Una ricerca appena pubblicata sulle staminali derivate dall’epidermide apre un nuovo fronte nella lotta contro la malattiaPer la sclerosi multipla le terapie disponibili fino ad oggi si concentrano soprattutto sulla fase infiammatoria, quella nella quale cioè la malattia non è ancora entrata in fase progressiva. Un gruppo di ricercatori del San Raffaele di Milano, coordinati dal direttore della divisione di Neuroscienze dell'ospedale, Gianvito Martino, ha dimostrato che è possibile riprogrammare (seguendo la via indicata dal premio Nobel Shinya Yamanaka) cellule della pelle affinché, divenute cellule staminali del cervello, liberino un potenziale terapeutico nelle malattie del sistema nervoso centrale, come appunto la sclerosi multipla.
Noi di Aleteia abbiamo chiesto di commentare l'importante scoperta – che è una risposta ai sostenitori della necessità dell'utilizzo di cellule derivanti da embrioni e da feti umani – alla dottoressa Paola Zaratin, direttore per ricerca scientifica dell'Associazione Italiana Sclerosi Multipla (AISM), che ha finanziato lo studio milanese, e dal prof. Angelo Vescovi – direttore scientifico dell'ospedale IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza.
L'AISM ha sempre creduto e sostenuto l'utilizzo delle staminali nella ricerca sulla sclerosi multipla. Qual è il vostro contributo alla ricerca in questo senso?
Paola Zaratin: E' dal 2007 che l'associazione finanzia progetti di ricerca sulle staminali, e lo fa con grande attenzione alla bontà delle proposte di ricerca: abbiamo infatti un sistema molto rigido di approvazione dei progetti da finanziare, che prevedono una fase di peer review con esperti internazionali e con il nostro comitato scientifico. Oggi sosteniamo due principali gruppi di ricercatori: il gruppo di Genova, coordinato dal prof. Antonio Uccelli, e il gruppo del San Raffaele di Milano, coordinato dal dott. Gianvito Martino. Entrambi sono progetti molto validi scientificamente, rilevanti per una ONLUS come la nostra proprio perché, per il loro indirizzo poco commerciale, sono di meno interesse per le case farmaceutiche.
Qual è la differenza tra i due progetti? Qual è il valore specifico della ricerca condotta dal gruppo del San Raffaele?
Paola Zaratin: Il primo studio, quello di Genova ma con la partecipazione di un coordinamento di 10 Paesi diversi, riguarda le cellule mesenchimali (prodotte dal midollo osseo) e prevede lo studio di 160 soggetti. Ad oggi ne sono stati reclutati 30 soggetti, uno ha già completato il ciclo di trattamento e per il momento non ci sono fenomeni di rigetto. Questo studio sfrutta il potenziale della cellula staminale ma in uno stadio che è ancora quello infiammatorio, dove già esistono terapie più o meno disponibili e personalizzate per rallentare la progressione della malattia. Invece lo studio pubblicato dal dottor Martino, che sfrutta l'approccio delle cellule staminali neurali derivanti dalla pelle – e quindi da un tessuto non embrionale né fetale, fatto importante da un punto di vista etico – già a livello pre-clinico ha dimostrato un effetto diretto sulla componente neurogenerativa della malattia, ossia della mielina neuronale, e quindi apre grosse speranze sul fatto che la cellula staminale possa servire per quelle forme di sclerosi multipla più gravi e progressive che oggi non hanno nessun tipo di trattamento, neanche farmacologico. L'associazione si è impegnata molto a livello internazionale per trovare delle terapie di queste forme più gravi: per questo lo studio del gruppo del dottor Martino spalanca grosse aspettative, per un'associazione come la nostra che è di persone con la sclerosi multipla.
Quanti sono e come vivono i malati di sclerosi multipla? Quali sono i mezzi che ha a disposizione chi combatte la sclerosi multipla? Cosa fa il Servizio sanitario nazionale per i malati di sclerosi multipla?
Paola Zaratin: I pazienti con sclerosi multipla a livello mondiale sono 2.3 milioni, nell'ultimo studio sono aumentati del 9.5%, i giovani e le donne sono i più colpiti. In Italia sono 68.000 e noi ci auguriamo che questa malattia sia sempre più al centro del Servizio sanitario nazionale. Sicuramente l'associazione ha fatto molto e sta facendo molto, ma non si vuole sostituire al pubblico. E' chiaro che la persona con sclerosi multipla ha bisogno di un percorso assistenziale mirato, personalizzato, perché è una malattia di una vita. C'è bisogno di un intervento terapeutico mirato ma anche di un intervento sui sintomi e sulla qualità della vita. Ci auguriamo che ci sia sempre più attenzione a questa malattia, perché l'impegno che si deve profondere ogni giorno è enorme e, soprattutto in un periodo di risorse economiche limitate, spesso non ancora sufficiente a tutti i bisogni delle persone interessate.
Qual è la novità vera, e il vero valore, il passo avanti che i risultati di questa ricerca rivelano?
Angelo Vescovi: Credo che il vero valore sia da ritrovarsi nel fatto che gli aspetti potenzialmente terapeutici della terapia cellulare, e quindi con le staminali cerebrali, in questo caso vengono ottenuti partendo da cellule che originariamente non erano del cervello, ma appunto dell'epidermide. Questo implica la possibilità di un trapianto autologo, quindi senza rigetto. Si applica all'utilizzo delle cellule degli ammalati. Tra l'altro questo ha anche il grosso vantaggio di aderire a delle regole etiche, e dal nostro punto di vista va sottolineato il fatto che questa è sempre stata una cosa che è stata ritenuta impossibile–come hanno dimostrato altre ricerche precedenti a questa, come quella del premio Nobel Yamanaka–: ovvero che si possono ottenere delle cellule embrionali senza passare per gli embrioni. Che ci sia resi conto che questo è possibile, fa piacere.
La via delle staminali è quella più battuta dalla ricerca anche internazionale? E' quella più promettente?
Angelo Vescovi: Vengo proprio da una riunione su questo tema, dove è emerso chiaramente che è una di quelle vie che i comitati internazionali di tutte le associazioni hanno riconosciuto come una delle più promettenti e come una tematica importante da perseguire.
Quali sono le tappe davanti a noi verso una prospettiva di cura?
Angelo Vescovi: Questa ricerca è essa stessa un tassello che si inserisce in una serie di ricerche di questo genere, non è l'unica. In questo senso, la tappa successiva è quella di riuscire a identificare i meccanismi veri e profondi verso cui le cellule esercitano questo effetto terapeutico. Questi sono ben più di uno solo. La prossima fase è – mi passi la metafora – un po' come andare al poligono in cui si fa il tiro con l'arco e una volta identificati gli arcieri capire che tipo di frecce scagliano. Per una traduzione di questo studio, come di tanti altri a questo paralleli, alla sperimentazione sull'uomo, la strada va percorsa con cautela e la scala temporale è ancora di previsione. Certo si parla di tempi ancora lunghi.