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Parlare a scuola della famiglia tradizionale diventerà una colpa?

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Roberta Sciamplicotti - Aleteia Team - pubblicato il 06/11/13
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Il decreto sulla scuola punta a inserire nell’istruzione il concetto di gender
In base al decreto 104/2013, “La scuola riparte”, approvato dalla Camera e ora all’esame del Senato, gli insegnanti italiani saranno obbligati a seguire corsi di formazione e aggiornamento per migliorare, tra le altre, anche le competenze relative “all’educazione all’affettività, al rispetto delle diversità e delle pari opportunità di genere e al superamento degli stereotipi di genere”.

Dietro la formulazione della lettera “d” del comma 1 dell’articolo 16 del testo, che stanzia 10 milioni di euro per le attività di formazione dei docenti, c’è una dura battaglia in commissione Cultura della Camera. Il testo originario dell’emendamento, presentato da una parte del Pd, Sel e Movimento 5 Stelle, parlava infatti di “educazione sentimentale”, espressione poi modificata in “educazione all’affettività”, e prevedeva che la formazione avesse come oggetto il “gender”, teoria secondo la quale non c’è un legame biunivoco tra sessualità biologica e identità sessuale. Nel testo definitivo il termine “gender” è stato tradotto con “genere”, ma è rimasto il riferimento agli “stereotipi”.

Da queste premesse, commenta Avvenire (5 novembre), si capisce come “sia molto elevato il rischio che un professore, che in classe voglia parlare di famiglia – intesa come società naturale composta da un uomo, una donna e dai loro figli – sia ‘accusato’ di non rispettare le diversità di genere, di riproporre degli stereotipi e quindi obbligato ad ‘aggiornarsi’”.

Non è il primo caso di limitazione dei diritti dei genitori, che vedrebbero instillate nei propri figli idee che possono non condividere. Due anni fa, ad esempio, in Germania alcuni genitori sono stati arrestati per non aver voluto far partecipare i figli al programma scolastico di educazione sessuale perché non erano d’accordo con quella che si voleva imporre ai bambini in modo obbligatorio (ZENIT, 21 marzo 2011).

Leonor Tamayo, responsabile del Settore Internazionale dell’associazione “Profesionales por la Ética”, ha parlato al riguardo di un “indebolimento aggressivo dei diritti umani”. L’associazione ha anche promosso una dichiarazione a favore dei genitori tedeschi condannati, sottoscritta da 43 associazioni di tutto il mondo e in cui si esortavano le autorità tedesche a rimettere in libertà i genitori arrestati per voler educare i figli in base alle proprie convinzioni e si chiedeva alle istituzioni europee di vegliare sui diritti fondamentali e la libertà di educazione.

Le istituzioni, ad ogni modo, non sono sempre una garanzia. L’ufficio europeo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), in collaborazione con l’agenzia governativa tedesca per l’Educazione Sanitaria, ha infatti elaborato una guida per i Governi intitolata Standard di Educazione Sessuale. Il documento ha iniziato a essere diffuso presso i ministeri dell’Istruzione e della Salute d’Europa e si ispira ai dogmi dell’ideologia di genere.

Inquietanti alcune competenze che la guida consiglia di trasmettere ai bambini dai 0 ai 16 anni: da 0 a 4 anni, ad esempio, l’OMS prescrive l’apprendimento del “godimento e piacere quando giochiamo con il nostro corpo: la masturbazione della prima infanzia”. L’età da 0 a 4 anni è ritenuta ideale per “la scoperta del corpo e dei genitali”, mentre da 4 a 6 anni è l’età ideale per “parlare di questioni sessuali”, esplorare “le relazioni omosessuali” e “consolidare l’identità di genere”. Dai 9 ai 12 anni, e fino ai 15, i bambini devono conoscere il problema della maternità imprevista ed è bene che ricevano informazioni su dove trovare un contraccettivo e ottenere un aborto. 15 anni sono l’età per “aprirsi agli altri (dichiarare l’omosessualità, la bisessualità e altre opzioni)” e venire a conoscenza del “sesso commerciale (prostituzione, ma anche sesso in cambio di piccoli regali, pranzi/notti fuori o piccole somme di denaro), pornografia, dipendenza dal sesso”. Nelle 83 pagine del testo, i genitori sono ritenuti una “fonte informale” di educazione, rispetto allo Stato come “fonte formale”, “scientifica” e veritativa.

Ancora, il Comitato Europeo per la Tolleranza e la Riconciliazione (Ectr), un’organizzazione non governativa influente nell’Unione Europea, ha pubblicato il suo “Statuto nazionale per la promozione della tolleranza nel contesto europeo” le cui sezioni 8 e 9 suggeriscono un pesante interventismo del Governo nell’educazione scolastica e nei mass media per far loro promuovere un “clima di tolleranza” e punire il pensiero deviante e intollerante.

Credere di eliminare la violenza vietando certi discorsi, tuttavia, “cozza contro la cruda realtà dei fatti. Piuttosto, controllare il pensiero e la parola implica, necessariamente, l’istituzione di organi di controllo da regime totalitario” (La Nuova Bussola Quotidiana, 31 ottobre).

“Discriminare”, ha del resto riconosciuto il filosofo Vittorio Possenti, docente presso l’Università Cà Foscari di Venezia, “non è sempre qualcosa di cattivo, poiché è semplice atto di giustizia trattare in modo diverso cose diverse”. “Definire discriminazione una qualsiasi differenza è dunque un falso egualitarismo in cui non esistono più volti, ma tutto è indistinto, amorfo, intercambiabile e funzionale. Cancellare le differenze reali non è inclusione ma confusione” (Avvenire, 11 dicembre 2012).

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