Un libro illustra una realtà con utenti sempre più trasversali a causa della crisiLa crisi economica che ha inghiottito l'Italia come altri Paesi non guarda in faccia a nessuno: ne sono vittime gli italiani come gli stranieri che vivono nel nostro Paese, i giovani che non riescono a trovare lavoro e gli anziani con pensioni sempre più inadeguate a far fronte al costo della vita, famiglie che non sanno come sfamare i propri figli, padri separati, persone di mezza età che hanno perso il lavoro e a cui nessuno offre un'altra possibilità.
In un contesto difficile come questo, ecco che le mense della carità diventano un luogo sempre più frequentato da molteplici tipologie di persone. Gli utenti, infatti, non sono più solo le persone senza fissa dimora, ma anche i tanti che non riescono ad arrivare a fine mese e cercano in questi luoghi un pasto caldo ma anche una parola di conforto e la dimostrazione che la società non si basa solo sul profitto.
La giornalista Alessia Guerrieri ha analizzato la realtà delle mense del centro e del nord Italia in “Quando il pane non basta. Viaggio nelle mense della carità” (edizioni Ancora), un libro che “dà voce a milioni di persone e di famiglie che si sentono dimenticate, ma anche a migliaia di volontari che camminano al loro fianco”, ha scritto Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant'Egidio, che ha curato la prefazione.
I dati del 2012 confermano la crescita costante del numero dei poveri in Italia: ormai un italiano su cinque si “arrangia” come può, arrivando a tagliare su cibo, riscaldamento e spese mediche. Secondo l'Istat, nove milioni e mezzo di persone vivono in condizioni di povertà relativa, poco meno di cinque milioni nell'indigenza assoluta. 1.800.000 di questi poveri sono bambini.
“Oggi può diventare un nuovo povero chi ha in casa un malato cronico da curare; chi perde il lavoro a cinquant'anni per un'improvvisa crisi aziendale; chi ha una pensione che non si adegua al costo crescente della vita; chi si trova ad affrontare una separazione matrimoniale e, dopo aver pagato gli alimenti al coniuge e ai figli, non riesce più a condurre un'esistenza dignitosa; chi invecchia e non riesce più a vivere con la sua pensione”, scrive Riccardi.
Nelle mense, scrive la Guerrieri, “non si sfamano semplicemente gli affamati”, ma “si costruiscono fili sottili di solidarietà reciproca. Non c’è, infatti, un buon samaritano che dall’alto della sua generosità dona pane e amore all’indigente; non c’è alcuna subalternità tra chi dona e chi riceve. C’è più che altro una circolarità di dare e avere, non solo materiale, che arricchisce e sfama vicendevolmente poveri e volontari”. Quello che si offre nei refettori della carità “non è solo pane, ma cibo, conforto e fiducia. In fondo, le mense dei poveri non sono altro che quelle 'periferie esistenziali' evocate dal primo giorno di pontificato da papa Francesco; spazi in cui ogni persona di buona volontà dovrebbe spingersi, toccando con mano la sofferenza della carne di Gesù”.
Tante le tipologie di persone che frequentano le mense: dalle famiglie mortificate da politiche di sostegno inadeguate – in Italia più alto è il numero di figli, maggiore è il rischio di povertà, il che significa che gli italiani “rinunceranno probabilmente a fare figli, perché non sanno come sfamarli” – agli immigrati, che “hanno lasciato famiglia e affetti in patria per raggiungere quella Nazione che la televisione, la storia e il calcio rendono radiosa anche in piena crisi”, dai padri separati, che non di rado cadono in miseria per rispettare le decisioni di un tribunale alla fine di un matrimonio, ai giovani, “schiacciati tra iper-preparazione professionale e quasi zero opportunità”, e agli anziani, con pensioni esigue e spesso senza l'aiuto dei figli, anch'essi alle prese con la crisi.
In fondo, come scrive Marco Tarquinio, direttore di Avvenire, nella postfazione del testo, siamo tutti “equilibristi sul filo della vita. Quando hai un lavoro sicuro, un discreto conto in banca, una casa tutta tua, genitori in gamba e la salute ti sorride, allora il filo è un cavo grosso e robusto, meglio ancora un muretto dal quale non puoi cadere. Ma negli ultimi anni per molti italiani quel muro, quel cavo, si sono assottigliati fino a diventare un filo sottile. Troppo sottile. Alcuni cadono, e non li vedi più”.
Le mense, allora, “altro non sono che un modo come un altro per ricostruire brani di comunità. Dove tante storie interrotte si ritrovano. Da dove un giorno potranno rialzarsi, e riprendere a camminare”.