Non condividere con i poveri i propri beni vuol dire derubarli e togliere loro la vitadi Manuel Bru
“Le case sociali del Seminario” è un progetto in corso da oltre un anno nella diocesi di Lleida (Spagna) che permettere a 20 famiglie sfrattate di poter accedere a un'abitazione sociale costruita nell'antica sede del seminario.
Questa esperienza ha trovato un'accoglienza fantastica presso l'opinione pubblica, e tanti vi si sono generosamente uniti apportando risparmi, tempo e professionalità, ma presuppone anche un cambiamento a livello di uso responsabile dei beni da parte delle istituzioni ecclesiali, istituzioni che da più di un secolo promuovono, almeno in teoria, quel grande principio della Dottrina Sociale della Chiesa che è la destinazione universale dei beni.
La crisi è un'opportunità non solo perché la società nel suo insieme razionalizzi le sue priorità e si curi dall'indebitamento e dal consumismo, ma anche perché i cristiani e le istituzioni ecclesiastiche siano più coerenti.
L'iniziativa della diocesi di Lleida ha fatto sì che i suoi vicari e il delegato per il patrimonio della diocesi abbiano deciso di formarsi sul riutilizzo di edifici diocesani in disuso per dare loro una nuova utilità pastorale e sociale e sulla convenienza, da parte delle istituzioni ecclesiali, di depositare i propri conti nella Banca Etica, che è lontana dalla speculazione, è trasparente e non investe mai nel commercio di armi o in imprese inquinanti, favorendo invece la creazione di posti di lavoro, l'ambiente e le entità sociali.
Questa settimana papa Francesco ha chiesto agli esperti finanziari e ai Governi di considerare le parole di San Giovanni Crisostomo: “Non condividere con i poveri i propri beni è derubarli e togliere loro la vita. Non sono i nostri beni che noi possediamo, ma i loro”.
Il pontefice si sta già preoccupando di far sì che quanto chiesto ai governanti e ai banchieri venga messo in pratica anche dalle istituzioni ecclesiali con le poche o molte risorse economiche che gestiscono, a cominciare dall'organizzazione economica della Città del Vaticano.
Ora bisogna far sì che lo seguano tutte le diocesi, le congregazioni e le istituzioni ecclesiali di tutto il mondo, dove ci sono senza dubbio modi e pratiche di utilizzo del denaro e dei beni immobili da cambiare e progettare verso l'innegabile azione socio-caritativa di queste stesse istituzioni.