Quando qualcosa ci dà fastidio, può anche succedere che invece il problema siamo noi. Quindi: che problema ho io?
[apparso su Il Foglio]
Una si trova con anni di trincea sulle spalle, veterana, piena di stellette in onore al merito di avere difeso Benedetto XVI a spada tratta in riunioni di redazione, cene di amici, raduni di parenti e assemblee condominiali, a volte anche con i passanti; si è letta di notte i suoi libri meravigliosi ma densissimi, lottando eroicamente contro il sonno e contro Nora Ephron che ammiccava dallo scaffale; ha elogiato la coscienza, si è introdotta allo spirito della liturgia, ha sfoderato sant’Agostino per tenere testa al collega colto; ha vegliato e pregato in piazza san Pietro per far sentire tutto l’affetto possibile al vicario di Cristo martire mediatico, e poi, così, a un certo punto, di botto, stanca e piena di cicatrici ma con ancora la scimitarra tra i denti, in un giorno solo, si ritrova senza preavviso pericolosamente circondata da amici.
Ma come? Dove sono finiti quelli che dovevo convincere? Dove sono finiti quelli che insultavano il mite Papa dandogli del nazista, e la Chiesa retrograda e ricca (dir male della Chiesa si porta sempre)? Rivoglio il mio mondo rassicurante, diviso in due, i vicini e i lontani. Certo, si sapeva sempre ben distinguere tra errore ed errante, tra carità e verità, tra amore per il fratello e chiarezza di giudizio, ma insomma uno schema era fatto. Io sto dalla parte della ragione, tu del torto, ma ti voglio bene lo stesso.
Adesso che è questo coro di consensi al Papa? Tutti in visibilio per croci di ferro e scarponi e metropolitane e case semplici. Che nervi la folla osannante. È molto meglio sentirsi tra i pochi che hanno capito. Anzi, meglio ancora sentirsi sulla soglia, sempre a un pelo dall’entrare tra i pochi, i felici (perché anche io come Groucho non vorrei mai far parte di un club che accettasse tra i suoi soci una come me).
Insomma, che piccolo fastidio all’inizio il coro forse un po’ superficiale di consensi. E insieme che dispiacere scoprire di non provare lo stesso slancio per certi atteggiamenti e parole del Papa, che pure riconoscevo evangelici.
In questa mancata adesione mi sono trovata in compagnia di tanti cattolici, che pure stimo, e di cui condivido le idee. Il loro dissenso ha cominciato ad essere ampio, e anche sostanziale. Di fronte ai dubbi rispettosi e riservati mi si è stretto il cuore, di fronte a certe loro durezze contro il Papa, invece, ho provato un grande disagio soprattutto se ad esprimerle erano miei amici.
Nel tentativo di trovare il bandolo, proverei invece a capovolgere la questione, non solo perché il Catechismo dice che i fedeli devono aderire al successore di Pietro “col religioso ossequio dello spirito” credendo che lui è assistito da Dio, non solo perché un cattolico non si sceglie in cosa credere, si prende il pacchetto completo, ma perché trovo molto più interessante il punto di vista opposto, almeno sul piano spirituale (mentre mi dichiaro ampiamente priva di strumenti e inadeguata a valutare un pontificato dal punto di vista storico, che è probabilmente, legittimamente, l’aspetto che più interessa gli atei devoti e questo giornale).
Se alcune scelte del Papa danno fastidio a molte persone, tra cui diverse che stimo moltissimo, e se a volte anche io, lo ammetto, non ho condiviso lo slancio entusiastico che sembra avere contagiato tutti, mi sembra fondamentale chiedermi il perché. Quando qualcosa ci dà fastidio, può anche succedere che invece il problema siamo noi. Quindi: che problema ho io?
È come quando ai miei figli non torna qualcosa in un compito: la loro primissima ipotesi è sempre che sia il libro ad essere sbagliato, anche se si astengono dall’esprimere la loro intima convinzione, perché la filippica che si beccherebbero li allontanerebbe dall’unico vero obiettivo della loro dedizione al sapere: la merenda.
Cosa ci dà fastidio, dunque, e perché? Il problema è il nostro?
Perché fatico a capire che quando il Papa dice che il bene è una relazione non sta affatto facendo concessioni al relativismo, ma mettendo l’accento sulla carità? Perché dimentico che quando un Papa dice che bisogna obbedire alla coscienza non parla di assecondare pensieri ed emozioni spontanei ma intende certo tendere una mano ai lontani, sapendo che per la nostra dottrina è la coscienza il luogo nel quale “l’uomo scopre una legge che non è lui a darsi”, (Catechismo della Chiesa Cattolica, niente di meno), e che la coscienza va sempre rettamente formata?
Io credo che a volte mi capiti di dimenticare tutte queste cose fondamentalmente perché una figura di Papa sacrale e lontana permette a noi “vicini” di sentirci un po’ migliori degli altri. A noi piace essere figli di Dio, certo. Significa che siamo di stirpe regale, e lo siamo davvero; ma non ci piace, invece, essere fratelli – siamo tutti figli, ma io un po’ più figlia degli altri – perché dei fratelli vediamo tutti i limiti, le meschinità, le scarpe sporche, la puzza, la goffaggine, l’inadeguatezza. Quello che vediamo ci dà fastidio perché ci ricorda esattamente come siamo noi, è come vedere noi stessi in uno specchio: dei tipi sgangherati. Creature. E creature in cui “il mistero dell’iniquità è in atto”.
Il fatto è che la fede nasce da un incontro, mentre il modo in cui tendiamo a intenderla è piuttosto una religiosità naturale che è segno della nostra immaturità, una religiosità che serve a confermarci e non a convertirci.
Ci sono delle persone che hanno fatto l’incontro che cambia davvero la vita, quello con Gesù Cristo. Loro oltre a sapersi figli amatissimi – sgangherati ma amatissimi – si scoprono anche fratelli, e il male degli altri piano piano cominciano a non vederlo più. È perché non risuona in loro. Non rispondono alle calunnie, non si accorgono degli sgomitamenti e delle cattiverie, sembrano quasi scemi. Ma non è così: è che stando vicino a Gesù, anche per poco, anche a tratti, si vedono tutte le proprie magagne, faticosamente mascherate in pubblico.
La fede è sostanzialmente diffidare di sé, aderire a Gesù Cristo, spegnere il nostro ego cialtrone, chiacchierone e millantatore, e anche la nostra bontà da quattro soldi. Fare spazio a Dio. Quando uno ha incontrato davvero Gesù diventa credibile, e il cristianesimo allora non è più una dottrina ma una somiglianza. È così, solo così che è possibile una vera evangelizzazione: per inseguimento. Lasciarci inseguire per la nostra bellezza, pienezza e ricchezza è esattamente il contrario del proselitismo. Quando i nostri mosci inviti a portare la gente a raduni parrocchiali cadono nel vuoto, è perché non siamo attraenti (quando, peggio, non facciamo da tappo: non lasciamo entrare, ma non lasciamo neanche uscire, come se Gesù fosse nostra proprietà, e la religione qualcosa per giudicare gli altri).
Come è potuto succedere che Gesù, uno che camminava per le strade persino prima del catechismo di san Pio X, convertendo con la sua autorevolezza e innamorando con la sua misericordia, sia stato trasformato in uno schema che giudica chi non ci rientra dentro?
È ovvio che sia necessario il Magistero, la Tradizione, cioè la trasmissione del deposito che attraverso i santi e i martiri ci è stato lasciato nei secoli, il Catechismo, il Papa: solo tutto questo ci conferma nella nostra fede e ci garantisce che quello in cui crediamo non è un parto della nostra fantasia, né una nostra proiezione. È anche chiaro che siamo in un momento storico in cui i cristiani sono da soli, chiamati a difendere, insieme a pochi uomini di buona volontà, l’idea stessa di uomo, maschio e femmina, la vita, soprattutto quando è più fragile, alcuni fondamentali dell’umanità tutta che per la prima volta da parecchi secoli sembrano messi in discussione. Perché poi ci sono anche sacerdoti che spendono la loro vita in confessionale, e che costretti a negare l’assoluzione, si sentono chiedere “ma come, non vi siete ancora aggiornati, col nuovo Papa?”, e devono fare un paziente, eroico lavoro per spiegare che la dottrina non è cambiata di una virgola, né pare in procinto di, visto che le regole che questa Chiesa retrograda insiste a proporre sono perché l’uomo viva.
Ma è altrettanto vero che un rapporto vivo e vero con Gesù ti scomoda in continuazione. È bellissimo, ma è una relazione, e l’unico equilibrio possibile è quello della bicicletta: ci si regge solo in movimento, mentre avere a che fare con delle regole rigide e rassicuranti è sicuramente più facile. Basta fare quello che fa la maggioranza dei cosiddetti credenti: mettiamo al posto di Dio il nostro superIo. In una sorta di sconfinamento nei confronti di Dio, lo mettiamo su quel tasto della nostra coscienza sul quale i genitori quando eravamo piccoli hanno posizionato le regole base, il senso di colpa e della punizione che servono a evitare che i bambini facciano troppi danni, a se stessi e agli altri. L’uomo è anarchico e disordinato, e il superIo che i genitori cercano di costruire serve a mettere ordine. Ma in un rapporto maturo con Dio la dinamica è tutta un’altra, si diventa figli, figli del re, si è davvero, davvero liberi, entra la misericordia e la creatività e lo Spirito Santo, senza la cui forza “nulla è nell’uomo, nulla senza colpa”. Allora, pur da sgangherati, si diventa anche fecondi, padri e madri (non solo biologicamente): se non si è fecondi, come anche tanti credenti, si perde il contatto con la realtà, e la religione diventa un modo per alimentare e confermare le nostre stramberie o nevrosi o chiamiamole come vogliamo.
Signore abbi pietà di me, delle mie fisse. Signore, perdona me e perdona gli altri che sono proprio come me, questa è la preghiera di chi vuole diventare davvero figlio. Tutti i litigi e le polemiche, le riunioni e i convegni e i seminari inutili vengono dal non avere un rapporto personale e diretto con Dio, un rapporto che nasce dall’incontro con Cristo, molto più pericoloso e avvincente dell’incontro con i cattoliconi che tanto mi piacciono. L’amore di Cristo stringe e assedia da ogni parte. Da assediati si sta un po’ scomodi. Ma “occhio non vide né orecchio udì né mai salì in cuore d’uomo quello che Dio tiene preparato per quelli che lo amano”.
Io credo che il Papa voglia ricordarcelo in un modo potentissimo, e che se a volte qualche stonatura – anche lui è una creatura – ci va contropelo non sia poi così importante.