Un tesoro prezioso da comunicare agli altri con un atteggiamento missionario.
Il week-end di Papa Francesco del 26 e 27 ottobre 2013 è stato dedicato alle famiglie convenute a Roma per l'Anno della fede. Di fronte a una grande folla, di oltre centomila persone, il Papa ha presentato un tema che gli è caro: l'amore per sempre, che il mondo oggi considera impossibile, invece vive in tante famiglie cristiane, sorrette dalla fede, dalla carità e dalla preghiera. Ed è un tesoro prezioso, che dobbiamo difendere tutti i giorni, e imparare a comunicare agli altri con un atteggiamento missionario.
Sabato Francesco ha consegnato alle famiglie tre parole da vivere e meditare. La prima è tratta dal Vangelo di Matteo (11, 28): «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro». Chi, oggi, è stanco e oppresso? Molti lo sono per problemi di lavoro, di povertà, di malattia. Ma «quella che pesa di più è la mancanza di amore. Pesa non ricevere un sorriso, non essere accolti. Pesano certi silenzi, a volte anche in famiglia, tra marito e moglie, tra genitori e figli, tra fratelli. Senza amore la fatica diventa più pesante, intollerabile». Esiste certamente anche un amore naturale, ma com'è difficile oggi viverlo senza Gesú. «Venite a me, famiglie di tutto il mondo – dice Gesù – e io vi darò ristoro».
La seconda parola viene dal rito del matrimonio: «Prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita». «Gli sposi in quel momento non sanno cosa accadrà, non sanno quali gioie e quali dolori li attendono. Partono, come Abramo, si mettono in cammino insieme. E questo è il matrimonio! Partire e camminare insieme, mano nella mano, affidandosi alla grande mano del Signore». Questo «mano nella mano» è per «sempre e per tutta la vita! E non fare caso a questa cultura del provvisorio, che ci taglia la vita a pezzi!».
Gli sposi cristiani – ha detto il Papa – «non sono ingenui, conoscono i problemi e i pericoli della vita. Ma non hanno paura di assumersi la loro responsabilità, davanti a Dio e alla società. Senza scappare». Molti pensano che oggi una responsabilità assunta «per sempre» non sia più possibile. «Certo, è difficile. Per questo ci vuole la grazia, la grazia che ci dà il Sacramento!».
Molti ancora oggi si sposano in chiesa. Ma pensano che il sacramento serva solo «a decorare la vita – ma che bel matrimonio, che bella cerimonia, che bella festa!… – Ma quello non è il Sacramento, quella non è la grazia del Sacramento. Quella è una decorazione!». I cristiani «si sposano nel Sacramento perché sono consapevoli di averne bisogno! Ne hanno bisogno per essere uniti tra loro e per compiere la missione di genitori». Per compiere «un lungo viaggio che non è a pezzi, dura tutta la vita» abbiamo bisogno del Signore.
La terza parola Francesco la prende da un suo precedente discorso, quello del 13 ottobre nella Messa di affidamento del mondo a Maria di fronte alla statua della Madonna di Fatima: «permesso, grazie, scusa». È il Vangelo della buona educazione, tanto utile in famiglia. «Chiediamo permesso per non essere invadenti in famiglia. “Posso fare questo? Ti piace che faccia questo?”. Col linguaggio del chiedere permesso. Diciamo grazie, grazie per l’amore! Ma dimmi, quante volte al giorno tu dici grazie a tua moglie, e tu a tuo marito? Quanti giorni passano senza dire questa parola, grazie! E l’ultima: scusa. Tutti sbagliamo e alle volte qualcuno si offende nella famiglia e nel matrimonio, e alcune volte – io dico – volano i piatti, si dicono parole forti, ma sentite questo consiglio: non finire la giornata senza fare la pace. La pace si rifà ogni giorno in famiglia!».
Sabato, in conclusione del suo intervento, il Papa ha mostrato alle famiglie l'icona della Presentazione di Gesù al Tempio, «un’icona davvero bella e importante» che ci fa vedere «l’intreccio di tre generazioni: Simeone tiene in braccio il bambino Gesù, nel quale riconosce il Messia, e Anna è ritratta nel gesto di lodare Dio e annunciare la salvezza a chi aspettava la redenzione d’Israele». Talora dimentichiamo che Gesù aveva anche dei nonni. E il Papa domanda: «Voi ascoltate i nonni? Voi aprite il vostro cuore alla memoria che ci danno i nonni? I nonni sono la saggezza della famiglia, sono la saggezza di un popolo. E un popolo che non ascolta i nonni, è un popolo che muore!».
Domenica, ispirandosi alle letture del giorno, Papa Francesco ha presentato tre immagini. La prima è quella della famiglia che prega. Che prega bene: il Vangelo della domenica metteva in evidenza il modo di pregare sbagliato del fariseo, «che non esprime il rendimento di grazie a Dio per i suoi benefici e la sua misericordia, ma piuttosto soddisfazione di sé», una preghiera «appesantita dalla zavorra della vanità», e quello del pubblicano, un peccatore, che però è capace di un'orazione «umile, sobria, pervasa dalla consapevolezza della propria indegnità, delle proprie miserie».
Per prendere sul serio l'invito della Chiesa a pregare in famiglia dobbiamo anzitutto «riconoscere che abbiamo bisogno di Dio, come il pubblicano!». «Pregare insieme il "Padre nostro", intorno alla tavola, non è una cosa straordinaria: è facile. E pregare insieme il Rosario, in famiglia, è molto bello, dà tanta forza! E anche pregare l’uno per l’altro: il marito per la moglie, la moglie per il marito, ambedue per i figli, i figli per i genitori, per i nonni …». È la preghiera che «fa forte la famiglia».
Seconda immagine: «La famiglia custodisce la fede». Come si fa? Chi può dire alla fine della vita, come san Paolo, di avere custodito la fede è chi non l'ha messa «in una cassaforte! Non l’ha nascosta sottoterra». San Paolo ha conservato la fede «perché non si è limitato a difenderla, ma l’ha annunciata, irradiata, l’ha portata lontano. Si è opposto decisamente a quanti volevano conservare, "imbalsamare" il messaggio di Cristo nei confini della Palestina. Per questo ha fatto scelte coraggiose, è andato in territori ostili, si è lasciato provocare dai lontani, da culture diverse, ha parlato francamente senza paura». E noi famiglie – si è chiesto il Papa – come custodiamo la nostra fede? «La teniamo per noi, nella nostra famiglia, come un bene privato, come un conto in banca, o sappiamo condividerla?». Oggi «tutti sappiamo che le famiglie, specialmente quelle giovani, sono spesso "di corsa", molto affaccendate; ma qualche volta ci pensate che questa "corsa" può essere anche la corsa della fede? Le famiglie cristiane sono famiglie missionarie». È sbagliato dire che prima si diventa santi e poi si fa missione. Al contrario, si diventa santi facendo missione.
Terza immagine: la famiglia è il luogo della gioia. Prende sul serio san Paolo: «Siate sempre lieti … il Signore è vicino!» (Fil 4,4-5). Dovremmo sentire come rivolta a noi questa domanda: «Come va la gioia, a casa tua? Come va la gioia nella tua famiglia?». Non possiamo rispondere con un bilancio puramente materiale. Perché «la gioia vera che si gusta nella famiglia non è qualcosa di superficiale, non viene dalle cose, dalle circostanze favorevoli… La gioia vera viene da un’armonia profonda tra le persone, che tutti sentono nel cuore, e che ci fa sentire la bellezza di essere insieme, di sostenerci a vicenda nel cammino della vita».
Anche da questo punto di vista, viviamo in un momento storico in cui è difficile sperimentare una gioia puramente naturale. La verità infatti è che «alla base di questo sentimento di gioia profonda c’è la presenza di Dio, la presenza di Dio nella famiglia». Perché «solo Dio sa creare l’armonia delle differenze. Se manca l’amore di Dio, anche la famiglia perde l’armonia, prevalgono gli individualismi, e si spegne la gioia. Invece la famiglia che vive la gioia della fede la comunica spontaneamente, è sale della terra e luce del mondo, è lievito per tutta la società».