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“San Francesco in estasi”: quando l’arte sacra si fa realistica

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Aleteia Team - pubblicato il 08/10/13
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Il cardinale Antonio Cañizares Llovera traccia un identikit dell’artista cristiano nell’inaugurare una nuova tela di Rodolfo Papa“L’arte di Rodolfo Papa non è un’arte per consumare, ma per aiutare la contemplazione, per aiutare la preghiera. Così dobbiamo guardare questo suo san Francesco: per contemplare, pregare e imitare la sua vita opera di Dio. Davanti a questa pittura così bella, soltanto una parola: guardate e contemplate”. E' quanto ha detto il cardinale Antonio Cañizares Llovera, prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, nell'inaugurare venerdì la nuova tela del pittore e storico dell'arte Rodolfo Papa, dal titolo “San Francesco in estasi”.

L'opera fa parte, insieme alla tela dedicata a san Giulio I papa, dipinta dallo stesso maestro Papa, del progetto di decorazione iconografica e riqualificazione liturgica della chiesa parrocchiale, affidata alla cura dei Canonici Regolari dell’Immacolata Concezione.

Benedicendo la tela, il cardinale Cañizares ha definito Papa, “un uomo di fede, un artista, un pittore veramente cristiano”. Ed ha aggiunto: “Questa identità cristiana si riflette anche nella sua arte. Un’arte che sempre mostra il fatto dell’Incarnazione. Con il suo realismo, dipingendo la realtà così come è, così dipinge e mostra la bellezza della creazione dell’umanità creata e voluta da Dio, l’uomo e la creazione e l’opera della redenzione”.

Il cardinale ha poi messo in evidenza il valore teologico della scelta realistica di Papa, legata al “fatto” della Incarnazione. Sulla necessità che l’arte sacra sia realistica, lo stesso Papa ha infatti scritto un prezioso libro intitolato “Discorsi sull’arte sacra”, pubblicato dall’editore Cantagalli di Siena nel 2011. E proprio a commento di questo libro il liturgista domenicano Pedro Fernández ha scritto: “Discorsi sull’arte sacra di Rodolfo Papa è, effettivamente, una summa del sistema dell’arte posta al servizio dell’autentica arte sacra. […] La sua opera è singolare perché difficilmente nella letteratura attuale sull’arte, si trova un volume che componga con lucidità la lettura delle condizioni attuali con la scoperta e la attualizzazione degli scritti del passato. Inoltre, l’opera è indispensabile perché evitando il cammino delle infinite ridefinizioni frutto dei saperi particolari, e dunque evitando ulteriori nuove frammentazioni teoriche, cerca di uscire dal presente relativismo per proporre stabili e logici modelli di riferimento”.

“L’obiettivo del testo – continua Pedro Fernández – è giungere a definire l’arte sacra e le sue proprietà intrinseche in un’epoca che non solo ha perso il concetto di arte, divenuto liquido e soggettivo, ma anche la nozione di sacro, una vera apostasia di cui Papa individua origini e conseguenze. Ragionando così, l’autore giunge a proporre una definizione generale, presa dai testi classici, che non presenta come dogma, ma che inserisce nelle attuali speculazioni dimostrando così che è possibile riflettere sullo statuto epistemologico dell’arte: ars est recta ratio factibilium. Questo enunciato è la premessa per l’individuazione di almeno quattro caratteri fondamentali propri dell’arte sacra (e in modo speciale della pittura): universalità, bellezza, figuratività e narratività" [1].

Quanto all’opera di Papa appena inaugurata, Tommaso Evangelista ha ivece scritto: “La tela raffigura San Francesco in estasi, col volto rapito dalla luce divina e pertanto intento a fissare in alto, mentre poggia su alcune rocce sullo sfondo di un paesaggio naturale e di un cielo dai colori del crepuscolo. Il paesaggio, se letto come una raffigurazione compendiaria del monte della Verna, ci riporta anche al momento della stigmatizzazione. Secondo le agiografie, il 14 settembre 1224, mentre si trovava a pregare in questo luogo il santo, caduto in estasi, avrebbe visto un Serafino crocifisso e al termine della visione gli sarebbero comparse nel corpo le piaghe di Cristo sulla croce («Nel crudo sasso intra Tevere ed Arno / da Cristo prese l’ultimo sigillo / che le sue membra due anni portarno» Dante Alighieri, Divina Commedia, Paradiso, canto XI)”.

“Per questa caratteristica – prosegue Evangelista – , per la condivisione fisica delle pene di Cristo, San Francesco viene definito «alter Christus» e lo si intuisce bene nella tela di Papa in quanto la figura, nel momento della visione, con le braccia allargate viene ad assumere la posa di Gesù crocifisso. La pietra sulla quale poggia inoltre, a differenza delle rocce naturali che lo circondano e che sono mutuate dalle rocce leonardesche, è una pietra perfettamente regolare e deriva dalla pietra tombale, il lapis untionis, della Deposizione di Caravaggio. La citazione è molto evidente e anche in questo caso possiamo leggere il legame con la Passione di Cristo il quale dal momento della massima disperazione, ormai calato morto della croce e condotto al sepolcro, abbandonato dai discepoli e dimenticato dagli amici, risorto diventerà la pietra d’angolo delle successive generazioni e della Chiesa che su lui si fonda: «La pietra scartata dal costruttore è diventata testata d’angolo» (Sal. 118)”.

“Anche San Francesco per il suo tempo, con i suoi insegnamenti e la sua predicazione, è diventato una colonna della Chiesa: come riportato nella Legenda maior Innocenzo III sognò l’umile frate che reggeva la Basilica del Laterano, a simboleggiare l’intera comunità cristiana, salvandola così dalla distruzione. Il santo è circondato dall’intera creazione, piante e animali sono il canto della natura ma anche un riferimento al suo Cantico delle creature, il testo poetico più antico della letteratura italiana composto, secondo la tradizione, proprio durante la permanenza sulla Verna. L’usignolo sulla destra, simbolo di re Davide compositore dei Salmi e quindi cantore della maestà e bellezza divina, diventa anche simbolo di Francesco che canta e scrive lodi a Dio mentre la lucertola e la rana, come nelle opere di Carpaccio, sono un’allusione alla morte. La lucertola inoltre, per la sua immobilità al sole, è anche simbolo di contemplazione della luce divina. Tra le piante mediche raffigurate in basso, tutte allusive di nuovo alla Risurrezione di Cristo dalla morte, compare vicino al piede anche il Tasso Barbasso (Verbasco) che, secondo la tradizione, aveva la capacità di conservare, di preservare dalla putrefazione e di trattenere in vita, assumendo quindi un significato salvifico”.

“A livello compositivo – spiega Evangelista – l’opera si può dividere in due parti: la zona inferiore caratterizzata dalle rocce e dagli alberi sullo sfondo allude alla morte e all’aspetto terreno della predicazione di Francesco, ma anche alla creazione divina e alla varietà della natura, la zona superiore, invece, contraddistinta esclusivamente da un cielo privo di nuvole, allude all’aspetto spirituale e mistico, alla preghiera e all’adorazione verso Dio. Il volto di Francesco, lasciato volutamente generico fuori da questioni filologiche sulla ricostruzione fisiognomica, nell’unione di grazia, dolcezza e misticismo è il vero centro del dipinto e il punto focale della scena. Con grande efficacia retorica, inoltre, Papa ha caratterizzato il cielo alle spalle in modo tale che un’aureola di luce circondasse la figura del santo patrono d’Italia e d’Europa”.

“L’opera – conclude Evangelista – rispettando l’iconografia, anzi arricchendola con diversi spunti, e ponendosi nel solco della tradizione, ovvero della storia dell’arte sacra cristiana, dimostra ancora una volta come sia possibile proporre un’arte figurativa e allo stesso tempo non anacronistica, ovvero non fatta esclusivamente di citazioni e riferimenti al passato ma capace di offrire spunti nuovi" [2].

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1) P. Fernández, «Liturgia y Arte Sacro»: la recuperación de la Belleza en la Liturgia V, in “Lex Orandi”, 5 giugno 2013.
2)T. Evangelista, San Francesco in estasi di Rodolfo Papa, in “Zenit”, 3 ottobre 2013.

 

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