurata come una famiglia, affidata alla cura del discepolo: “Bisogna che tu sappia come comportarti nella casa di Dio, che è la Chiesa del Dio vivente” 1Tim 3,15. Ed infine viene intesa come edificio “colonna e fondamento della verità”, 3,15; stabilità della fede e convivenza di credenti e infedeli, secondo le note indicazione dei vangeli.

Ed ecco l’aspetto specifico di queste lettere: il ministero apostolico su cui si basa la Chiesa, e a sua volta si fonda sull’apostolato paolino e si attua, nell’oggi, nel kerygma apostolico, come attualità del vangelo di Paolo. Conforme a ciò, anche il potere di ordine e di governo dell’Apostolo è presentato come uno sviluppo di quello paolino. La ministerialità dell’apostolo è storicamente presente nel discepolo e determina il passaggio dal diritto sacro a quello ecclesiastico. Aspetto delicato, ma importante che vede la continuità apostolica in nuove forme dettate dalle situazioni.

Da questo ministero apostolico si sviluppano altre forme da vedersi come esplicitazioni e trasformazioni del ministero originario. Si fonda e continua quella linea di trasmissione dei ministeri apostolici che hanno il loro fondamento nel ministero iniziale. Così Timoteo è reso partecipe del ministero apostolico in forma ‘sacramentale’mediante l’imposizione delle mani. Così è reso rappresentante dell’Apostolo e suo successore 1Tim 4,1 e 2Tim 4,5s.

Le funzioni ministeriali consistono in primo luogo nell’insegnamento: predicazione, testimonianza, istruzione, esposizione dottrinale, esortazione pastorale. L’insegnamento si scontra anche con gli eretici che fanno la loro comparsa nella comunità. Viene raccomandato di presentare la verità in modo cordiale e pedagogicamente positivo, 2Tim 4,2. C’è anche l’aspetto amministrativo che viene richiamato per l’ordinato svolgimento della vita comunitaria. E c’è poi l’indicazione importante che ci fa parlare di un ‘potere di ordine’, secondo il vocabolario successivo. Si tratta infatti del potere di istituire presbiteri nelle comunità, Tito 1,5. Si deve notare come la missione paolina dei discepoli dell’Apostolo è fondata nella successione ministeriale e nell’ordinazione sacramentale. I ministeri non si esauriscono in un servizio materiale, ma hanno il loro fondamento e la loro forza nello Spirito Santo.

Per quanto riguarda l’insegnamento, Timoteo e Tito non propongono una loro dottrina ed un insegnamento proprio, ma insegnano ciò che l’Apostolo scrive loro, così che ci troviamo agli inizi di quella che viene chiamata ‘tradizione o trasmissione’ apostolica, 1Tim 6,3; 2Tim 2,14. Anche le attività di governo ed amministrative sono l’esecuzione di normative apostoliche. Significativo è 1Tim 5,19 per un procedimento disciplinare.

Un aspetto che merita particolare attenzione e fa anche riflettere è il fatto che la comunità ecclesiale è pienamente subordinata all’ufficio apostolico e, fatto ancora più rilevante, è la sparizione pressoché totale dei carismi. Restano solo i ‘profeti’ che intervengono nella designazione dei candidati all’episcopato 1Tim 1,18 e 4,14. Di conseguenza, ogni autorità e responsabilità è riposta nei detentori degli uffici ecclesiastici. Il suo esercizio si esplica anche nei confronti degli eretici; è una forma di comando, non condivisa con l’assemblea della comunità e neanche con i carismatici, ma soltanto con i ‘presbiteri’ 1Tim 4,14. Tuttavia questa autorità deve essere esercitata sempre nella fede e nell’amore in Cristo e sotto l’assistenza del Signore e mediante la sua grazia 2Tim 4,14.

NELLA LETTERA AGLI EBREI

Poco sappiamo della comunità a cui è indirizzata la lettera, così passata alla storia, pur non avendone le caratteristiche, ma si presenta come una lunga esortazione a rimanere nella fede ricevuta, a non perdere la frequenza alle riunioni e ad obbedire i capi che predicano la parola di Dio 13,7, perché ad essi è demandata la responsabilità delle loro anime dinanzi a Dio, 13,17. La comunità a cui si rivolge non assorbe l’interesse dell’autore, perché la ‘gnosi’ conoscenza che diffonde riguarda Gesù Cristo, inteso come Figlio e Sommo Sacerdote.

La comunità a cui si rivolge l’autore è chiamata ‘casa di Dio, 10,21; sopra di essa sta ‘un grande Sacerdote’, Gesù Cristo che in quanto Figlio l’ha preparata. Mosè al confronto stava in essa come servo che ha preparato la venuta di Cristo, 3, 3-6. Così la comunità deve la sua esistenza a Dio e a Cristo. Tutto questo è esposto e affermato nel corso della lettera, dall’inizio dove si parte con la creazione fino alla purificazione definitiva mediante il suo sangue, 13,12. In virtù della sua passione, il Cristo è divenuto erede di tutte le cose e presente per tutti gli uomini: ‘Gesù Cristo ieri, oggi e nei secoli’, 13,8.

I termini con i quali Gesù viene definito e cioè Sommo Sacerdote, intercambiabile con Figlio, 4,14.15 sono il punto di arrivo dell’insegnamento e della conoscenza su di lui e vengono strettamente collegati con altri tre termini fondamentali: alleanza (testamento), evangelo, speranza. Essi condensano la pienezza della salvezza compiuta da Cristo. Nello stesso contesto occorre ricordare altre tre cose: il sacrificio che è stato offerto come superamento di quello veterotestamentario 10,19.29; la via che Gesù percorre per portare la salvezza, 9,11; la sua presenza perenne così che egli intercede per noi continuamente, 9,17s.

I frutti di questo evento salvifico sono la nuova alleanza da parte di Dio: Gesù è ‘mediatore di una nuova alleanza, 9,15, garante di un’alleanza migliore, 7,32. Essa consiste nell’introduzione di una alleanza migliore, mediante la quale ci avviciniamo a Dio, 7,19. La speranza di cui Gesù è portatore conduce il popolo peregrinate a Dio. Il pellegrinaggio si svolge ascoltando la voce di Dio, 4,7, la predicazione, 2,3, obbedendo alla parola viva ed efficace di Dio, annunciata da coloro che presiedono e dall’autore della lettera, 13,7.22. Tutto questo avviene nella fede e nella paziente attesa, 6,12. Al centro della fede sta il battesimo. La promessa viene ottenuta solo quando i battezzati proclamano la speranza nella fede.

La lettera è scritta come discorso di esortazione perchè c’è sempre il pericolo del venir meno, dell’apostasia come disobbedienza fondamentale, 4,11. Si può evitare questo pericolo ‘facendo attenzione a quanto hanno udito’ 2,1, ascoltando la parola dei loro capi e quella dell’autore, nell’oggi perenne della fede: ‘Oggi, se udite la mia voce, e non indurite i vostri cuori’ , 4,7. Questo ascolto richiede perseveranza nella confessione di fede: ‘Voi avete bisogno di costanza, perché, dopo aver compiuto la volontà di Dio, possiate beneficiare della promessa. Infatti ancora un poco, ben poco tempo, colui che viene arriverà e non tarderà’ 10,36s. 

La perseveranza nella confessione richiede l’accettazione della educazione di Dio, 12,4s, il rifiuto del peccato e la lotta fino al sangue contro di esso, 12,1.4, continenza e castità, 13,4, il rifuto dell’avarizia, la santificazione, 12,14. A ciò si aggiungano l’amore fraterno, l’ospitalità, l’interessamento per i fratelli carcerati, la beneficenza e la cura della comunità e quanto viene raccomandato nel c.13. ‘Facciamo attenzione gli uni agli altri per stimolarci nella carità e nelle opere buone, 10,24, e non dimenticare che è Dio a rendere i cristiani atti a compiere ogni bene.

In conclusione la Chiesa “è il popolo peregrinante di Dio, di cui Israele, la sua storia e le sue istituzioni non sono altro che delle copie, degli esempi, dei modelli anticipatori e umbratili. Questo popolo, dopo essere passato attraverso il battesimo, cammina nella speranza e nella pazienza verso il suo fine invisibile, la salvezza. Esso l’ha già incontrata nella fede” (Schlier 232).

FONTE: http://dimensionesperanza.it/aree/formazione-religiosa/ecclesiologia/item/7822-la-chiesa-nelle-lettere-pastorali-marino-qualizza.html?utm_source=twitterfeed&utm_medium=twitter

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