Un nuovo successo della tecnologia prenatale impone sulla ribalta nuovi e vecchi interrogativi di tipo eticoUn’altra frontiera è stata varcata nel mondo della fecondazione assistita. Una donna di Milano, che aveva scelto di congelare il proprio ovocita nel 2008 prima di sottoporsi a cure per un carcinoma ovarico che ne avrebbero compromesso per sempre la fertilità, ha dato alla luce un bambino pochi giorni fa. La tecnica applicata è quella della “vitrificazione”, una delle più moderne nel mondo della riproduzione assistita, che mantiene l’Italia in una posizione di avanguardia europea nel campo della crioconservazione degli ovociti.
Per discutere di questo successo scientifico e delle sue ripercussioni nel campo dell’etica, Aleteia ha raccolto il punto di vista, per molti versi opposto, di due esperti nel campo della medicina e della bioetica, e cioè del professor Giuseppe Noia, responsabile del Centro diagnosi e terapia fetale del Gemelli e presidente delll’AIGOC (Associazione Italiana Ginecologi Ostetrici Cattolici), e del professor Mario Picozzi, responsabile diocesano dei giovani di Azione Cattolica e oggi docente di Etica clinica all’Università degli Studi dell’Insubria.
Ci spiega il valore scientifico di questa nascita attraverso la vitrificazione?
Noia: Guardi, il valore scientifico deve essere sempre confrontato con il valore etico. Si invoca l’etica nelle banche e nella politica, e un motivo ci sarà, perché i criteri di riferimento dei valori sono praticamente scomparsi. Allora qui un giudizio sulla tecnologia può farci parlare di grande successo; tuttavia, come in tutte le tecniche di fecondazione in vitro, al di là dello scopo ottenuto, dobbiamo tener presente qual è il prezzo di questo successo. Faccio un esempio: tre anni fa è stato assegnato il premio Nobel a Robert Edwards, che ha trasportato la tecnologia di fecondazione artificiale dagli animali all’uomo. La tecnologia che lui ha utilizzato, che era già conosciuta, viene invocata come terapia della sterilità, ma questa è una manipolazione semantica oltreché concettuale, perché se una donna ha le tube chiuse, con la fecondazione in vitro noi non risolviamo la chiusura delle tube. Ora, sono nati 4 milioni di bambini in trent’anni e più, ma se ne sono persi 40 milioni; ma se noi certifichiamo con un Nobel che quella tecnologia è scientificamente valida, come la mettiamo con il fatto che perché ne nasca uno ne dobbiamo perdere nove?
Sulla vetrificazione, è chiaro che la gente resta colpita dal fatto che questa donna, dopo aver avuto un tumore, ha trovato il suo spicchio di felicità. Ma io non so quanti embrioni sono stati persi perché quello lì attecchisse. Di certo c'è che tutte le tecniche di fecondazione artificiale hanno tre cose occisive per l’embrione: la tecnica in sé, il congelamento e, la cosa più grave, la diagnosi pre-impianto, nella quale una donna dopo tanti tentativi per avere un figlio si arrende alla cultura dello scarto e pretende anche che sia sano e perfetto: ma chi è che spiega su 13.000 embrioni biopsizzati quelli che diventano bambini sono dal 2% al 6%?
Nel momento in cui il medico si trova davanti una donna che vuole diventare mamma a tutti i costi, che spazio ha per muoversi tra confini giuridici e convincimenti etici?
Noia: il medico ha un grande spazio, che è quello di informare e di aiutare la consapevolezza. Certo che non può intervenire sulla scelta delle persone, però le informa: quante coppie sono venute nel mio studio e, dopo aver appreso che la resa della fecondazione artificiale è molto bassa, che la perdita degli embrioni non è considerata per niente e che tutta la tecnica del congelamento è di fatto una protezione per la donna ma ha un alto grado di occisività, hanno deciso di recedere! Questo perché si accorgono che il grande assente in tutta questa filiera è l’embrione, cioè la figura più debole. Se lei pensa che dopo il congelamento il 56% muore subito, e del 44% che rimane sono solo dal 2% al 6% che arrivano in braccio alle mamme, ci accorgiamo che c’è un’ecatombe di embrioni dopo il congelamento.
Informare è anche il compito dell’AIGOC che lei presiede. Dopo quattro anni com’è il bilancio del suo lavoro?
Noia: il bilancio è fortemente positivo, perché nel nostro statuto non abbiamo optato per un fondamentalismo etico, ma abbiamo scelto di andare a parlare con tutti, credenti e non credenti. Questo perché noi crediamo molto nella “scienza onesta”, per cui i dati e le evidenze non prescindono dall’etica, dall’antropologia e dal diritto. Noi siamo medici, non tecnologi, noi dobbiamo servire la vita, e quando la vita – questo è nel giuramento di Ippocrate oggi così disatteso – viene “cosificata” a tal punto, noi ci opponiamo. Abbiamo creato già 10 scuole itineranti andando in varie regioni a parlare di argomenti bioetici, ci confrontiamo con tutti, e la gente accorre perché una domanda di senso, anche tra coloro che sono medici, c’è. E nelle cose che diciamo non vedono ideologia o confessionalismo, ma onestà intellettuale.
Qual è il valore etico di questa nascita attraverso la vitrificazione?
Picozzi: Io vi riconosco il legittimo desiderio di una coppia di avere un figlio, che a causa di una malattia non è possibile avere ordinariamente e che quindi grazie a delle tecniche che al giorno d'oggi sono in grado di permettere la conservazione di un gamete, ora sono riusciti a realizzare quel desiderio. Detto questo, è evidente che questo è avvenuto in un contesto specifico, con alcuni criteri e alcune regole che consentono di esprimere un dato giudizio di legittimità su questo aspetto.
A proposito di regole, la legislazione italiana a che punto si colloca tra progressi della scienza e questioni etiche?
Picozzi: Mah, noi abbiamo uno sviluppo a volte vorticoso delle possibilità che la scienza consente. E’ chiaro che riguardando questioni che toccano la salute delle persone, una società deve anche chiedersi come normare queste possibilità, e fino a che punto cercare di normarle. In questa prospettiva la legge italiana non consente alle coppie di accedere alle tecniche di fecondazione assistita se non sono sterili, e solo come ultimo step: questa è la condizione che viene messa. Dunque non è che qualunque donna in Italia possa chiedere di congelare il proprio ovulo volendo accedere ad una fecondazione assistita. Ora si sta imponendo la questione di molte donne che chiedono di conservare i propri ovuli in vista di un domani, ma la condizione necessaria rimane che ci sia una malattia a monte, come nel caso della donna di Milano.
Dal momento che lei insegna Etica clinica, ritiene che i confini dell’etica siano elastici o fissati da principi inalterabili?
Picozzi: E’ chiaro che il nostro è un contesto pluralistico, dove su questioni anche fondamentali la si può pensare anche diversamente. Però, proprio sulle questioni fondamentali che non riguardano solo il singolo ma dicono anche del grado di “civiltà” di una società, io propenderei per una saggia gradualità. Direi che bisogna trovare quel grado di condivisione che consenta a persone che magari partono da presupposti diversi di potersi riconoscere, sapendo che ad alcune cose si dovrà comunque rinunciare da una parte e dall’altra, però trovando un terreno di condivisione in un contesto in cui nessuno può chiamarsi fuori. Credo che la strada maestra sia questa, saper trovare con gradualità punti in comune evitando di creare uno scontro permanente, o che addirittura ci siano cambiamenti legislativi in base alle differenti maggioranze politiche che via via si formano. Accanto a questo, però, è chiaro che deve crescere una cultura in grado di recepire questi passaggi e i vari criteri che rendono poi capaci di esprimere un giudizio.