Nella scuola digitale, programmi individuali per valutare i progressi di ogni allievo ma anche rischio di minore socialitàEliminare i classici libri di testo cartacei sui quali si studia da centinaia di anni per favorire l'introduzione degli strumenti messi a disposizione dalla tecnologia non è solo una modifica del supporto su cui si basa l'istruzione, ma un cambiamento di mentalità, di stile di vita.
Promuovere una maggiore familiarità da parte di bambini e giovani con i media attualmente più in voga li aiuta sicuramente ad acquisire competenze che risulteranno utili – al giorno d'oggi fondamentali – nel campo del lavoro, oltre a comportare vantaggi più di ordine pratico come zaini più leggeri e costi complessivamente più bassi, ma la digitalizzazione della scuola, come ogni fenomeno, comporta sia luci che ombre.
Da più parti si sottolinea la maggior capacità della “scuola digitale” di adattarsi a ogni allievo. Presso l'International School di Torino, che quest'anno compie 50 anni e in cui 470 allievi di 50 nazionalità studiano in inglese con insegnanti di madrelingua e da tre anni usano l'iPad, ci sono ad esempio piani di apprendimento individuali. “Ogni allievo affronta argomenti diversi, per questo un libro non basta, serve un metodo nuovo”, ha spiegato Gregory Read, responsabile della tecnologia educativa della scuola (La Stampa, 30 ottobre). Nella scuola elementare North Kenwood Oakland di Chicago (Stati Uniti), gli alunni si autovalutano in base ai compiti effettuati al computer, e grazie ad appositi programmi la scuola dispone di dati aggiornati e precisi sui progressi di ogni bambino, che possono essere usati per stabilire cosa fargli vedere e sentire la prossima volta che siederà davanti al pc (The Economist, 8 ottobre).
Uno sprone sono poi i premi per i successi scolastici: uno dei più popolari siti di matematica al mondo, Mathletics, permette ad esempio di ottenere un attestato, di apparire nelle liste dei migliori del mondo e di guadagnare “monete d’oro” che gli allievi possono usare per acquistare aggiornamenti per i loro avatar.
Tante le aziende che si sono lanciate in questa avventura ritenendo le nuove tecnologie per la didattica una grande opportunità. La Apple, ad esempio, afferma di aver già venduto i suoi iPad 3M a diverse scuole e università statunitensi nel 2012, e per la società di consulenza Gsv advisors nel 2012 gli investimenti nel settore hanno superato il miliardo di dollari.
Non manca chi si oppone all'introduzione della tecnologia nelle scuole. I sindacati degli insegnanti statunitensi, ad esempio, temono che la professionalità dei docenti venga sostituita da una combinazione di tecnologia e forza lavoro meno qualificata, o magari solo dalla tecnologia, e per questo hanno avviato azioni legali per far chiudere le scuole online. Altri fattori di preoccupazione sono l'utilizzo di tutti i dati raccolti – José Ferreira, fondatore di Knewton, un’azienda di New York che produce strumenti per adattare i contenuti alle capacità dei singoli studenti, ha affermato “Sappiamo di più sui nostri utenti di quanto qualsiasi società abbia mai saputo su chiunque” – e la possibilità che ad avvantaggiarsi di questo cambiamento siano soprattutto gli studenti più ricchi, già capaci di sfruttare le risorse online.
Come ha sottolineato Giovanni Reale, già docente alla Cattolica di Milano e all’Università San Raffaele, “ciò che non si vuole comprendere è che questi strumenti cambiano il modo di pensare, di rapportarsi con le cose, con gli altri e con se stessi. Io uso i treni dei pendolari da tanti anni per recarmi a Milano. Oggi la gente sale, non saluta più nessuno, si siede e si mette in rapporto con uno strumento tecnologico”. “Un Paese che vuole costruire futuro deve fare in modo che la scuola non perda il suo ruolo di costruttrice di rapporti umani” (Avvenire, 2 maggio).
La tecnologia digitale, ha riconosciuto il filosofo Roberto Casati, direttore di ricerca alla Scuola Normale Superiore di Parigi, “è una grande evoluzione”, “ma in questo momento i colonialisti del digitale sono alla ricerca di tutte le nostre risorse mentali disponibili per sfruttare commercialmente nuovi spazi del nostro cervello”. “Ogni cosa che cerca di erodere le nostre risorse mentali”, però, “dovrebbe essere negoziata”.