separateurCreated with Sketch.

Una nuova generazione di scrittori italiani

whatsappfacebooktwitter-xemailnative
Jesús Colina - Aleteia Team - pubblicato il 25/10/13
whatsappfacebooktwitter-xemailnative

Intervista con una delle rappresentanti della più giovane generazione, Elena Calogiuri
Sono giovanissimi, sono motivati, e ricevono scarsissima considerazione da parte delle case editrici, ma soprattutto non hanno né i complessi né i condizionamenti dei loro predecessori… Sono gli esponenti di una nuova generazione di scrittori italiani che, alle volte con meno di vent’anni, comincia a scalare la classifica dei più venduti.

Un caso tipico è Elena Calogiuri, 19 anni, che ha appena pubblicato “Joseph Haller. Storia di un poeta dimenticato” (Gruppo Albatros – Il Filo), un viaggio nella Londra del 1817 segnata dal genio del giovane John Keats.

L’incontro di Haller con Keats segnerà la sua esistenza che, travagliata da un’eccessiva sensibilità ed un ineguagliabile senso di umanità, lo condurrà ad una scelta drastica: il suo nome verrà eliminato per sempre dalla storia della letteratura.

Elena Calogiuri, appassionata di antichità, ci parla della sua visione della espressione letteraria.

Che cos’è per lei l’atto di scrivere?

Elena Calogiuri: Scrivere è il modo più concreto per conferire corporeità alle emozioni che un essere umano è in grado di provare. È un processo che insegna la consapevolezza di sé, della realtà che ci circonda e del mondo in cui noi la percepiamo. La bellezza della scrittura, a mio avviso, è paragonabile solamente all’atto di piangere per la gioia; quelle lacrime è come se fossero la felicità trasformata in liquido e stillata come gemme che, a differenza della scrittura, si dissolvono, come quasi ogni cosa in questa vita. La scrittura, invece, può vantare la speranza di essere ricordata per un po’ di anni, per un secolo o per due millenni.

Com’è nato il suo primo romanzo?

Elena Calogiuri: Dall’esigenza di prendere consapevolezza delle mie emozioni che albergavano nelle viscere, che mi turbavano, mi causavano il magone alla gola, mi facevano sentire contenitore di un turbinio che mi procurava ansia e malessere. Dovevo capire come i miei occhi guardano il mondo, come il mio cuore sente quello degli altri, quanta bellezza riesco a vedere nella realtà. Al terzo superiore, poi, il professore di Italiano mi scrisse come giudizio ad un compito in classe che dei passaggi erano pura letteratura. Da quel momento compresi di essere in possesso di uno strumento attraverso cui non solo posso esprimermi al meglio – come non potrei mai fare oralmente, quando la voce mi trema e l’ascoltatore ha teso l’orecchio aspettando con l’ansia di questo periodo storico che io finisca ciò che ho da dire per passare oltre – ma anche migliorarmi per poter migliorare gli altri, fermare un pensiero umano, frutto di questo tempo, come testimonianza, tra due secoli, che nonostante i computer, gli iPhone ed ogni altra diavoleria elettronica volta a una comunicazione immediata ma anche a supportare il sistema consumistico, materialistico, c’era ancora chi si prendeva del tempo per osservarsi, per domandarsi quale fosse il senso della vita, per vivere “producendo” fratellanza e amore verso il prossimo e non solo per produrre il danaro.

Quindi Joseph quanto ha di lei?

Elena Calogiuri: Tutto. La voglia di riscattarsi da un’origine “umile” oserei dire, l’esigenza di scrivere, l’amore vissuto in modo platonico, idealizzato e sofferto, la ricerca di un luogo da denominare “casa” e la sistematica delusione nello scoprire che ogni luogo che si visita è sempre meno “casa” rispetto al precedente; ancora l’esigenza di libertà, il modo di sentire la vita, di commuoversi per la bellezza della natura e per la vita in sé, le domande sulla morte e sul senso della giustizia, la fragilità. Joseph Haller è l’uomo che sarei stata, l’uomo che mi sento di essere.

Il suo è un romanzo storico. Sembra ricorrere alla lezione manzoniana …

Elena Calogiuri: Sì, per due motivi: il “vero storico” e il tema degli eroi popolani dimenticati. Il mio è un romanzo perché il protagonista è inventato, eppure, l’ambiente storico, culturale e urbano in cui si muove, le persone che incontra, nonché le date e gli spostamenti, sono reali, frutto di un’attenta ricerca storica. Avrei potuto inserire le note per attestarne la veridicità ma, a quel punto, il romanzo avrebbe perso la sua natura fantasiosa a favore del saggio. Uno dei temi che mi è più a cuore è, poi, la dimenticanza di tutte le vite vissute su questa Terra, pensiero che mi causa grande dolore ma anche fascino per l’antichità, motivo per cui studio per diventare archeologa. Ad ogni modo, ho voluto, tramite Joseph, esortare i miei coevi al pensiero di tutti coloro che nell’arco della storia umana hanno compiuto piccole o grandi azioni ma, le cui vite, sono state fagocitate nella complessità e velocità degli eventi, destinandole alla dimenticanza eterna.

Molti credono che il suo protagonista sia vissuto realmente, nell’ambito romantico inglese di fine Settecento, inizio Ottocento, a fianco di grandi poeti quali John Keats e Percy Shelley. Ci può spiegare quanto e cosa c’è di vero?

Elena Calogiuri: Essendo un romanzo storico il contesto storico e la maggior parte delle persone che Joseph incontra sono reali, ma lo stesso protagonista, la sua vita, è meramente frutto della mia fantasia. Di reale c’è lo sfruttamento minorile, la prima legge contro questo fenomeno approvata il 15 ottobre 1831, proprio come nel romanzo, gli spostamenti, i caratteri (per quanto sia riuscita a documentarmi in base alle fonti scritte) di Keats che realmente trascorse la sua infanzia nel Sud dell’Inghilterra, in quella dimora che la maid riferirà a Joseph quando vi giungerà, che visse all’Isola di Wight, si trasferì a Chichester, poi a Wentworth place, nella casa di C. Dlike, ancora il viaggio in Italia, accompagnato dal poeta – pittore Severn, e la morte, nella casa in Piazza di Spagna, a Roma, nel 1821. Di reale, quando Joseph arriva in Italia, ci sono i moti carbonari, la Cartiera di Fibreno ad Isola Liri (Sora), la casa dei Gisborne in Italia, la paternità di Lord Byron della figlia della sorella di Mary Shelley, sì, proprio lei, la scrittrice passata alla storia per aver scritto Frenkestein.

Potrei continuare a lungo elencando tutto ciò che di reale, per luoghi, date, persone, è presente in questo libro, per raccontare l’intero lavoro, studio e ricerche condotto al fine di acquisire una solida base storica, per incollare una vita che sarebbe potuta realmente esistere in quel contesto, vivendo in quel modo, incontrando quelle persone, facendo esattamente quel che ha fatto, ma che così non è stato così, oppure non è stato documentato. Tutta la ricerca storica e biografica delle “grandi persone” (o delle persone dai “grandi pensieri”), che mi ha conferito gli strumenti per non vacillare, per poter legittimamente immaginare su di una legittima base reale, si è estesa per più di un anno, a cavallo del quale passavo dai diciassette ai diciotto anni. Vorrei precisare ulteriormente una cosa riguardo la veridicità storica del mio romanzo e le mie scelte a riguardo; ad ogni data indicata, ad ogni luogo e ad ogni notizia su Keats, Byron, Percy e Mary Shelley, su alcuni parlamentari citati dell’epoca, ed altro ancora, avrei potuto mettere una nota citando la fonte di provenienza, per rendere palese il carattere veritiero, ma non l’ho fatto perché in tal modo avrei privilegiato il genere “saggio” a qu
ello del “romanzo”, seppur storico, genere a cui il mio romanzo sento appartenere. Se ne avessi voluto fare un saggio avrei avuto tutti gli strumenti (e il diritto) per farlo, grazie agli studi condotti, e sarei ancora in tempo, in una prossima edizione, ad aggiungere quelle note che, forse, conferirebbero un maggior prestigio al mio lavoro.

Keats, Shelley, Byron e lo stesso Joseph sono poeti. Perché ha deciso che il suo protagonista dovesse essere un poeta, e non uno scrittore di prosa, e, di conseguenza, perché ha voluto inserirlo in quel contesto storico?

Elena Calogiuri: Volevo creare qualcuno che fosse un visionario in un contesto storico passato; Joseph è uno dei primi poeti a concepire il verso libero pur rispettando la lezione dell’armonia del verso. Lui decide di concepire l’armonia nell’accostamento musicale delle parole e non più nel ritmo dato da una rigida disposizione sillabica. I suoi versi e le sue strofe sono libere e per questo anticipa anche Novalis. In verità, nel libro, le poesie che ho inserito come sue, compreso il sonetto, erano state tutte composte da me in precedenza, giacché amo anche l’espressione poetica e mi cimento nella composizione delle stesse.

Ad ogni modo ho inserito Joseph Haller in quel contesto per la mia passione nei confronti della poesia e della figura di John Keats, poeta nato da una famiglia umile con cinque fratelli, costruitosi da sé, che ha avuto il coraggio di rinunciare alla stabilità economica che gli avrebbe garantito la professione di medico, a favore della vita precaria del poeta. Che, a differenza di Shelley che aveva avuto la possibilità di studiare ad Oxford senza sfruttarla, lui studia da solo i classici greci e latini, raggiungendo una conoscenza più elevata dell’altro. Keats che riesce a vedere la bellezza della vita; lo stesso Joseph è molto simile, in tutto questo, a lui, motivo per cui nel romanzo non riuscirà mai ad instaurare un dialogo con Shelley, il ribelle egocentrico e sprezzante delle possibilità offerte per status sociale.

Quant’è importante, invece, per lei, la lezione dei classici?

Elena Calogiuri: È fondamentale; non si può scrivere senza leggere, né scrivere senza sapere di cosa scrivere, è meglio non scrivere affatto. Ad ogni modo la lezione più grande d’umanità la si ha grazie le letture di uomini dai grandi pensieri esistiti secoli e secoli fa che, come gli scrittori di oggi, trovarono un modo per dare valore “corporeo” alle proprie idee. Eppure, fonte di conoscenza di umanità non è solo il passato ma anche il presente, che si apprende grazie all’osservazione. Quest’ultima permette di farsi un’idea e di scrivere.

Che cos’è, per lei, la letteratura?

Elena Calogiuri: La letteratura è la capacità di vedere e di anticipare il sentimento comune del tempo; è quello che fece Dostoevskij, in Delitto e castigo per quanto riguarda il nichilismo, quello che fece Goncarov con Oblomov per quanto concerne la figura dell’inetto che dilagherà in Occidente poco meno che settant’anni dopo, quello che fece Tolstoj in Resurrezione nella necessità di credere in Dio, comune a tutti gli uomini senza confini temporali. La letteratura è un modo di percepire ciò che gli occhi dei più non sono in grado di vedere, è la sensibilità che permette di sentire la fratellanza che lega tutti gli uomini, l’amore che lega gli uomini alla creazione.

Top 10
See More