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L’inclusione dei disabili? Una bella definizione non corroborata dai fatti

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Aleteia Team - pubblicato il 08/11/13
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A 5 anni dalla ratifica della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, in Italia poco è cambiato nei servizi a loro dedicatiLa vita di tanti disabili rischia di essere "una lunga corsa in autostrada, senza nemmeno un’uscita. La imbocchi al momento della diagnosi e ci resti dentro finché muori, andando sempre dritto, ora pigiando più veloce sull’acceleratore ora alzando un po’ il piede, ma sempre restando con facilità (e pure con una certa monotonia) nella stessa carreggiata”; “una vita da eterni bambini, completamente vissuta all’interno di servizi magari perfetti da un punto di vista tecnico, organizzativo, educativo e riabilitativo, ma autoreferenziali, poco aperti alla partecipazione, poco capaci di stimolare l’autodeterminazione, l’autorappresentazione, la cittadinanza attiva. In una parola, poco o per nulla inclusivi” (Vita, 8 novembre).

Sembra un controsenso visto che in base alla Convenzione ONU “nell’autostrada dovrebbero aprirsi molte uscite, in modo che ciascuno si trovi di fronte, nei diversi momenti della propria esistenza, possibilità diverse, da cogliere o meno in base ai propri desideri e alle proprie scelte, qualsiasi siano le proprie condizioni”.

“Sulla carta, nelle vision e nelle mission, tutti si sono adeguati alla nuova prospettiva, ma nella pratica quotidiana si fa fatica a raccogliere la sfida dell’inclusione, che mette in discussione modelli organizzativi ed economici consolidati”.

Come ha ricordato il vice-ministro Maria Cecilia Guerra in occasione della IV Conferenza nazionale sulla disabilità svoltasi a Bologna nel luglio scorso, la ratifica da parte dell'Italia della Convenzione ONU “è vincolante e non va pensata con leggerezza”. “Non si vuole fare dei disabili delle categorie protette e speciali, ma riconoscere loro i diritti che hanno tutte le altre persone”, affermazione che dovrebbe sposarsi con “una concezione nuova della disabilità” (Avvenire, 12 luglio).

La Conferenza è stata l’occasione per avviare un confronto pubblico sul Programma di azione biennale per la promozione dei diritti e l’integrazione delle persone con disabilità, che prevede linee di intervento che riguardano il riconoscimento e la certificazione, il lavoro, la scuola, i servizi, la mobilità e la salute.

Tre problemi che devono spesso affrontare le persone con disabilità, ha spiegato la Guerra, sono “rilevante disoccupazione di lungo periodo, non partecipazione ai programmi di formazione e abbandono scolastico”, “che determinano molto spesso esclusione sociale e povertà”. “Se interveniamo solo sulla disabilità senza vedere la necessità di affrontare il problema sociale della povertà o quello di garantire alti livelli di partecipazione scolastica o l’inserimento in alti segmenti del mercato del lavoro, non faremo molta strada”.

La situazione dei disabili peggiora poi con la crisi, che “non colpisce tutti nello stesso modo”, incidendo particolarmente sulle persone “che possono essere più facilmente messe ai margini”. Ecco perché “bisogna accendere dei fari su marginalità e crisi per evitare che il nostro Paese, che pure ha una legislazione avanzata e ha precorso, in certi i casi, i tempi, faccia dei tragici passi indietro”.

Lo stesso Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha affermato in un videomessaggio inviato a Bologna che “proprio nei momenti di difficoltà economica come quelli che stiamo attraversando si impone una particolare attenzione alla condizione e ai diritti delle persone con disabilità, così da evitare che il disagio sociale si traduca in emergenza, come purtroppo in troppi casi sta avvenendo”.

Si stima che i disabili rappresentino il 15% della popolazione mondiale. Nell'82% dei casi vivono in Paesi in via di sviluppo. Si stima che il 90% non abbia accesso a servizi, più dell’85% non ha un impiego e meno del 5% dei minori può accedere a una educazione formale (Avvenire, 30 ottobre).

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