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Nel mondo 842 milioni di persone soffrono la fame

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Chiara Santomiero - Aleteia Team - pubblicato il 16/10/13
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La Giornata mondiale dell’alimentazione per fare il punto su sistemi di sviluppo sostenibili contro la malnutrizione e la distruzione dell’ecosistema

Nella Giornata mondiale dell’alimentazione si contano quelli che hanno fame e sono ancora tanti, anzi troppi. La buona notizia (come scrive Avvenire, 14 ottobre) è che “dal 1990, l’indice della fame nel mondo è diminuito del 34%. La cattiva notizia è che, ancora oggi, 842 milioni di persone soffrono la fame”.

Ogni anno il 16 ottobre, giorno della nascita della Fao nel 1945, si celebra la Giornata mondiale dell’alimentazione. La ricorrenza fu istituita dai Paesi Membri della Fao nel novembre 1979 e da allora viene celebrata ogni anno in oltre 150 paesi. Il tema di quest’anno è “Sistemi alimentari sostenibili per la sicurezza alimentare e la nutrizione”. L’obiettivo è quello di aumentare la consapevolezza riguardo alle misure necessarie per porre fine alla fame nel mondo facendo fronte a modelli di sviluppo non sostenibili che stanno minacciando l’ecosistema e le provviste alimentari future. Per combattere la malnutrizione, infatti, occorre un’azione integrata in vari settori: agricoltura e sistema alimentare, gestione delle risorse naturali, istruzione e sanità pubblica.

Gli Stati dove la situazione è più allarmante, secondo i dati del rapporto annuale “Indice globale della fame” realizzato da Ong di diversi paesi (il Cesvi, per l’Italia) si collocano nell’Africa subsahariana, in particolare Burundi, Eritrea e Comoros. Ma l’area del pianeta dove la situazione è più pesante è l’Asia meridionale. Tre gli indicatori presi in esame: la percentuale di popolazione denutrita; la percentuale dei bambini sotto i 5 anni sottopeso; il tasso di mortalità dei bambini sotto i 5 anni. Classificando 120 Stati “a rischio” su una scala che va da 0 (assenza di fame) a 100 (allarme massimo), 42 rientrano in fascia bassa (0-5), 22 moderata (5-10), 37 grave (10-20), 16 allarmante (20-30) e 3 estremamente allarmante (sopra 30) (Avvenire 14 ottobre).

Tra i paesi che hanno migliorato il proprio dato rispetto a 13 anni fa rispetto alla lotta alla fame e alla mortalità infantile ci sono Cina, Nicaragua, Perù, Ghana, Venezuela, Messico, Cuba, Tailandia, Vietnam e Kuwait. Fallimentari, o nulli, gli sforzi di risollevarsi di Swaziland, Paraguay e Guatemala. Migliorata la situazione di Haiti, che dal 1990 è passata dalla categoria “estremamente allarmante” a quella “allarmante” (Avvenire 14 ottobre).

Non esiste solo una forma di malnutrizione ma tante malnutrizioni diverse: 842 milioni di persone nel mondo soffrono la fame ogni giorno, mentre un bambino su quattro al di sotto dei cinque anni soffre di disturbi della crescita. E ancora: circa 2 miliardi di persone non ricevono le vitamine e i minerali necessari per essere in buona salute e 1,4 miliardi di persone sono, invece, sovrappeso. Di queste, circa un terzo è obeso e a rischio di malattia cardiaca coronarica, diabete o altre patologie (Ministero degli esteri.it, 15 ottobre).

La sfida, allora, come dichiara OnePlanetFood, la piattaforma Wwf dedicata all’alimentazione sostenibile, per aiutare cittadini, imprese e istituzioni ad adottare modelli alimentari a basso impatto ambientale e a migliorare il rapporto del cibo con il Pianeta, è “nutrire i 7 miliardi di persone che siamo sul Pianeta (e i 9 che saremo fra 30 anni) e farlo in maniera sostenibile”. E se il primo comandamento è “non sprecare” – In Italia, così come negli altri paesi ricchi, è in casa che si spreca di più: oltre 75 i chili di cibo a testa che finiscono ogni anno nella spazzatura con uno spreco di 500 euro l’anno – esistono poi anche consigli pratici per fare una spesa sostenibile, coltivare un orto urbano e cucinare menù green.

Come dev’essere una preparazione culinaria per rientrare nella categoria green? “Deve contenere ingredienti sani e poco elaborati, privi di additivi chimici, possibilmente a km zero, di stagione e provenienti dal territorio locale. Inoltre, deve prevedere un metodo di cottura che riduca al minimo l’uso di acqua e di energia. Bene accolti e niente affatto banditi, fra gli ingredienti, parti considerate normalmente di scarto come gambi, bucce, foglie o baccelli. E poi: riduzione degli imballaggi, dell’uso di stoviglie e dei rifiuti, ed eventuale riutilizzo dell’acqua, accanto all’uso consapevole degli alimenti, privilegiando per esempio il consumo di pesce e diminuendo quello di carne bovina (per l’elevato impatto ecologico) e aumentando gli acquisti di prodotti biologici e del commercio equo e solidale (Il Fatto quotidiano 16 ottobre).

Così nessuno, davanti agli squilibri tra Paesi poveri e Paesi ricchi, potrà più dire: “non posso farci niente”.

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