separateurCreated with Sketch.

Non dimenticare la Siria e i suoi cristiani

whatsappfacebooktwitter-xemailnative
Chiara Santomiero - Aleteia Team - pubblicato il 21/10/13
whatsappfacebooktwitter-xemailnative

L’appello del Custode di Terra Santa, padre Pizzaballa, mentre il conflitto incrudelisce e colpisce i civili più inermi

La conferenza di pace per la Siria, la cosidetta Ginevra 2, è stata fissata per il 23-24 novembre prossimi. Si tratta del tentativo di far accordare sull'ipotesi di un governo di transizione le parti di un conflitto in corso già da tre anni e che ha provocato oltre 110 mila morti e 6 milioni di rifugiati. Un conflitto la cui intensità non accenna a diminuire come risulta dall'appello del Custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa, che ha esortato a non dimenticare la Siria.


“La Siria è in una situazione drammatica e non deve essere dimenticata”: in un video pubblicato sul canale YouTube dell'Agenzia Sir (19 ottobre), padre Pizzaballa parla di “continua emergenza umanitaria” nel Paese mediorientale frammentato in un nord in mano ai ribelli, l'ovest dove sono attestati i governativi del presidente Assad e un centro-sud che è "nel caos totale a macchia di leopardo". A fare le spese di questa situazione soprattutto la popolazione civile e le fasce più vulnerabili, tra le quali, purtroppo, vanno annoverati anche i cristiani. “Le comunità cristiane che vivono nel Nord – denuncia il Custode di Terra Santa – vengono inesorabilmente cacciate soprattutto da quelle zone dove le frange fondamentaliste islamiche creano degli emirati. È importante, dunque, aiutare la popolazione attraverso coloro che sul territorio, come i francescani e non solo, si prodigano nel sostegno cercando di procurare cibo, vestiti, medicine, gasolio per riscaldamento ed elettricità”. La Siria, ha ribadito Pizzaballa, non deve essere dimenticata così come la sua gente, musulmani e cristiani. Questi ultimi sono il nerbo di un patrimonio antichissimo che deve restare nel luogo dove è nato e per questo non deve sparire”.

Per la Siria “Ats pro Terra Sancta”, l’Ong della Custodia di Terra Santa, ha lanciato una campagna di solidarietà, “Emergenza Siria” (www.proterrasancta.org), che si avvale della presenza dei conventi francescani del Paese, come Aleppo, Azizieh, Damasco, Lattakiah e Kanyeh e su 11 frati aiutati da altri religiosi e laici. Fin dall’inizio della guerra, i francescani hanno creato 4 centri di accoglienza, che danno da dormire a centinaia di persone, e provvedono ai bisogni primari di almeno 400 persone ogni giorno. Ogni mese circa 50 famiglie vengono aiutate a cercare nuove case.

L'emergenza profughi siriani preme sui Paesi confinanti – Libano, Giordania, Turchia – mettendo a rischio anche la stabilità sociale interna, tra risorse da destinare alla prima accoglienza e difficoltà nell'assorbire quei profughi la cui permanenza si protrae nel tempo e rende necessari alloggi, scuole, lavoro. Oggi la Direzione Disastri Naturali ed Emergenze (Afad) della presidenza del governo di Ankara ha reso noto che sono ora circa 600 mila i profughi siriani in Turchia: circa 200mila sono ufficialmente registrati nei campi allestiti dal governo turco nelle regioni di confine. Altri 400mila, secondo le stime dell'Afad, si trovano nelle principali città turche, in particolare Istanbul e Ankara (Ansa 21 ottobre).

Una soluzione politica della crisi siriana sarebbe quindi tanto più necessaria per non compromettere l'equilibrio sempre delicato dell'intera area mediorientale. L'inviato speciale dell'Onu Lakhdar Brahimi dopo l'incontro al Cairo con il segretario della Lega Araba, Nabil al-Arabi, che ha dato l'annuncio della data di Ginevra 2 su indicazioni dello stesso Brahimi, ha però precisato che "Non si potrà tenere nessuna conferenza di pace senza la partecipazione di un'opposizione siriana credibile, che rappresenti quella parte del popolo che combatte il regime di Bachar al-Assad" (Repubblica.it 20 ottobre). Il che equivale a mettere un'ipoteca di incertezza sul futuro vertice già rinviato almeno due volte.

D'altra parte la situazione sul territorio, come evidenzia anche l'appello di Pizzaballa, mette in luce il radicalizzarsi delle fazioni, a scapito della linea più moderata: "come scrive il Washington Post, i ribelli delle fazioni considerate 'moderate', che l'Occidente ha promesso di sostenere, fanno fatica a raccogliere finanziamenti e i comandanti lamentano di non essere in grado di arginare la continua perdita combattenti che passano con i gruppi estremisti che riempiono le proprie casse grazie a donatori dei ricchi Stati del Golfo" (Repubblica.it 21 ottobre). E se i ribelli delle fazioni 'moderate' avevano sperato in un aumento consistente del sostegno occidentale in seguito alle accuse contro il regime di Damasco per l'attacco con armi chimiche del 21 agosto, dopo "l'accordo tra Usa e Russia sulla distruzione dell'arsenale chimico del regime gli 'aiuti' non si sono materializzati. Con il risultato di spingere i ribelli nelle fazioni più dure e pure" (Repubblica.it 21 ottobre).

Quel che è certo è che la particolare crudeltà del conflitto, già denunciata dalle organizzazioni umanitarie internazionali, si infittisce di nuovi orrori: secondo quanto denunciato al Times dal chirurgo britannico David Nott tornato dalla Siria dove ha trascorso 5 settimane come volontario in un ospedale da campo, i cecchini di Bashar Assad vengono spinti dai loro comandanti a sparare giorno per giorno a un punto specifico del corpo dei loro bersagli, civili in cerca di cibo nelle città assediate, così da esercitare la mira. Per almeno un giorno della settimana si è trattato di colpire la pancia di donne incinte. Il chirurgo ha raccontato che, "in un solo giorno oltre sei donne incinte sono state colpite da cecchini ed il giorno dopo altre due". Tutte le madri si sono salvate ma i feti nelle loro pance non sono sopravvissuti. "Le donne sono state tutte colpite all'utero, dove (ai cecchini) era stato ordinato di mirare… e questo è stato un atto deliberato. Era ben oltre l'inferno", ha denunciato Nott, che ha raccontato di non aver mai visto nulla di simile neanche dopo tanti anni da volontario in Bosnia, Libia e Sudan (Repubblica.it 21 ottobre).

 

 

Top 10
See More