Sul tappeto la questione della natura giuridica della Rai, della concorrenza in regime di mercato, delle norme sulla trasparenza
Continuano a infuriare le polemiche sui compensi Rai per conduttori ed artisti. Il Codacons e l’Associazione utenti radiotelevisivi hanno presentato un esposto alla Corte dei Conti contro la Rai e anche un’istanza d’accesso all’Agenzia delle entrate per ottenere copia delle denunce dei redditi di Fabio Fazio, Luciana Littizzetto e Roberto Benigni e risalire così ai cachet elargiti loro dall'azienda televisiva. Non mancano però le voci che invitano ad approfondire la questione della natura giuridica della Rai che è pubblica in quanto è partecipata dal ministero dell’Economia e delle finanze (99,56%) e il suo contratto di servizio è stipulato con il ministero dello Sviluppo economico ma che è chiamata ad operare con la raccolta pubblicitaria nel mercato.
"I soldi sono tanti – scrive il critico tv Aldo Grassi sul Corriere della Sera (16 ottobre) -, ma, senza infingimenti e moralismi, la cosa più importante è che quei soldi siano un buon investimento. Se Fazio, con i suoi programmi, riesce ad avere un ritorno pubblicitario proficuo significa che quei soldi sono ben spesi". Il rischio è di prestarsi a strumentalizzazioni di parte del "vero editore di Viale Mazzini" cioè "i partiti politici attraverso quel fenomeno triste e umiliante che si chiama lottizzazione" (Corriere della Sera 16 ottobre). Aleteia ha provato a mettere in fila i termini del problema con l'aiuto di Vincenzo Antonelli, dell'Università Luiss Guido Carli.
Esiste un sito – www.contrattidiconsulenza.rai.it – con l'obiettivo di dare trasparenza agli importi percepiti dai consulenti e professionisti esterni della Rai, compresi dunque quelli di Fabio Fazio e Maurizio Crozza nell'occhio della tempesta. Il sito, come lamenta l'associazione di consumatori Aduc (Vita.it 14 ottobre), a 4 anni dalla messa on line non è ancora attivo. Eppure la legge 244/2007 (art. 3, comma 44) prevederebbe che "nessun atto comportante spesa […] può ricevere attuazione, se non sia stato previamente reso noto, con l'indicazione nominativa dei destinatari e dell'ammontare del compenso, attraverso la pubblicazione sul sito web dell'amministrazione o del soggetto interessato, nonchè comunicato al Governo e al Parlamento". Non solo: in caso di violazione la Rai e gli stessi consulenti sono tenuti al rimborso, a titolo di danno erariale, di una somma pari a dieci volte l'ammontare della somma illegittimamente erogata.
A fronte di queste norme, si può parlare di necessità di trasparenza del servizio pubblico nonostante si tratti di una impresa?
Antonelli: Il quadro normativo sul tema dei dati da rendere pubblici da parte delle amministrazioni pubbliche ed in particolare da parte di una società partecipata dallo stato, quale è la Rai spa, non è tutt’oggi chiaro e preciso. Da una prima lettura della norma richiamata emerge che “Il limite non si applica alle attività di natura professionale e ai contratti d’opera, che non possono in alcun caso essere stipulati con chi ad altro titolo percepisce emolumenti o retribuzioni ai sensi dei precedenti periodi, aventi ad oggetto una prestazione artistica o professionale che consenta di competere sul mercato in condizioni di effettiva concorrenza”. Dunque sembrerebbe non applicarsi nel caso di prestazione “artistica” legata comunque al mercato.
Inoltre, gli aspetti legati alla pubblicazione dei compensi e dei curricula dovrebbero essere regolati nel “contratto di servizio pubblico” tra il ministero per lo sviluppo economico e la Rai, il cui schema per il 2013/2015 è stato da poco illustrato in commissione vigilanza e sul quale questa dovrà adottare un parere.
Qualcuno ha sottolineato che rendere pubblici i compensi di alcuni artisti potrebbe influire sul regime di concorrenza e quindi, in ultima analisi, ledere gli interessi della stessa Rai: è così?
Antonelli: Da più parti viene richiamata la segnalazione del luglio 2010 invitata dall’allora Presidente Antitrust, Antonio Catricalà, all’allora Ministro (ad interim) dello Sviluppo Economico, Berlusconi. Il Presidente dell’Antitrust, ai sensi dell’articolo 22 della legge n. 287/90, segnalava alcune osservazioni in merito alle possibili implicazioni concorrenziali derivanti dalla proposta della Commissione di Vigilanza di inserire nel Contratto di Servizio Rai 2010/2012 l’obbligo di “rendere pubblici nei titoli di coda dei programmi televisivi e radiofonici i compensi dei conduttori, degli ospiti, degli opinionisti, nonché i costi di produzione dei format definiti di servizio pubblico. Ciò in aggiunta alla pubblicazione sul sito web della Rai degli stipendi lordi percepiti dai dipendenti e dai collaboratori”. Il Garante ha evidenziato che “l’Autorità riconosce l’importanza di assicurare la trasparenza dei costi connessi alla gestione dei servizi pubblici, il cui finanziamento è a carico dei cittadini. In questa ottica, si condivide l’iniziativa della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi volta a rendere trasparenti i compensi riconosciuti ai conduttori, esperti ed opinionisti, nonché i costi di produzione dei programmi del servizio pubblico generale radiotelevisivo”. Tuttavia, si sottolinea “l’opportunità di distinguere – in termini di assetti proprietari, profili organizzativi e modalità di gestione e di finanziamento – il servizio pubblico dalle attività commerciali attualmente esercitate dall’operatore pubblico. Ciò sulla base di una chiara individuazione delle finalità, degli ambiti e dei contenuti del servizio pubblico ed al fine di perseguire con efficienza l’obiettivo di servizio pubblico generale, assicurando al contempo il corretto funzionamento dei meccanismi concorrenziali del settore”.
Quindi il Garante invitava a legare gli obblighi di trasparenza alle “attività” di servizio pubblico e non a quelle a carattere “commerciale” e dunque “soggette al regime concorrenziale”?
Antonelli: E' così. Inoltre gli obblighi di trasparenza, cioè la pubblicazione sul sito delle retribuzioni e dei compensi, di regola sono fissati per singoli soggetti che hanno un rapporto di lavoro dipendente o autonomo con la pubblica amministrazione, mentre altro problema è quello della trasparenza relativa non più ad un singolo rapporto di lavoro, ma ad un contratto più ampio come la produzione di un programma televisivo.Non possiamo dimenticare che tutti i dati relativi all’attività economica della Rai trovano la loro pubblicazione al pari delle altre imprese nel bilancio della società.
Da dove nasce la polemica sui compensi?
Antonelli: La discussione sulla pubblicazione dei compensi o del costo del singolo programma televisivo sembra non tanto volta a tutelare la trasparenza, quanto piuttosto sembra essere strumentale a giudicare dall’esterno il “merito" dei compensi e dei costi/ricavi o più in generale le modalità di gestione dell’azienda Rai.
Lei si occupa anche dei rapporti tra etica ed istituzioni: c'è una parola della Chiesa che possa dare indicazioni e orientamenti sul caso?
Antonelli: Certamente l’insegnamento e il pensiero sociale della Chiesa non hanno una soluzione “normativa” per il caso Rai. Tuttavia, non mancano delle indicazioni che consentano a ciascuno di leggere questo caso e di distinguere i diversi interessi, a volte ideologici o nascosti, coinvolti e le possibili strumentalizzazioni. A tal proposito non possiamo tacere i ripetuti richiami di papa Francesco ad una nuova etica pubblica (come in “Guarire dalla corruzione”), insegnamenti che trovano nel Compendio della dottrina sociale della Chiesa ulteriore forza quando si afferma che alle persone compete evidentemente lo sviluppo di quegli atteggiamenti morali, fondamentali in ogni convivenza che voglia dirsi veramente umana come la giustizia, l'onestà, la verità, che non possono essere semplicemente attesi da altri o delegati alle istituzioni. Soprattutto a coloro che detengono responsabilità politiche, giuridiche o professionali nei riguardi di altri, spetta, afferma il magistero, di essere "coscienza vigile della società".