Proviamo ad ascoltare alcuni capolavori nei loro contesti e potremmo trovare un nuovo significato in quei motivi a noi ormai familiari
Prima di diventare una “grande pubblicità” per la birra australiana Carlton Draught, “O Fortuna” era l’aria di apertura della cantata di Carl Orff Carmina Burana. Composta nel 1936, l’opera ha preso una selezione di 24 poemi dall’omonimo manoscritto del XII secolo. I testi, vivaci e satirici, si concentrano sul tema del fato (personificato come “Fortuna”) e sui vari modi in cui questo ha un impatto sulla nostra esistenza umana: drammatici alti e bassi, successi e fallimenti, placidità e agitazione. Questo movimento, che include anche l’opera di Orff, ricorda che il fato è il padrone che include tutte queste esperienze di vita. È in un certo senso la visione cristiana di Cristo come l’alfa e l’omega messa in termini pagani. (I testi, infatti, sono stati scritti da un gruppo di maliziosi chierici in formazione noti come i Goliardi, ma questo – e qualsiasi ampia discussione teologica che potrebbe derivarne – è materiale per un altro giorno, forse servito meglio con una pinta di birra).
Il punto è che l’efficacia di pubblicità come questa risiede nell’efficacia della musica che impiegano. Non argomenterò contro l’uso della musica classica nel marketing moderno; al contrario, presenta questo tipo di musica a un pubblico ampio (oserei dire ignaro) e lo rende virale. Se è un meccanismo attraverso il quale l’arte musicale può essere inserita in un contesto culturare generale, per me va bene. Ad ogni modo, non ci si può aspettare di lasciare la musica ai meccanismi dei professionisti del marketing – soprattutto non quando si giostrano il testo come meglio credono.
Come si può constatare, questa pubblicità è “mostruosamente grande”, o, in altre parole, di proporzioni epiche. E se spazi vasti e aperti e migliaia di extra creano questa immagine, anche la musica è un elemento fondamentale. La musica classica impegna le passioni interiori dell’anima in modi che la maggior parte dei tipi di musica pop non riesce a raggiungere – e in particolare fa appello a quella parte della persona umana che può cogliere a livello intellettuale il soprannaturale o l’astratto, o perfino quelle cose che appartengono agli estremi quasi insondabili del mondo naturale.
È così con “O Fortuna” – dopo tutto, riguarda quel destino mediante il quale gira il mondo e con cui si sbroglia la vita umana. Non è una questione da poco, vero? E visto che il corso della Fortuna è misterioso e sempre ondeggiante, così è la musica: un’apertura magniloquente e spaventosa che apre la strada a una litania carica di suspense che evoca l’incertezza del fato (e il batticuore di fronte a questa insicurezza). Questa paura dell’incerto ritorna mentre la litania aumenta in modo inaspettato verso un rombo come di tuono, e si conclude con un colpo di scena ironico: mente le voci cantano “mecum omnes plangite” (“chiunque pianga con me”), gli ottoni e le percussioni avviano un impeto celebrativo. Forse significa la vittoria della Fortuna sull’uomo (dopo tutto è un po’ tiranna), o forse è la vittoria dell’uomo sull’impredicibile Fortuna, amplificata all’ultimo minuto. In ogni caso, è spettacolare.
La musica ci circonda, e la sua capacità di parlare alle profondità dell’anima la rende una forza potente. È per questo che la Chiesa cattolica è stata a lungo patrona delle arti, commissionando le più sublimi opere d’arte visiva, architettonica e musicale per creare uno scenario che ricordasse il Cielo e una forma di adorazione meritevole, per quanto sia umanamente possibile, di lodare l’Onnipotente. In un contesto secolare, è il motivo per cui molti team di marketing hanno impiegato con successo la musica classica nelle loro pubblicità.
Come nel caso di quella della Carlton, però, sperimentando l’arte in modo riproposto si può solo “spigolare”. Sappiamo sicuramente che quel pezzo è “grande”, ma non sappiamo perché. Fortuna è stata detronizzata per far spazio a una birra (bella mossa, Carlton), e l’esperienza è tale che lo spettatore è condizionato a pensare alla birra piuttosto che alla ruota del fato che gira. Anche così, però, questa sorta di esposizione all’arte musicale non deve essere considerata una sconfitta culturale, piuttosto un catalizzatore.
Forse non si sa quale brano sia quello della pubblicità. Non importa – se la musica è stata abbastanza appassionante e convincente per migliaia di uomini assetati (e se noi stessi siamo stati assaliti improvvisamente dal desiderio di una birra), perché non sperimentare la musica in sé, al di là degli “accessori”? Diamine, se costa 72 dollari un biglietto per l’Upper Concourse per vedere Miley Cyrus (e, bada bene, parliamo dei biglietti più economici per quel concerto), perché non pagare 15 dollari per sentire la San Francisco Symphony che esegue Beethoven, Mozart e Copland? O anche solo comprare un CD o un album su iTunes per ascoltarlo quando se ne ha voglia?
Forse è ora di iniziare ad ascoltare la musica in modo più intenzionale, e di lasciarla parlare per sé. Saremmo sorpresi da ciò che può fare.