A 20 anni dalla morte p. Virgilio Fantuzzi ha ricordato l’amicizia con il maestro del cinema e il suo rapporto con la fede
Sono trascorsi 20 anni dalla scomparsa di Federico Fellini (31 ottobre 1993) ma il suo genio non muore e sembra ieri che l'apparire di ogni suo film – da "La dolce vita" a "Amarcord", da "Otto e mezzo" a "Le notti di Cabiria" – provocava plauso e scandalo insieme, applusi e contumelie. Come ha ricordato per Avvenire (30 ottobre) padre Virgilio Fantuzzi, il critico cinematografico de La Civiltà Cattolica, grande amico del regista riminese.
Tutto cominciò nel 1960 con "La dolce vita". «Quella vicenda infiammò gli animi. Ricordo le feroci critiche de L’Osservatore Romano, le condanne pubbliche di molti vescovi (tra cui quello di Rimini) che fecero molto soffrire la madre di Fellini, Ida Barbiani, cattolica fervente, che l’avrebbe visto volentieri prete e con una brillante carriera ecclesiastica. Ad accendere la miccia della polemica, "una vera guerra, fatta di morti e feriti", fu soprattutto la presentazione de La dolce vita al Centro San Fedele a Milano dove, con molta imprudenza, padre Arcangelo Favaro parlò di un film che aveva il "sigillo della porpora", cioé la "benedizione" del cardinale di Genova Siri. Da quell’istante avvenne il boicottaggio del lavoro felliniano, perché le parole di Favaro rappresentavano un affronto alle perplessità manifestate dall’allora cardinale di Milano, Giovanni Battista Montini. Padre Nazzareno Taddei su Letture difese il film. Ma a dargli il colpo finale di condanna pubblica fu il mio confratello Enrico Baragli, che su La Civiltà Cattolica stroncò senza possibilità di ripensamenti La Dolce Vita».
Fu poi lo stesso Fantuzzi a "riabilitare" Fellini con le sue recensioni sottolineando l'originalità e la grandezza con la quale il maestro del cinema raccontava del suo rapporto con la fede e con i riti ecclesiali. Un "atto di giustizia e di risarcimento", lo chiama l'anziano padre gesuita, perchè "Civiltà Cattolica è in debito nei confronti di questo maestro del cinema per gli sgarbi, le cattiverie subite".
"Occorreva riconoscere – ribadisce Fantuzzi – la grandezza di un genio che, con il suo retroterra cattolico, ha in fondo raccontato, a volte in modo implicito e con originalità, il suo rapporto con la fede ma anche con i riti della Chiesa. Si pensi solo alla sfilata ecclesiastica nella pellicola Roma o al rapporto tra peccato e grazia che vive Peppino De Filippo nell’episodio 'Le tentazioni del dottor Antonio' in Boccaccio 70. In alcune sequenze de L’Intervista, dove Mastroianni e la Ekberg rileggono La dolce vita 30 anni dopo, ho sempre riscontrato un aspetto di spiritualità nella carnalità. E non è un caso che Fellini si sia ritrovato in molte delle mie osservazioni. Ed è forse anche per questo che simbolicamente durante le lavorazioni di La voce della luna decidemmo di raccogliere la sua prima intervista alla Civiltà Cattolica nella sede della rivista a Villa Malta a Roma".
Nel corso di quell'intervista il critico cinematografico potè cogliere anche il rapporto tra Fellini e altri due grandi registi – Roberto Rossellini e Pier Paolo Pasolini – con i quali il maestro del cinema riminese aveva in comune l'attenzione ai "miserabili e al cammino di redenzione spirituale" ( basti pensare a "Francesco giullare di Dio" di Rossellini o "Accattone" di Pasolini), un "comune percorso di ricerca dell’autentico attraverso l’umile: un riflesso di spiritualità in gente miserabile che cerca spiragli di luce nella sua vita". Per questo Fantuzzi non si è meravigliato quando Papa Francesco ha affermato che "La Strada" è "il film più bello e più francescano" : "non ha fatto altro che confermare quanto già sapevo e intorno a cui ho costruito la mia ricerca di critico cinematografico". Secondo Fantuzzi c’è però una differenza sostanziale in Fellini rispetto ai due illustri colleghi: "Federico non ha mai varcato il limite che separa la religiosità implicita da quella esplicita. In parole povere non esiste un suo film interamente intessuto di tematiche religiose, anche se si può dire che ogni sua opera è animata dal soffio misterioso di un Dio nascosto".
E come per ogni genio che si rispetti, il soffio della sua spiritualità – sfuggito a severi difensori della tradizione cattolica del suo tempo – ha viaggiato leggero per arrivare alle generazioni più giovani. Così l'autore e insegnante di religione Tommaso Cera annota in un post i risultati dell'esperimento di far vedere il film "La strada" agli studenti di terza media, avendo cura di presentare bene i personaggi dell'opera perchè i ragazzi non si fermino all'aspetto patetico di Gelsomina. Interrogati proprio a proposito di quest'ultima: "è davvero incredibile – scrive Cera – la profondità delle risposte che ho ricevuto. La maggior parte degli studenti ha provato simpatia per questo personaggio. E' nato anche un piccolo dibattito tra di loro a questo proposito. Alla fine ho messo in rilevo la somiglianza tra Gelsomina e Cristo, suggerita dallo stesso Fellini nella scena in cui la ragazza rimane conquistata dalla vista del crocifisso, durante un rito religioso: una donna umile, innocente, che ha una capacità di amare, di donarsi e di sacrificarsi che è superiore al disprezzo e alla violenza di cui è circondata e che riesce a salvare Zampanò dalla condizione infernale in cui vive. Il Matto salva Gelsomina, facendole capire il senso della sua vita e Gelsomina salva Zampanò, risvegliando in lui la voce della coscienza. Abbiamo poi ascoltato "La donna cannone" di Francesco De Gregori, facendo emergere il legame tra Gelsomina, la protagonista della canzone e Gesù: persone la cui capacità di amare è più forte del disprezzo e del rifiuto di chi gli sta accanto".